Il disastro auto-inflitto della Svezia
Le ragazze terrorizzate di Uppsala; i figli dei terroristi dell’Isis
di Judith Bergman
16 giugno 2019
Pezzo in lingua originale inglese: Sweden’s Self-Inflicted Mess
Traduzioni di Angelita La Spada
Secondo un rapporto di Amnesty International, in Svezia, non viene data priorità alle indagini per stupro, ci sono “tempi di attesa eccessivamente lunghi per i risultati delle analisi del DNA”, non viene fornito abbastanza sostegno alle vittime di violenza sessuale e non c’è sufficiente impegno a fini preventivi.
Nel 2017, un rapporto della polizia svedese, intitolato “Utsatta områden 2017” (“Aree vulnerabili 2017”, comunemente note come “no-go zones” o zone senza legge), mostrava l’esistenza di 61 di tali zone in Svezia, con 200 reti di criminalità, costituite da circa 5 mila criminali. Ventitré di queste aree erano particolarmente critiche. (…)
“Non riesco a sopportare di vedere bambini che se la passano così male. (…) Non dovrebbe esserci ombra di dubbio sul fatto che il governo fa ciò che può per questi ragazzini [figli dei terroristi dell’Isis] e se possibile dovrebbero essere portati in Svezia.” – Il ministro degli Esteri Margot Wallström.
Purtroppo, l’orribile destino dei bambini yazidi ridotti in schiavitù non sembra essere qualcosa che la Wallström “non riesce a sopportare”.
Secondo l’ultimo rapporto sulla sicurezza nazionale, pubblicato dal Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità, quattro donne su dieci hanno paura di camminare liberamente per strada. Secondo il rapporto di Amnesty International, “in uno studio del 2017, l’1,4 per cento della popolazione ha dichiarato di avere subìto uno stupro o degli abusi sessuali, percentuale corrispondente a circa 112 mila persone”. (Fonte dell’immagine: iStock)
Nella pittoresca città universitaria svedese di Uppsala, l’80 per cento delle ragazze non si sente al sicuro in pieno centro storico. Una 14enne, che ha paura di rivelare la sua identità, ha detto ai media svedesi che indossa sempre scarpe da ginnastica in modo da poter “correre veloce” se viene aggredita:
“Mi sono seduta su una panchina e dei ragazzi sono subito venuti a sedersi accanto a me da entrambi i lati e altri si sono messi di fronti a me. Hanno iniziato a toccarmi i capelli e ad afferrarmi le gambe, dicendomi cose che non capivo. Ero così terrorizzata e ho detto loro ripetutamente di smettere, ma non mi hanno ascoltata. (…) Tutto è così orribile. Questo è così sbagliato. Voglio sentirmi sicura [nel tornare a casa in autobus]”, ha dichiarato la ragazzina.
Un recente sondaggio della regione di Uppsala mostra che soltanto il 19 per cento delle ragazze che frequentano le scuole superiori si sente al sicuro nel centro di Uppsala. Nel 2013, la percentuale era del 45 per cento. Gli uomini e i ragazzi che fanno parte delle bande e che molestano sessualmente le ragazze svedesi di Uppsala sono spesso migranti appena arrivati nel paese.
In risposta, i funzionari di Uppsala avrebbero detto alla stampa svedese: “In genere, incoraggiamo le ragazze che non si sentono al sicuro a pensare ciò che devono fare per sentirsi al sicuro, come non camminare da sole per strada, assicurarsi che qualcuno vada a prenderle e qualsiasi altra cosa che possa ridurre il loro senso di insicurezza”. In altre parole, le autorità lasciano alle ragazze stesse la responsabilità di far fronte a questo cruciale problema di sicurezza.
Le ragazze terrorizzate di Uppsala non sono che una piccola parte dell’intero quadro. Secondo il più recente Rapporto sulla sicurezza nazionale, pubblicato dal Consiglio nazionale svedese per la prevenzione della criminalità (Brottsförebyggande Rådet or Brå), quattro donne su dieci hanno paura di camminare liberamente per strada. “Quasi un quarto della popolazione sceglie di prendere una strada diversa o un altro mezzo di trasporto a causa dell’ansia all’idea di essere vittima di un crimine. (…) Tra le donne di età compresa tra i 20 e i 24 anni, il 42 percento dichiara di aver spesso optato per un percorso differente o per un’altra modalità di trasporto, perché non si sente al sicuro e teme di essere vittime di reato. La percentuale corrispondente tra gli uomini della stessa fascia di età è del 16 per cento…”, secondo il Brå.
Ciononostante, il governo sta riducendo le risorse della polizia. Nel nuovo bilancio di primavera, la polizia si è vista tagliare 232 milioni di corone svedesi (24,5 milioni di dollari). “Le proposte del budget di primavera avranno conseguenze per le attività della polizia, ma è ancora troppo presto per capire quali effetti sortirà questa decisione. Ora analizzeremo come gestiremo le nuove condizioni economiche”, ha dichiarato la polizia in risposta alle spese proposte in bilancio, con il capo della polizia Anders Thornberg che critica i tagli.
Per come stanno le cose, la polizia è già oberata da compiti che non riesce ad assolvere correttamente, come risolvere i casi di stupro. Un recente rapporto di Amnesty International, intitolato “Tempo di cambiare: Giustizia per le sopravvissute allo stupro nei paesi del Nord Europa”, pubblicato ad aprile, ha duramente criticato la Svezia per non far fronte adeguatamente ai casi di stupro. Secondo il report dell’organizzazione non governativa internazionale impegnata nella difesa dei diritti umani, in Svezia, non viene data priorità alle indagini per stupro, ci sono “tempi di attesa eccessivamente lunghi per i risultati delle analisi del DNA”, non viene fornito abbastanza sostegno alle vittime di violenza sessuale e non c’è sufficiente impegno a fini preventivi.
Il rapporto di Amnesty afferma:
“Nel 2017, la polizia svedese ha ricevuto 5.236 denunce per stupro sporte da persone dai 15 anni in su: il 95 per cento delle vittime erano donne o ragazze. Le statistiche preliminari per il 2018 mostrano 5.593 denunce per stupro di cui il 96 per cento delle vittime erano donne o ragazze. Tuttavia, sottovalutare gli stupri e altri reati sessuali significa che queste cifre non forniscono un quadro realistico della portata del problema. In uno studio del 2017, l’1,4 per cento della popolazione ha dichiarato di avere subìto uno stupro o degli abusi sessuali, percentuale corrispondente a circa 112 mila persone. La stragrande maggioranza delle vittime di stupro non denuncerà mai il reato alla polizia. Di quelli che lo fanno, in pochi vedranno finire il loro caso in tribunale. Nel 2017, sono stati avviati procedimenti giudiziari che nell’11 per cento dei casi riguardano minori di età compresa tra i 15 e i 17 anni e nel 6 per cento dei casi coinvolgono adulti”.
I reati a sfondo sessuale non sono gli unici crimini che le autorità svedesi si trovano incapaci di affrontare adeguatamente. Nel 2018, la Svezia ha registrato un numero record di sparatorie letali: 45 persone sono rimaste uccise in tutto il paese. La maggior parte di questi episodi ha avuto luogo nella zona di Stoccolma, e il numero maggiore di vittime è stato registrato nella parte meridionale del paese, dove si trova Malmö. “Un numero altissimo” ha detto Gunnar Appelgren, commissario di polizia di Stoccolma. Nel 2017, furono 43 le vittime di colpi d’arma da fuoco. Tuttavia, il numero di questi episodi è diminuito leggermente: passando da 324 nel 2017 a 306 nel 2018. Anche il numero delle persone rimaste ferite è in lieve flessione: 135 nel 2018, rispetto alle 139 nel 2017.
Secondo la polizia, molte delle sparatorie sono collegate a conflitti criminali e alle cosiddette “aree vulnerabili” (utsatta områden, comunemente conosciute come “no-go-zones” o zone senza legge). Nei primi sei mesi del 2018, secondo la polizia, quasi ogni altra sparatoria ha avuto luogo in “un’area vulnerabile”. Nel 2017, un rapporto della polizia svedese, intitolato “Utsatta områden 2017” (“Aree vulnerabili 2017”), mostrava l’esistenza di 61 di tali zone in Svezia, con 200 reti di criminalità, costituite da circa 5 mila criminali. Ventitré di queste aree erano particolarmente critiche: i bambini di dieci anni erano coinvolti in gravi reati, come quelli connessi ad armi e droga. La maggior parte degli abitanti erano immigrati non occidentali, e per lo più musulmani.
Ad aggravare tali problemi, si aggiunge anche il fatto che il ministro degli Esteri svedese Margot Wallström sembra voler riportare in Svezia i figli dei terroristi svedesi dello Stato islamico (Isis) che vivono nei campi profughi in Siria. “È complicato ed è per questo che ci vuole del tempo per elaborare una politica e diffondere un chiaro messaggio, ma ci stiamo lavorando quotidianamente. Non riesco a sopportare di vedere bambini che se la passano così male”, ha di recente affermato la titolare degli Esteri. In un post su Facebook del 12 aprile, la Wallström ha scritto:
“Il governo sta ora lavorando intensamente per garantire che i bambini che hanno legami con la Svezia e si trovano in Siria ricevano l’aiuto di cui hanno bisogno. Non dovrebbe esserci ombra di dubbio sul fatto che il governo fa ciò che può per questi ragazzini, e se possibile dovrebbero essere portati in Svezia. Ogni caso deve essere gestito individualmente. I bambini si trovano in situazioni diverse, alcuni forse sono orfani, altri hanno i genitori in prigione per atti commessi per conto dell’Isis. Identificare gli svedesi che possono essere nati in Siria o in Iraq è difficile. Nei campi profughi più grandi ci sono circa 76 mila persone. Siamo in contatto con la Croce Rossa internazionale. È estremamente importante che la situazione dei bambini sia gestita con chiarezza giuridica e nel miglior interesse dei minori. Gli attori internazionali, le autorità e le amministrazioni comunali svedesi, che possono essere i destinatari dei bambini, devono cooperare…”.
Purtroppo, l’orribile destino dei bambini yazidi ridotti in schiavitù non sembra essere qualcosa che la Wallström “non riesce a sopportare”.
Inoltre, secondo un recente report di SVT Nyheter, 41 amministrazioni comunali svedesi su 290 potrebbero essere costrette, o già lo sono state, ad accogliere i terroristi dell’Isis nell’immediato futuro. I terroristi dell’Isis sono ancora in Siria o stanno già tornando in Svezia. Per “preparare” le municipalità, il Centro svedese contro l’estremismo violento li ha invitati, il 24 aprile scorso, a “una giornata di conoscenza” sui rimpatriati dell’Isis. Lo scopo era quello di “fornire sostegno ai Comuni che hanno accolto o accoglieranno bambini e adulti di ritorno dalle aree precedentemente controllate dallo Stato islamico”. Le municipalità coinvolte sono quelle in cui i terroristi dell’Isis vivevano prima di essere reclutati dall’organizzazione jihadista.
Complessivamente, dovrebbero tornare in Svezia 150 miliziani dello Stato islamico, uomini e donne, così come 80 bambini che viaggiano con i loro genitori.
Secondo il primo ministro Stefan Löfven, i foreign fighter di ritorno hanno “diritto”, come cittadini svedesi, a tornare nel paese. Löfven ha affermato che sarebbe contrario alla Costituzione svedese privarli della loro cittadinanza, ma che coloro che si sono macchiati di crimini saranno processati. Tuttavia, Magnus Ranstorp, esperto svedese di terrorismo, ha messo in guardia la Svezia dal riprendersi non solo i terroristi dell’Isis, ma anche le loro mogli e i figli, i quali rappresentano altresì un rischio per la sicurezza:
“Le donne non sono vittime innocenti e c’è anche un folto gruppo di bambini dell’Isis (…) di età compresa tra gli otto e i nove anni, sono stati inviati nei campi di indottrinamento dove hanno appreso le tecniche di combattimento a distanza ravvicinata e come maneggiare le armi. Alcuni di loro hanno imparato a uccidere (…) le loro identità saranno per sempre collegate all’Isis e al fatto che abbiano un padre o una madre che si sono uniti allo Stato islamico”.
La Svezia sembra intenzionata a importare ancora più problemi.
Judith Bergman è avvocato, editorialista e analista politica. È Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.