Il dramma permanente delle menzogne palestinesi

Il dramma permanente delle menzogne palestinesi
di Bassam Tawil – 3 luglio 2017

Pezzo in lingua originale inglese: The Ongoing Drama of Palestinian Lies
Traduzioni di Angelita La Spada

L’attuale politica della leadership palestinese consiste nell’evitare di alienarsi l’amministrazione Trump continuando a fingere che Abbas e i suoi fedelissimi siano seriamente intenzionati a raggiungere un accordo di pace con Israele. Ecco perché i rappresentanti di Abbas stanno attenti a non criticare Trump e i suoi inviati.
Quando Israele non soddisfa le loro richieste, i palestinesi lo accusano di “distruggere” il processo di pace. Peggio ancora, i palestinesi usano quest’accusa come pretesto per intensificare le azioni terroristiche contro gli israeliani. La scusa, come sempre, sarà che sono costretti a ricorrere al terrorismo a causa del fallimento dell’ennesimo processo di pace promosso dagli Stati Uniti.
Senza ombra di dubbio, Abbas non riesce a spiegare agli inviati americani che non dispone di alcun mandato da parte della sua popolazione per fare qualsiasi passo verso un accordo di pace con Israele. Abbas sa, contrariamente agli inviati americani, che muoversi in questa direzione metterebbe fine alla sua carriera e molto probabilmente alla sua vita. Il presidente dell’Autorità palestinese non vuole inoltre essere ricordato come l’infido leader palestinese che “si è venduto agli ebrei”. Oltretutto, qualcuno dei suoi successori potrebbe dire in seguito, a giusto titolo, che avendo Abbas oltrepassato i limiti del suo mandato, ogni eventuale accordo andrebbe considerato illegale e illegittimo.
Gli inviati americani Jason Greenblatt e Jared Kushner, che hanno incontrato di recente a Gerusalemme e Ramallah funzionari israeliani e dell’Autorità palestinese (Ap) per discutere del rilancio del processo di pace, hanno scoperto ciò che i precedenti inviati in Medio Oriente avevano imparato negli ultimi due decenni, ossia che l’Ap non è cambiata, non può cambiare e non cambierà.
Durante il loro incontro a Ramallah con il presidente dell’Autorità palestinese, Mahmoud Abbas, i due emissari statunitensi sono stati informati che i palestinesi accetteranno soltanto uno Stato indipendente entro i confini del 1967, con Gerusalemme Est come sua capitale.

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Abbas ha inoltre detto chiaramente che non ha alcuna intenzione di fare concessioni relative al “diritto al ritorno” dei “profughi” palestinesi. Ciò significa che vuole uno Stato palestinese accanto a Israele, inondando quest’ultimo con milioni di “profughi” palestinesi e trasformandolo così in un altro stato palestinese.
Durante l’incontro, Abbas ha reiterato la richiesta che Israele liberi tutti i prigionieri palestinesi – compresi coloro che sono stati condannati per omicidio e hanno le mani sporche di sangue ebraico – come parte di ogni accordo di pace. Il rilascio dei terroristi in passato ha portato soltanto a una recrudescenza del terrorismo contro Israele.
Secondo Nabil Abu Rudaineh, portavoce di Abbas, il presidente dell’Ap ha detto a Kushner e Greenblatt che una “pace giusta e completa dovrebbe basarsi su tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite (relative al conflitto arabo-israeliano) e sull’Iniziativa araba di pace del 2002”. Traduzione: Israele dovrebbe ritirarsi ai confini indifendibili del 1967 e permettere alle fazioni armate palestinesi di sedersi sulle colline che si affacciano sull’aeroporto Ben Gurion e su Tel Aviv.
La posizione di Abbas rispecchia accuratamente la politica della leadership palestinese degli ultimi due decenni – una politica che è stata regolarmente resa nota a tutte le precedenti amministrazioni americane, ai governi israeliani che si sono succeduti e alla comunità internazionale.
A suo favore, Abbas ha dimostrato di essere coerente. Non ha mai e poi mai manifestato la volontà di fare alcuna concessione a Israele. Non si lascia sfuggire un’occasione per reiterare le sue rivendicazioni a tutti i leader mondiali e ai funzionari governativi, che incontra periodicamente.
Ciononostante, qualcuno nella comunità internazionale crede ancora che Abbas o qualsiasi altro leader palestinese possa fare concessioni in cambio della pace con Israele.
Per quanto possa sembrare poco plausibile, Kushner e Greenblatt sembrano credere che potranno farcela dove tutti gli altri hanno fallito.
I due inviati americani inesperti sono erroneamente convinti che riusciranno a persuadere Abbas e la leadership palestinese a rinunciare alle loro pretese come il “diritto al ritorno”, il rilascio dei terroristi imprigionati e l’interruzione della costruzione degli insediamenti.
Per quale motivo gli inviati del presidente Trump diano l’impressione pericolosamente fuorviante che la pace è possibile sotto l’attuale leadership dell’Ap è a dir poco un mistero.
Suscitare questa impressione rischia di avere un forte effetto boomerang: quanto maggiori sono le aspettative, tanto maggiore sarà la delusione. Dare ai palestinesi l’impressione che l’amministrazione Trump abbia la bacchetta magica per risolvere il conflitto israelo-palestinese finirà per accrescere l’amarezza palestinese e l’ostilità verso gli americani e Israele. Quando i palestinesi si renderanno conto del fatto che l’amministrazione Trump non metterà alle strette Israele, riprenderanno i loro attacchi retorici contro Washington, accusandola ancora una volta di “faziosità” a favore di Israele.
Questa è stata per l’appunto la sorte delle precedenti amministrazioni americane e degli ex inquilini della Casa Bianca che hanno deluso i palestinesi non riuscendo a imporre diktat a Israele. I palestinesi sono ancora convinti che arriverà il giorno in cui gli Stati Uniti, o qualsiasi altra superpotenza, costringeranno Israele ad accettare tutte le loro richieste.
Quando Israele non soddisfa le loro richieste, i palestinesi lo accusano di “distruggere” il processo di pace.
Peggio ancora, i palestinesi usano quest’accusa come pretesto per intensificare le azioni terroristiche contro gli israeliani. La scusa, come sempre, sarà che sono costretti a ricorrere al terrorismo a causa del fallimento dell’ennesimo processo di pace promosso dagli Stati Uniti.
L’amministrazione Trump sta commettendo un errore colossale nel pensare che Abbas o uno dei suoi fedelissimi dell’Ap possa mostrare qualsiasi forma di flessibilità verso Israele, in particolar modo per quanto riguarda Gerusalemme, gli insediamenti e il “diritto al ritorno”.
Senza ombra di dubbio, Abbas non riesce a spiegare agli inviati americani che non dispone di alcun mandato da parte della sua popolazione per fare qualsiasi passo verso un accordo di pace con Israele. Abbas sa, contrariamente agli inviati americani, che muoversi in questa direzione metterebbe fine alla sua carriera e molto probabilmente alla sua vita.
Il presidente dell’Autorità palestinese non vuole inoltre essere ricordato come l’infido leader palestinese che “si è venduto agli ebrei”.
Nonostante le migliori intenzioni degli inviati americani e di altri interlocutori in seno alla comunità internazionale, Abbas sa perfettamente qual è il destino di qualsiasi leader palestinese che prende in considerazione una possibile “collaborazione” con “l’entità sionista”.
Il mandato di Abbas è scaduto nel 2009 e molti palestinesi lo considerano un presidente illegittimo. Pertanto, Abbas non è in grado di fare concessioni per la pace. Oltretutto, qualcuno dei suoi successori potrebbe dire in seguito, a giusto titolo, che avendo Abbas oltrepassato i limiti del suo mandato, ogni eventuale accordo andrebbe considerato illegale e illegittimo.
Abbas non può fermare l’incitamento anti-Israele; non può bloccare i pagamenti agli assassini condannati e alle loro famiglie e non può accettare la sovranità ebraica sul Muro Occidentale, a Gerusalemme.
Anche se alcuni dei suoi collaboratori a volte lasciano intendere che la leadership dell’Ap è disposta a prendere in considerazione alcune concessioni relativamente a tali questioni, queste affermazioni non dovrebbero essere prese sul serio perché sono esclusivamente destinate a un pubblico occidentale.
L’Ap sostiene di aver già fatto abbastanza concessioni riconoscendo il diritto di Israele di esistere e rinunciando alle pretese palestinesi su “tutta la Palestina” e ora spetta a Israele, e non ai palestinesi, fare concessioni per la pace.
“Abbiamo raggiunto la linea rossa per quanto riguarda le concessioni [a Israele]”, ha spiegato Ashraf al-Ajrami, ex ministro dell’Ap. “Abbiamo già fatto una serie di concessioni sulle questioni principali, mentre Israele non ci ha offerto un bel niente”.
Giova ricordare che questa dichiarazione è una sconcertante menzogna, viste le generose offerte, i gesti e le concessioni fatte dai premier e dai governi israeliani che si sono succeduti negli ultimi due decenni.
Tutte le iniziative israeliane sono state bocciate dai palestinesi e la violenza si è intensificata.
L’offerta fatta dal premier Ehud Barak a Camp David nel 2000 di ritirarsi dalla maggior parte dei territori conquistati da Israele nel 1967 è stata accolta con l’avvio della seconda Intifada.
Il ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza, cinque anni dopo, è stato erroneamente interpretato dai palestinesi come segnale di debolezza e di ritirata e ha portato al lancio di migliaia di razzi e missili contro Israele.
Un’altra offerta generosa e senza precedenti del primo ministro Ehud Olmert è stata ignorata.
L’attuale politica della leadership palestinese consiste nell’evitare di alienarsi l’amministrazione Trump continuando a fingere che Abbas e i suoi fedelissimi siano seriamente intenzionati a raggiungere un accordo di pace con Israele. Ecco perché i rappresentanti di Abbas stanno attenti a non criticare Trump e i suoi inviati.
Abbas vuole illudere l’amministrazione Trump facendole credere di avere il coraggio, la volontà e il mandato di fare pace con Israele, così come ha mentito ai precedenti premier israeliani. È lo stesso Abbas che negli ultimi dieci anni non è riuscito nemmeno a tornare nella sua residenza privata a Gaza, che oggi continua a essere sotto il controllo di Hamas.
In privato, però, certi alti funzionari palestinesi hanno criticato l’amministrazione Trump per aver semplicemente osato formulare richieste alla leadership dell’Ap come mettere fine all’incitamento anti-Israele e al pagamento degli stipendi ai terroristi imprigionati [nelle carceri israeliane] e alle loro famiglie. In altre parole, secondo i funzionari palestinesi, Trump deve accettare le richieste avanzate dalla leadership dell’Autorità palestinese oppure può andarsene all’inferno.
“Gli americani hanno avallato la posizione degli israeliani”, si è lamentato Hanna Amireh, un alto dirigente dell’Olp.
“La leadership palestinese rifiuta la richiesta di interrompere gli aiuti finanziari ai prigionieri e alle loro famiglie. (…) Anziché imporre condizioni preliminari ai palestinesi, gli americani farebbero meglio a esigere l’interruzione della costruzione degli insediamenti israeliani e chiedere di porre fine all’incitamento.”
Nella contorta visione del mondo della leadership palestinese, le richieste israeliane di mettere fine alla glorificazione palestinese degli assassini sono considerate come un atto di “incitamento”.
Israele come può osare di esigere che i dirigenti dell’Ap smettano di finanziare i terroristi imprigionati e le loro famiglie? Come osa Israele puntare il dito contro l’incitamento e la glorificazione di assassini e terroristi?
La dirigenza dell’Autorità palestinese non riesce proprio a capire il problema che si crea intitolando strade, piazze pubbliche, centri giovanili e per le donne agli assassini degli ebrei.
È solo una questione di tempo prima che la leadership dell’Ap accusi apertamente l’amministrazione Trump di essere “faziosa” a favore di Israele. Nel mondo di Abbas e dei suoi fedelissimi, ogni amministrazione americana che non crede alle loro menzogne e falsità è una parte “ostile”, controllata dagli ebrei e dai sionisti.
Questo è esattamente ciò che i palestinesi hanno detto di Trump e della sua squadra durante la campagna elettorale per le presidenziali americane.
Ma la vittoria di Trump ha indotto la dirigenza dell’Ap a moderare i toni e questo per un unico motivo: evitare le accuse di essere contraria alla pace.
In effetti, la leadership dell’Autorità palestinese ha mutato il tono, ma la musica rimane la stessa. Stiamo assistendo a una mossa tattica e temporanea da parte dei palestinesi. Questa recita finirà presto. E allora ci si chiede: l’Occidente si accorgerà che il sipario è calato sullo spettacolo?

Bassam Tawil è un musulmano che vive e lavora in Medio Oriente.