“Là li colpiremo”: il massacro di Monaco e le sue conseguenze
di Richard Kemp 9 settembre 2022
Pezzo in lingua originale inglese: ‘There We Will Strike Them’: The Munich Massacre and Its Aftermath
Traduzioni di Angelita La Spada
Cinquant’anni fa, il 5 e 6 settembre 1972, il mondo ha assistito con orrore a come gli ebrei sono stati di nuovo uccisi brutalmente sul suolo tedesco, alle Olimpiadi di Monaco. Otto terroristi dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), usando il nome di copertura “Settembre Nero”, torturarono e uccisero 11 atleti israeliani, evirandone uno e lasciandolo agonizzante a morire davanti agli altri compagni di squadra. Il commando prese d’assalto l’alloggio degli atleti, ne uccise immediatamente due e tenne in ostaggio gli altri, chiedendo il rilascio di 234 prigionieri terroristi detenuti da Israele. La premier israeliana Golda Meir, che era stata una dei firmatari della Dichiarazione di indipendenza dello Stato di Israele nel 1948, rifiutò di contrattare con loro, bollandolo come ricatto. In seguito, la Meir affermò: “Abbiamo imparato l’amara lezione. Si può salvare una vita solo per metterne in pericolo altre. Il terrorismo deve essere spazzato via”.
Nel frattempo, Berlino offrì un salvacondotto e denaro illimitato ai terroristi, che li rifiutarono. Nel caos di un disastroso tentativo tedesco di tendere un’imboscata agli assassini nella base aerea di Fürstenfeldbruck, nei pressi di Monaco, il 6 settembre, lanciando granate e sparando raffiche di colpi di armi da fuoco i terroristi massacrarono i restanti nove atleti a bordo degli elicotteri che li avevano portati là, oltre a un poliziotto tedesco. Tutti i terroristi tranne tre rimasero uccisi nello scontro a fuoco. L’unità delle forze speciali dell’IDF, Sayeret Matkal (Unità di Ricognizione dello Stato Maggiore), era pronta a organizzare un’operazione di salvataggio, ma il governo tedesco rifiutò di consentire loro di entrare nel Paese e respinse arrogantemente i consigli del capo del Mossad e di quello dello Shin Bet che erano volati in Germania.
Tutti furono costretti a restare a guardare mentre i loro connazionali venivano massacrati.
I terroristi usarono armi introdotte di nascosto in Germania grazie a diplomatici provenienti dalla Libia, dove il commando era stato addestrato per la missione omicida. Il presidente libico Muammar Gheddafi aveva finanziato l’attacco per volere del leader dell’OLP Yasser Arafat, che successivamente negò qualsiasi coinvolgimento e due anni dopo fu acclamato con una standing ovation all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Mahmoud Abbas, ora presidente dell’Autorità Palestinese, fu un attore chiave nella preparazione dell’operazione. Se, cinquant’anni dopo, ostenta se stesso sulla scena mondiale, Abbas si rifiuta ancora di esprimere alcun rimorso per gli omicidi che ha contribuito a portare a termine.
Inoltre, mentre era in atto l’attacco, Avery Brundage, presidente del Comitato Olimpico Internazionale (CIO), insistette sul fatto che i Giochi dovevano continuare. Mentre due israeliani giacevano morti e nove erano tenuti sotto tiro, il primo evento di atletica leggera della giornata iniziò nei tempi previsti, con precisione tedesca, alle 8:15. Brundage accettò di sospendere le gare olimpiche solo 12 ore dopo l’inizio dell’attacco e, dopo una breve pausa, gli eventi sportivi proseguirono come se nulla fosse. “Incredibilmente, stanno andando avanti”, scrisse il quotidiano Los Angeles Times all’epoca, “è quasi come ballare a Dachau” (che dista poche miglia di distanza).
Parlando a una funzione commemorativa il giorno dopo gli omicidi, Brundage, che aveva combattuto con successo contro il boicottaggio statunitense delle Olimpiadi naziste di Berlino nel 1936 a causa della persecuzione degli ebrei, sminuì scandalosamente l’uccisione degli 11 israeliani. Una richiesta del cancelliere tedesco di porre a mezz’asta le bandiere nazionali esposte ai giochi fu annullata dopo che i Paesi arabi si rifiutarono di farlo.
Il capo del Mossad, Zvi Zamir, che fu testimone del massacro, scrisse:
“Abbiamo visto gli atleti israeliani, con le mani legate e con a fianco i terroristi, e tutti al passo hanno marciato verso gli elicotteri. È stato uno spettacolo spaventoso, soprattutto per un ebreo sul suolo tedesco”.
Ne seguì rapidamente un’azione violenta contro l’OLP. Due giorni dopo il massacro, l’8 settembre, aerei da guerra israeliani bombardarono dieci basi dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina in Siria e in Libano, uccidendo fino a 200 terroristi e abbattendo tre jet siriani che cercavano di intercettare la forza d’attacco. Fece poi seguito un’operazione di terra, con i mezzi corazzati dell’IDF che entrarono in Libano e uccisero circa 45 terroristi dell’OLP.
Gli Stati Uniti posero il veto, contro le forti proteste dell’Unione Sovietica e della Cina, a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite del 10 settembre che esortava Israele a interrompere le sue operazioni militari in Siria e in Libano, senza menzionare esplicitamente il massacro di Monaco. L’ambasciatore sovietico osservò che porre i raid israeliani sullo stesso piano dei fatti di Monaco “sarebbe come giustificare la politica aggressiva dei pazzi israeliani”. Naturalmente, la stessa Unione Sovietica aveva le mani insanguinate a Monaco, avendo creato l’OLP e avendola avviata sulla strada del terrorismo in Europa, finanziando e sostenendo attacchi.
L’ambasciatore degli Stati Uniti presso l’ONU, George H.W. Bush, affermò che la risoluzione ignorava la realtà e “cercava di avere un effetto, non una causa”. Proseguì dicendo che il suo “silenzio sul disastro di Monaco” incoraggiava altro terrorismo. Affrontando la questione più ampia della violenza palestinese, Bush aggiunse: “Vogliamo e sosteniamo un mondo in cui gli atleti non debbano temere gli assassini e i passeggeri degli aerei non debbano temere il dirottamento”.
Le parole di Bush a New York furono ben accolte in Israele, ma tali parole non furono sufficienti per una nazione traumatizzata che aveva appena assistito all’uscita di 11 bare dall’aeroporto di Lod a bordo di una flotta di veicoli di comando dell’IDF, e la cui angoscia era stata aggravata dalla decisione di proseguire i giochi, come se il massacro degli ebrei in Europa potesse di nuovo essere semplicemente messo da parte. Toccò a Golda Meir tradurre le parole di Bush in fatti: era la sua popolazione ad essere nel mirino.
Per questo, i raid militari in Siria e in Libano non furono sufficienti. Affrontare la minaccia dei Paesi del Medio Oriente era una cosa, affrontare il terrorismo in Europa era qualcosa di completamente diverso. Prima di Monaco, l’intelligence israeliana aveva ripetutamente fornito ai governi europei informazioni sulle cellule terroristiche e sui piani di attacco nei loro Paesi. Ma come disse la Meir alla Commissione per gli Affari Esteri della Knesset: “L’informiamo una, due, tre o cinque volte e non succede nulla” [Citata in Rise and Kill First, Ronen Bergman, 2018]. La riluttanza europea ad agire in base all’intelligence e ad inimicarsi i terroristi palestinesi e i loro sponsor arabi aveva consentito un’ondata di attacchi mortali. Nei tre anni precedenti, 16 persone erano state uccise e ferite in sette attacchi terroristici contro obiettivi israeliani ed ebrei nella sola Germania occidentale.
Di fronte all’inerzia in Europa, il Mossad aveva già proposto attacchi diretti contro terroristi nel continente. La Meir, impegnata a rispettare la sovranità dei Paesi amici, rifiutò e autorizzò l’azione solo nelle nazioni mediorientali ostili a Israele. Tutto cambiò con Monaco. Sei giorni dopo il massacro la premier disse alla Knesset:
“Ovunque si stia preparando un complotto, in qualsiasi luogo in cui si preparano le persone a uccidere ebrei, israeliani – dappertutto ebrei – è là che ci impegniamo a colpirli”. [Rise and Kill First, Ronen Bergman, 2018]
Con queste parole, la Meir lanciò una delle operazioni antiterrorismo di maggior successo che il mondo abbia mai visto.
Nonostante questa dura presa di posizione, prima di affidare la sua decisione al governo, Golda Meir si era comprensibilmente tormentata, sia per motivi morali sia politici. In seguito, disse:
“Non c’è differenza tra uccidere personalmente e prendere decisioni che invieranno altri a uccidere. È esattamente la stessa cosa, o anche peggio”.
Era anche preoccupata per i giovani israeliani che avrebbe messo in grave pericolo fisico e psicologico. Sapeva che se un uomo può cacciare, può anche essere cacciato. Come diceva lei: “Se ne stanno nelle fauci del nemico”.
Il Mossad si stava preparando per tale operazione dal 1969 e immediatamente inviò in Europa squadre incaricate di eseguire omicidi mirati, nome in codice “Baionetta”. Il primo di numerosi attacchi avvenne meno di due mesi dopo Monaco, il 16 ottobre, a Roma, quando il rappresentante dell’OLP in Italia, Wael Zwaiter, cugino di Yasser Arafat, venne ucciso a colpi di arma da fuoco. Seguirono ulteriori omicidi in Francia, a Cipro, in Grecia e altrove. Le esecuzioni furono sospese dopo il luglio 1973, quando un uomo innocente, scambiato per un terrorista dell’OLP, fu ucciso a Lillehammer, in Norvegia. Ripresero nel 1978 sotto il primo ministro Menachem Begin.
Oltre i confini dell’Europa, il 9 aprile 1973, nel corso dell’Operazione Primavera di Gioventù, un attacco congiunto tra le forze dell’IDF e del Mossad lanciato a Beirut e guidato da Ehud Barak (che in seguito divenne primo ministro), furono uccisi tre alti dirigenti dell’OLP e circa 50 altri terroristi. Il giorno successivo, Walter Nowak, ambasciatore tedesco a Beirut, condannò l’assalto. Vergognosamente, appena sei mesi dopo Monaco, il diplomatico aveva incontrato uno dei leader di Settembre Nero ucciso nell’attacco dell’IDF, Abu Youssef, egli stesso organizzatore del massacro, per offrire la prospettiva di creare “una nuova base di fiducia” tra l’OLP e il governo tedesco. Questo episodio contraddistingue i due approcci: mentre la Germania rabboniva i terroristi, Israele li eliminava.
Gli omicidi mirati ordinati da Golda Meir avevano lo scopo di fermare gli attacchi terroristici contro gli israeliani condotti in e dall’Europa e non, come spesso si suppone, per vendicare Monaco: la maggior parte delle persone uccise non erano direttamente collegate al massacro delle Olimpiadi. Il capo del Mossad Zvi Zamir afferma chiaramente: “Noi non eravamo impegnati nella vendetta”. E prosegue spiegando: “Quello che abbiamo fatto è stato prevenire concretamente in futuro. Abbiamo agito contro chi pensava che avrebbe continuato a perpetrare atti di terrorismo”.
Si trattava di prevenire e interrompere gli attacchi terroristici contro cittadini israeliani in Paesi in cui le autorità nazionali si erano mostrate riluttanti ad agire. Si trattava anche di svolgere un’azione di deterrenza, far capire ai terroristi che il prezzo delle loro azioni sarebbe stato elevato, possibilmente troppo elevato. Ciò spiegava il modo sensazionale in cui sono stati condotti alcuni degli attacchi, tra cui l’uso di esplosivi piuttosto che di mezzi più clinici o incidenti che potevano essere spacciati per incidenti. Il Mossad voleva che i terroristi non avessero dubbi sul motivo per cui i loro compagni venivano uccisi e chi lo stava facendo. Per ragioni politiche, questo doveva essere bilanciato da una plausibile negazione, un principio coerente di molte operazioni antiterrorismo israeliane prima e dopo. Ma qualcosa andò storto a Lillehammer, dove sei agenti del Mossad furono arrestati e processati.
L’imperativo delle uccisioni mirate di Israele fu nuovamente confermato meno di due mesi dopo le Olimpiadi, quando un volo Lufthansa diretto da Beirut a Francoforte venne dirottato dai palestinesi che chiesero il rilascio dei tre terroristi sopravvissuti a Monaco. Il governo tedesco pagò immediatamente un riscatto di 9 milioni di dollari e rilasciò gli uomini, che furono condotti in aereo via Zagabria in Libia, dove ricevettero un’accoglienza da eroi.
L’ultima cosa che Berlino avrebbe voluto era mettere sotto processo questi assassini, con l’intelligence tedesca che mise in guardia da ulteriori atti di terrorismo per forzarne il rilascio. Questa svolta degli eventi fu quindi molto utile e alcuni esperti, tra cui il capo del Mossad dell’epoca, accusarono il governo tedesco di aver pagato l’OLP per inscenare il dirottamento onde fornire una copertura al rilascio dei terroristi. Tale versione fu confermata in un’intervista al leader dichiarato del massacro di Monaco, Abu Daoud.
Dopo il rilascio, il capo del ministero degli Esteri tedesco scrisse una nota all’ufficio del cancelliere dicendo: “Dovremmo essere contenti che l’intera faccenda si sia sufficientemente placata”. Ciò rifletteva un atteggiamento prevalente in tutta Europa allora e in seguito. Nel 1977, le autorità francesi arrestarono Abu Daoud, il leader dei terroristi. Chiesero se la Germania volesse che fosse estradato, ma i tedeschi rifiutarono. Il governo francese, preoccupato per i potenziali attacchi sul proprio suolo a seguito della sua detenzione, consentì a Daoud di volare in Algeria pochi giorni dopo a fronte delle forti proteste di Israele e degli Stati Uniti e degli elogi dell’Unione Sovietica. Fino alla sua morte Daoud si vantò del massacro che aveva organizzato.
Oltre alla paura del terrorismo, l’appeasement dei terroristi arabi da parte dei governi europei è stato motivato dalla preoccupazione che un allineamento troppo stretto con Israele sulla sicurezza avrebbe danneggiato le loro relazioni con i Paesi arabi, mettendo a repentaglio la fornitura di petrolio e i contratti di esportazione.
I leader americani ed europei sono stati spesso critici nei confronti della politica di uccisioni mirate di Israele, a volte influendo sulla condivisione delle informazioni e sulle relazioni diplomatiche e commerciali, e con alcuni che hanno accusato Israele di tattiche terroristiche. Come rilevato da Golda Meir:
“La persona che minaccia con una pistola e la persona che si difende per assicurarsi che la pistola non le spari non sono la stessa cosa”.
Dopo che i terroristi islamici hanno iniziato a puntare le armi contro i cittadini occidentali, queste obiezioni “principali” si sono necessariamente dissolte, con l’America e i suoi alleati spesso costretti a ricorrere a una politica modellata su quella di Israele. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna hanno utilizzato agenzie di intelligence, forze speciali, droni e attacchi aerei per eseguire uccisioni mirate di terroristi, anche in Yemen, in Pakistan, in Afghanistan, in Iraq e in Siria. Due giorni dopo gli attacchi terroristici del 2015 a Parigi, le forze armate francesi, sostenute dalla Gran Bretagna, lanciarono un’ondata di attacchi aerei contro le basi dello Stato Islamico in Siria, facendo eco agli attacchi sferrati da Israele in Libano e in Siria nei giorni successivi a Monaco.
Non sorprende che, in questa situazione mutata, ogni volta che il Mossad forniva ai Paesi europei informazioni sui piani terroristici sul loro suolo non doveva essere detto loro “due, tre o cinque volte”. Con i loro stessi cittadini ora nel mirino, hanno rapidamente intrapreso l’azione che non erano riusciti a intraprendere negli anni Settanta, quando gli israeliani erano l’obiettivo principale.
Troppo spesso le nazioni occidentali, nonostante i precedenti rifiuti, le condanne e talvolta le ostilità, alla fine sono state obbligate a seguire l’iniziativa che Israele è stato costretto a prendere per la prima volta per proteggere il suo popolo. Le risposte americane ed europee agli attacchi jihadisti sul loro stesso territorio, specialmente dopo l’11 settembre, sono un esempio di ciò.
Attualmente siamo alle prese con un altro esempio: la minaccia nucleare iraniana. I leader israeliani hanno ripetutamente avvertito che il programma nucleare di Teheran non rappresenta solo un grave pericolo per il proprio Paese, ma per l’intera regione e per il mondo. Come nella sua risposta a Monaco, Israele sta conducendo una campagna segreta per fermarlo, anche con omicidi mirati. Nel frattempo, gli Stati Uniti e i Paesi europei stanno rabbonendo i mullah di Teheran, proprio come fecero con i terroristi palestinesi negli anni Settanta, e sono sul punto di concludere un accordo che aprirà la strada a una capacità nucleare iraniana. Questa volta, ignorare gli avvertimenti israeliani avrà conseguenze ancora più terribili e di vasta portata.
La vigorosa campagna di Israele dopo Monaco è stata un successo. Ha persuaso il mondo arabo che il Mossad poteva colpire dove e quando voleva, instillando paura nei terroristi e costringendoli a correre a nascondersi in luoghi in cui avevano precedentemente operato impunemente, e alcuni governi arabi moderati hanno persino esercitato pressioni sull’OLP affinché fermasse gli attacchi. L’offensiva non ha posto fine a tutto il terrorismo arabo in Europa contro gli israeliani e, come con le attività antiterrorismo compiute ovunque, ci sono state alcune gravi conseguenze negative. Ma le azioni del Mossad nel continente e l’Operazione Primavera di Gioventù a Beirut convinsero il leader dell’OLP Yasser Arafat a ordinare la fine degli attacchi di Settembre Nero contro obiettivi al di fuori di Israele entro la fine del 1973. Come ebbe a dire la Meir:
“Non prosperiamo sugli atti militari. Li facciamo perché dobbiamo e grazie a Dio siamo efficienti”.
A volte Monaco è considerata l’11 settembre di Israele. Cinquant’anni dopo, il trauma del massacro del 1972 rimane impresso nel profondo della mente di ogni israeliano e di molti altri che hanno assistito con angoscia straziante a quanto accadeva. Senza dubbio, gli 11 israeliani morti a Monaco erano il pensiero dominante di quelle donne e di quegli uomini coraggiosi che hanno preso parte alla campagna che mirava a prevenire il ripetersi degli orrori che gli atleti avevano affrontato. Nelle parole pronunciate all’epoca da Golda Meir:
“Forse verrà il giorno in cui le storie di eroismo e di intraprendenza, di sacrificio e di dedizione di questi guerrieri saranno raccontate in Israele, e le generazioni le racconteranno a coloro che le seguiranno con ammirazione e orgoglio, come un ennesimo capitolo dell’eredità di eroismo della nostra nazione”.
In memoria di:
David Berger
Anton Fliegerbauer
Ze’ev Friedman
Yosef Gutfreund
Eliezer Halfin
Yosef Romano
Amitzur Shapira
Kehat Shorr
Mark Slavin
Andre Spitzer
Yakov Springer
Moshe Weinberg
Il colonnello Richard Kemp è stato comandante delle forze britanniche. È stato anche a capo della squadra internazionale contro il terrorismo nell’Ufficio di Gabinetto del Regno Unito e ora è autore e conferenziere su questioni internazionali e militari. È Jack Roth Charitable Foundation Fellow presso il Gatestone Institute.