Il non voto colpisce tutti

𝐈𝐥 𝐧𝐨𝐧 𝐯𝐨𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐥𝐩𝐢𝐬𝐜𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢
Non buttatela sull’astensionismo per giustificare la sconfitta della sinistra e delle opposizioni in questa tornata elettorale, come sembrano suggerire in tanti, osservatori e politici.

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Il non voto colpisce tutti

Non buttatela sull’astensionismo per giustificare la sconfitta della sinistra e delle opposizioni in questa tornata elettorale, come sembrano suggerire in tanti, osservatori e politici.
Le cose non sono così semplici, ragioniamone a freddo. La gente che non è andata a votare, il sessanta per cento, non apparteneva solo alla sinistra ma a tutte le aree politiche, a parte lo zoccolo duro dei non votanti da una vita per partito preso; il partito dell’Antipartito. Fate un piccolo esercizio empirico, su un raggio di persone di vostra conoscenza e avrete un responso molto più diversificato del popolo dei non votanti, perché scontenti, incontentabili o disinteressati. Non hanno votato elettori abituali o potenziali di destra, di centro e di sinistra, grillini inclusi; non c’è stato astensionismo solo da una parte che avrebbe sbilanciato il verdetto.
Dunque, partiamo dalla domanda opposta. Cosa spinge la gente ad andare a votare? In primis il timore, poi la speranza. Il timore che vincano “loro”, i nemici che detestiamo. In Italia si vota contro, si sa, prima che a favore. Ma in questo caso il timore era flebile, scarso, e non solo perché si trattava di quell’entità fredda che è la Regione, che non suscita passioni né locali né nazionali, civiche o politiche. Ma perché in questo momento la sinistra non ha paura che la destra vada al governo perché al governo la destra c’è già, a loro non piace ma non c’è il timore di chissà quale dittatura. Così per gli elettori di destra non è il momento di temere l’avanzata della sinistra o dei cinque stelle; la sinistra sta messa così male, scassata e perdente, che nessuno è andato a votare per il timore che la sinistra conquistasse la Lombardia o si tenesse il Lazio. L’esito appariva già scontato.
Venuto meno il timore, che è la prima molla che spinge al voto, anche la speranza di migliorare le cose è indebolita. E qui il malessere, la scarsa speranza non riguarda solo la sinistra, i grillini o i terzopolisti, che obiettivamente avevano poco da sperare.
Ma anche molti elettori di destra non sono abbastanza motivati ad andare a votare perché da una parte avvertono i cedimenti che la Meloni e i suoi hanno dovuto fare all’establishment interno-internazionale per farsi accettare e restare in sella, magari li capiscono ma non possono esserne entusiasti; dall’altra non trovano un motivo o una motivazione importante che si sta realizzando con l’avvento della destra al governo. E poi, almeno metà di quell’elettorato non condivide affatto la posizione bellicista e atlantista del governo Meloni (in questo, Berlusconi esprime l’insofferenza di questa fascia larga di italiani, anche di sinistra).
Sarà pure vero, oltre che consolatorio, dire che il popolo italiano alle urne ha reagito al regime trans-ideologico di Sanremo e ha bocciato col voto la sinistra-spettacolo del festival. Ma io mi chiedo: quanta gente, invece, non è andata a votare per la stessa ragione, pensata però a contrario: ossia, c’è un governo di destra ma non cambia niente, tutto ugualmente si ripete e il lavaggio del cervello continua come prima? Se non deve cambiare nulla, tanto vale che me ne sto a casa, al più mi limito a spegnere la tv. Ponetevi questo dubbio, almeno, prima di esultare.
Insomma, l’astensionismo è stato trasversale e seppure in proporzioni ridotte, il voto riflette esattamente l’attuale rapporto di forze e di consenso che c’è nel paese. Ha votato solo un campione ma quel campione ha riprodotto in scala minore gli orientamenti di tutto il paese e le sue differenze.
Però al di là del “rafforzamento” del governo col voto di domenica scorsa, annunciato con ragione dalla Meloni, e al di là delle magre consolazioni della sinistre che è contenta di non essere stata scavalcata né da Conte né da Calenda, c’è un problema politico enorme, che riguarda tutti e la tenuta stessa della nostra democrazia, nonostante tutta la retorica sulla Costituzione che reputa il voto non solo un diritto ma anche un dovere.
La diserzione in massa dal voto non può essere sbrigata semplicemente con la tranquillità degli assetti democratici e con la diffusa convinzione che le istituzioni italiane non corrano alcun pericolo. Ma c’è un ulteriore strappo, un altro passo che allontana la gente dalla politica e dalla minima fiducia che la politica possa fare qualcosa, incidere, cambiare corso, conseguire qualche grande risultato. L’Italia ha perso fiducia, non spera in nessuno, non ha aspettative, al momento, dalla politica, frigge nello scontento oppure, come ipotizzo su Panorama di questa settimana, fa come lo struzzo, mette la testa nella sabbia anziché il voto nell’urna, non vuole vedere, non è interessata, si sottrae. E’ l’effetto diretto di quell’impotenza della politica a incidere sui destini di un popolo, percepita da tanti. E del mancato coraggio della politica a sfidare le comodità di una posizione e di una rendita di posizione, rimettersi in gioco, rischiare per fare davvero qualcosa di significativo.
Giusta e comprensibile la soddisfazione di aver vinto in Lombardia e in Lazio e di avere consolidato il governo. Però direi ad entrambi, vincitori e vinti; non esultate, non consolatevi, pensate piuttosto che il non voto ha massicciamente surclassato e schiacciato il voto, ed è quella bocciatura corale che dovete spiegare e affrontare, prima che i risultati elettorali. Non amministrate solo i vostri orticelli se intorno cresce il deserto.

La Verità – 16 febbraio 2023