I musulmani dicono all’Europa: “Un giorno tutto questo sarà nostro”
di Giulio Meotti 22 agosto 2017
Pezzo in lingua originale inglese: Muslims Tell Europe: “One Day All This Will Be Ours”
Traduzioni di Angelita La Spada
L’arcivescovo di Strasburgo Luc Ravel, nominato da Papa Francesco lo scorso febbraio, ha di recente dichiarato che “i fedeli musulmani sono ben consapevoli del fatto che la loro fertilità è tale che oggi lo chiamano… ‘Grand Remplacement’. Essi dicono in maniera molto pacata e positiva: ‘Un giorno tutto questo sarà nostro’…”.
Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha lanciato un monito contro una “Europa musulmanizzata”. Secondo lui, “il problema dei prossimi decenni è se l’Europa continuerà ad appartenere agli europei”.
“Nei prossimi trent’anni, l’Africa avrà un miliardo di persone in più. Questa cifra è il doppio dell’intera popolazione dell’Unione europea. (…) La pressione demografica sarà enorme. Lo scorso anno più di 180 mila persone sono partite dalla Libia a bordo di imbarcazioni fatiscenti. E questo è solo l’inizio. Secondo l’eurocommissario Avramopoulos, in questo momento tre milioni di africani pianificano di entrare in Europa”. – Geert Wilders parlamentare olandese e leader del Partito della Libertà (PVV).
La scorsa settimana, un nuovo attacco terroristico islamico ha colpito la città spagnola di Barcellona. Essendo stata per parecchi anni sotto il dominio musulmano, la Spagna, come Israele, è un paese che molti islamisti ritengono di avere diritto a riappropriarsi.
Nel frattempo, lontano dalla Spagna, le scuole elementari chiudono per decisione dello Stato, essendo il numero dei bambini sceso a meno del 10 per cento della popolazione. Il governo sta convertendo queste strutture in ospizi, fornendo assistenza agli anziani in un paese dove il 40 per cento della popolazione è di età superiore ai 65 anni. Non è un romanzo di fantascienza. Questo è il Giappone, la nazione più vecchia e più sterile del mondo, dove l’espressione “civiltà fantasma” è diventata un riferimento popolare.
Secondo l’Istituto nazionale per la popolazione e la sicurezza sociale del Giappone, entro il 2040 la maggior parte delle città più piccole del paese vedrà un drammatico calo da un terzo alla metà della loro popolazione. A causa di una drastica diminuzione demografica, molti consigli dei villaggi giapponesi non possono più operare e sono stati chiusi. I ristoranti sono diminuiti da 850 mila nel 1990 a 350 mila oggi, indicando una “essiccazione di vitalità”. Le previsioni suggeriscono che in 15 anni il Giappone avrà 20 milioni di case vuote. È anche questo il futuro dell’Europa?
Tra gli esperti di demografia c’è una tendenza a definire l’Europa “il nuovo Giappone”. Il Giappone, invece, sta affrontando questa catastrofe demografica con le proprie risorse e vietando l’immigrazione musulmana nel paese.
L’Europa sta compiendo un suicidio demografico, spopolandosi, sistematicamente, in ciò che lo storico britannico Niail Ferguson ha definito “la più grande riduzione sostenuta della popolazione europea dopo la peste nera del XIV secolo”, come ha di recente osservato George Weigel.
I musulmani europei sembrano sognare di colmare questo vuoto. L’arcivescovo di Strasburgo Luc Ravel, nominato da Papa Francesco lo scorso febbraio, ha di recente dichiarato che “i fedeli musulmani sono ben consapevoli del fatto che la loro fertilità è tale che oggi lo chiamano… ‘Grand Remplacement’. Essi dicono in maniera molto pacata e positiva: ‘Un giorno tutto questo sarà nostro’…”.
Un nuovo report del think tank italiano Centro Machiavelli rileva che se l’attuale tendenza dovesse continuare, entro il 2065, la quota di immigrati di prima e seconda generazione in Italia supererà i 22 milioni di persone, ossia sarà più del 40 per cento della popolazione totale. Anche in Germania, i minori di 5 anni sono al 36 per cento figli di immigrati. Lo scorso anno, in 13 dei 28 paesi membri dell’Unione Europea, il saldo tra nascite e decessi è stato negativo: senza i flussi migratori le popolazioni di Germania e Italia dovrebbero diminuire rispettivamente del 18 e del 16 per cento.
L’impatto della situazione demografica in caduta libera è più visibile in quella che un tempo era chiamata la “nuova Europa”, i paesi dell’ex blocco sovietico, come Polonia, Ungheria e Slovacchia, per distinguerli da quelli della cosiddetta “vecchia Europa”, come Francia e Germania. Questi paesi dell’Est sono ora quelli più esposti alla “bomba dello spopolamento”, il devastante crollo del tasso di natalità che il giornalista e scrittore Mark Steym ha definito come “il principale problema del nostro tempo”.
Il New York Times si è chiesto perché, “nonostante la popolazione diminuisca, i paesi dell’Europa orientale non vogliono accettare i migranti”. Il drastico calo demografico è esattamente il motivo che li induce a temere di essere rimpiazzati dagli immigrati. Inoltre, gran parte dell’Europa orientale ha già vissuto l’esperienza dell’occupazione musulmana per centinaia di secoli sotto l’Impero ottomano e questi paesi sono tutti consapevoli che ciò potrebbe accadere di nuovo. I paesi che invecchiano temono la comparsa di valori opposti ai loro, se ci fosse un rimpiazzo da parte dell’attuale giovane popolazione straniera.
“Oggi, in Europa ci sono due differenti modi di considerare [il declino e l’invecchiamento della popolazione]”, ha di recente detto il primo ministro ungherese Viktor Orbán. “Uno di questi è quello suggerito da coloro che vogliono risolvere i problemi demografici attraverso l’immigrazione. E l’altra posizione è assunta dai paesi dell’Europa centrale – e tra questi l’Ungheria. La nostra opinione è che dobbiamo risolvere i nostri problemi demografici facendo affidamento sulle nostre stesse risorse e mobilitando le nostre stesse riserve e – riconosciamolo – rinnovandoci spiritualmente”. Secondo lui, “il problema dei prossimi decenni è se l’Europa continuerà ad appartenere agli europei”.
Anche l’Africa sta esercitando pressioni sull’Europa con una bomba demografica a tempo. Secondo il parlamentare olandese Geert Wilders:
“Nei prossimi trent’anni, l’Africa avrà un miliardo di persone in più. Questa cifra è il doppio della popolazione dell’intera Unione europea. (…) La pressione demografica sarà enorme. Un terzo degli africani vuole spostarsi all’estero e molti vogliono venire in Europa. Lo scorso anno più di 180 mila persone sono partite dalla Libia a bordo di imbarcazioni fatiscenti. E questo è solo l’inizio. Secondo l’eurocommissario Avramopoulos, in questo momento tre milioni di africani pianificano di entrare in Europa”.
L’Europa orientale si sta assottigliando. Anche la demografia è diventata un problema per la sicurezza dell’Europa. Diminuisce il numero delle persone che prestano servizio nell’esercito e operano nell’assistenza sociale. Il presidente della Bulgaria, Georgi Parvanov, ha invitato tutti i dirigenti del paese a partecipare a una riunione del Comitato consultivo nazionale interamente dedicata al problema della sicurezza nazionale. Un tempo, i paesi dell’Europa orientale temevano i carri armati sovietici, ora temono le culle vuote.
Le Nazioni Unite hanno stimato che lo scorso anno nell’Europa orientale c’erano circa 292 milioni di persone, diciotto milioni in meno rispetto agli inizi degli anni Novanta. Questa cifra equivale alla scomparsa dell’intera popolazione dei Paesi Bassi.
Il Financial Times ha definito la situazione nell’Europa orientale come “la perdita più importante di popolazione della storia moderna”. La sua popolazione sta diminuendo come mai prima d’ora. Neppure la Seconda guerra mondiale, con i suoi massacri, le deportazioni e i suoi movimenti di popolazioni, era giunta sull’orlo di questo baratro.
La soluzione di Orbán – risolvere il problema del calo demografico utilizzando le risorse proprie del paese – è l’unico modo che ha l’Europa per evitare la previsione dell’arcivescovo Ravel di un “grand remplacement”. L’immigrazione di massa probabilmente riempirà le culle vuote – ma poi anche l’Europa diventerà una “civiltà fantasma”. È solo un differente tipo di suicidio.
Giulio Meotti, redattore culturale del quotidiano Il Foglio, è un giornalista e scrittore italiano.
APPENDICE
Entro il 2050, la Romania perderà il 22 per cento della sua popolazione, seguita dalla Moldavia (20 per cento), dalla Lettonia (19 per cento), dalla Lituania (17 per cento), dalla Croazia (16 per cento) e dall’Ungheria (16 per cento). Romania, Bulgaria e Ucraina sono i paesi in cui il calo demografico sarà più drastico. Si stima che nel 2050 la popolazione della Polonia conterà 32 milioni di abitanti rispetto ai 38 milioni attuali. Circa duecento scuole sono state chiuse, ma ci sono abbastanza bambini per riempire quelle rimanenti.
In Europa centrale, la proporzione della popolazione “over 65” è aumentata di un terzo tra il 1990 e il 2010. La popolazione ungherese ha toccato il punto più basso degli ultimi cinquant’anni. Il numero degli abitanti è sceso da 10.709.000 del 1980 agli attuali 9.986.000. Nel 2050, in Ungheria, ci saranno 8 milioni di abitanti e uno su tre avrà più di 65 anni. L’Ungheria oggi ha un tasso di fecondità di 1,5 figli per donna. Se si esclude la popolazione rom, questa cifra scende a 0,8, la più bassa del mondo, il motivo per il quale il premier Orbán ha annunciato nuove misure per risolvere la crisi demografica.
In Bulgaria, tra il 2015 e il 2050, si registrerà il più veloce calo demografico del mondo. Essa fa parte di un gruppo di paesi le cui popolazioni tra il 2015 e il 2050 dovrebbero diminuire di oltre il 15 per cento, insieme alla Bosnia Erzegovina, alla Croazia, all’Ungheria, al Giappone, alla Lettonia, alla Lituania, alla Moldavia, alla Romania, alla Serbia e all’Ucraina. Si stima che la popolazione bulgara, che ammonta a circa 7,15 milioni di abitanti, scenderà a 5,15 milioni entro 30 anni – un calo del 27,9 per cento.
Secondo dati ufficiali, in Romania sono nati 178.000 bambini. A titolo di confronto, nel 1990, il primo anno dopo la caduta del regime comunista, ci furono 315.000 nascite. Lo scorso anno in Croazia si sono registrate 32.000 nascite, un calo del 20 per cento rispetto al 2015. Lo spopolamento della Croazia potrebbe portare alla perdita di 50.000 abitanti l’anno.
Quando la Repubblica ceca faceva parte del blocco comunista (come Cecoslovacchia), il suo tasso di fecondità era opportunamente prossimo al tasso di sostituzione (2,1). Oggi, è il quinto paese più sterile del mondo. La Slovenia ha il prodotto interno lordo (Pil) pro capite più alto dell’Europa orientale, ma un tasso di fecondità molto basso.