Il linguaggio
È tutta questione di… architettura cerebrale.
Con il termine linguaggio intendiamo un elaborato sistema di simboli che permette alle persone di comunicare fra loro in modo complesso.
Gli altri animali possiedono sistemi di richiamo che permettono di trasferire fra loro informazioni sull’ambiente immediatamente circostante, come, per esempio, relative alla presenza di predatori. Gli esseri umani, però, possiedono un linguaggio unico rispetto agli altri animali, specialmente nella sua capacità di comunicare quelle informazioni, soggetti e situazioni non immediatamente presenti, dell’ambiente circostante.
In effetti, la nostra specie, proprio grazie al linguaggio, può raccontare eventi accaduti nel passato, oppure programmare che cosa farà in futuro, e persino narrare storie di persone o avvenimenti del tutto immaginari.
In sostanza, il linguaggio ci permette di accumulare e immagazzinare, per essere poi ricordate, informazioni e quindi trasmetterle ad altri elaborando così via via una storia condivisa. Ecco perché non possono meravigliarci gli sforzi che la comunità scientifica internazionale manifesta per preservare le culture marginalizzate o minacciate di estinzione, concentrandosi spesso sulla conservazione del loro linguaggio.
Nonostante ciò, la comunanza del linguaggio non necessariamente comporta la condivisione di una cultura.
Molte persone riescono a padroneggiare, e con una certa sicurezza, la lingua inglese, senza però condividerne molti dei riferimenti comportamentali cui quella lingua si rivolge e che sono quasi scontati per un inglese indigeno. Proprio per questo fondale emotivo di condivisione di un linguaggio, all’interno della cultura che lo esprime e lo veicola, diventa necessario, specialmente per i nostri giovani, avere la possibilità di soggiornare in quei Paesi di cui hanno imparato la lingua.
All’interno di questo contesto teorico-scientifico esiste la famosissima ipotesi Sapir-Whorf.
Essa suggerisce che i diversi linguaggi influenzano il modo di pensare e comportarsi di coloro che li parlano, a causa della diversità di contenuto e struttura.
In altri termini, tutti comportamenti che possiamo immaginare, e soltanto quelli, sono contenuti nel linguaggio che impieghiamo, nella lingua che parliamo. Pertanto, la nostra lingua è il contenitore di tutte le possibili azioni che noi possiamo svolgere nella nostra esistenza, non uno di più.
Per esempio, Paul Kay e Willett Kempton (1984, What is the Sapir-Whorf Hypothesis?, in American Anthropologist, 86-1, pgg. 65-79) scoprirono che le persone identificano con maggiore facilità le differenze di colore quando nel loro linguaggio è presente la differenziazione delle molteplici sfumature tra colori simili.
In altri termini, possedere le parole necessarie che permettono di distinguere le diverse tonalità dello spettro, per esempio, dei rossi (scarlatto, cremisi, rosa, magenta e porpora) ci aiuta a coglierne le differenze.
Questa ipotesi resta comunque controversa.
Molti studiosi, fra cui Steven Pinker (2007, The language instinct: How the mind creates language, Harper Perennial Modern Classics, New York), ritengono che questa sia una teoria nella quale viene sovrastimata l’influenza del linguaggio sul pensiero, e sottolineano che, invece, il linguaggio si adatti, come tutti gli altri aspetti della cultura, alle diverse circostanze e coloro che lo utilizzano assorbono o inventano nuovi vocaboli per definire ciò che diventa culturalmente importante.
Resta comunque indubbio che il linguaggio riflette i più ampi contesti culturali all’interno dei quali si è evoluto e, di conseguenza, ciascuna cultura tende a sviluppare termini, frasi e locuzioni uniche, difficili, se non del tutto impossibili, da tradurre in un’altra lingua. In questo senso, possiamo affermare che il linguaggio ci aiuta a formare la nostra idea di mondo.
Quindi, rivolgo a tutti i giovani italiani e ai loro genitori l’invito ad usufruire il più possibile dei programmi di mobilità giovanile che vengono profumatamente finanziati dall’Unione Europea, affinché, attraverso la lingua e il linguaggio, si realizzi quella tanto difficile, ma agognata integrazione dei popoli.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).