I consigli della sharia e gli abusi sessuali in Gran Bretagna

I consigli della sharia e gli abusi sessuali in Gran Bretagna

di Khadija Khan   20 aprile 2017

Pezzo in lingua originale inglese: Sharia Councils and Sexual Abuse in Britain
Traduzioni di Angelita La Spada

Per quanto questo sia terribile, c’è un lato ancora più oscuro della storia: in base alla legge della sharia, il secondo marito non ha l’obbligo di concedere alla moglie un divorzio veloce, cosa che gli permette di tenerla con sé come schiava sessuale per tutto il tempo che vorrà.

Se ci si chiede come questo possa concordare con la legge inglese, la risposta è che ciò è discordante.

La ong Muslim Women’s Network che opera nel Regno Unito ha inviato una lettera aperta – con un centinaio di firme – al governo britannico e all’Home Affairs Select Committee chiedendo di fare luce sull’operato del Consiglio della Sharia per stabilire se le sue pratiche sono conformi alla legge inglese. Come risposta, il Consiglio della Sharia ha definito la lettera “islamofobica” e ha accusato Muslim Women’s Network di essere un’organizzazione antimusulmana.

La legge inglese, non la sharia, è quella che tutela le singole persone e le coppie musulmane, come qualsiasi altro cittadino. Contrariamente a quanto dicono i difensori di questa farsa, la condizione delle donne musulmane dovrebbe essere considerata e trattata come una questione dei diritti umani.

Lo scandalo più recente relativo allo sfruttamento sessuale delle donne musulmane da parte dei capi religiosi islamici del Regno Unito è un’ulteriore prova del modo in cui la Gran Bretagna distoglie lo sguardo dalle orribili pratiche perpetrate proprio sotto i suoi occhi.

Un’inchiesta della BBC sulla “halala” – una pratica che consente a una donna musulmana divorziata di risposare il proprio marito dopo essersi unita in matrimonio a un altro uomo, aver consumato l’unione e aver divorziato da quest’ultimo – ha rivelato che gli imam in Gran Bretagna non solo incoraggiano questa pratica, ma ne approfittano finanziariamente. Questa depravazione ha portato molte di queste donne a essere tenute in ostaggio, letteralmente e metaforicamente, dagli uomini pagati per diventare i loro secondi mariti.

Tale pratica, che è considerata una errata interpretazione della legge islamica della sharia anche dagli sciiti estremisti e dai salafiti in salsa saudita, è osservata da certe sette islamiche come gli hanafiti, i barelvi e i deobandi. Quando un marito dice alla moglie tre volte la parola araba talaq, che significa divorzio, queste sette considerano nullo un matrimonio musulmano. Una donna può risposare il marito che l’ha ripudiata, solo dopo aver sposato un altro uomo – consumato il matrimonio – e dopo che lui le concede il divorzio.

Questi riti di divorzio, nonostante le leggi del paese, sono comuni in India, Bangladesh, Pakistan e altri paesi asiatici, dove la maggioranza degli abitanti appartiene alle sette hanafite, barelvi o deobandi. Nonostante i seminari locali, le moschee e i servizi online caldeggino e promuovano apertamente l’halala senza essere perseguiti, questa pratica è accettata dalla società e raramente è monitorata dalle autorità statali.

Nel Regno Unito, l’halala è emersa come un affare che va a gonfie vele, con siti web e social media che offrono alle donne un secondo marito in cambio di somme di denaro esorbitanti. Per quanto questo sia terribile, c’è un lato ancora più oscuro della storia: in base alla legge della sharia, il secondo marito non ha l’obbligo di concedere alla moglie un divorzio veloce, cosa che gli permette di tenerla con sé come schiava sessuale per tutto il tempo che vorrà.

Una donna musulmana, che ha cambiato idea sull’halala dopo aver vissuto questa esperienza, ha detto alla BBC che ha conosciuto altre donne nella sua stessa condizione, che sono state abusate sessualmente per mesi dai secondo mariti pagati per sposarle. Secondo un articolo pubblicato dal Guardian, il Consiglio della Sharia della Gran Bretagna afferma che si occupa annualmente di centinaia di casi di divorzio.

Questo famigerato consiglio è indirettamente responsabile di ciò che è sostanzialmente diventata una pandemia di stupri, in quanto non fa nulla per fermare o confutare l’halala. L’unico inconveniente, afferma il consiglio, è che gli imam che presiedono a questa pratica non seguono le opportune linee guida, secondo le quali il secondo matrimonio e il divorzio non devono essere premeditati, ma devono avvenire in maniera naturale.

Se ci si chiede come questo possa concordare con la legge inglese, la risposta è che ciò è discordante. Ma nel Regno Unito i giovani musulmani sono scoraggiati dalle loro comunità dal contrarre matrimonio secondo la legge inglese e viene detto loro che spetta agli imam celebrare le nozze che vengono poi registrate dai consigli della sharia. Le coppie che si conformano finiscono per essere alla mercé delle autorità islamiche che si occupano di questioni soggette al diritto di famiglia, divorzio incluso.

A causa delle sue pratiche eticamente scorrette condotte in nome della legge religiosa, il Consiglio della Sharia ha attirato molte volte l’attenzione pubblica. Lo scorso novembre, ad esempio, la ong Muslim Women’s Network che opera nel Regno Unito ha inviato una lettera aperta – con un centinaio di firme – al governo britannico e all’Home Affairs Select Committee chiedendo di fare luce sull’operato del Consiglio della Sharia per stabilire se le sue pratiche sono conformi alla legge inglese.

Come risposta, il Consiglio della Sharia ha definito la lettera “islamofobica” e ha accusato Muslim Women’s Network di essere un’organizzazione antimusulmana. Inoltre, la parlamentare laburista Naz Shah ha preso prontamente le difese del Consiglio della Sharia respingendo l’idea di un’inchiesta, in quanto la chiusura di consigli del genere potrebbe significare che altre donne sarebbero intrappolate in matrimoni fatti di abusi.

Pur riconoscendo che questi consigli potrebbero essere usati come strumenti per negare alle mogli i loro diritti, la Shah ha detto anche che essi fungono da preziosi arbitri nelle controversie coniugali.

Le sue affermazioni sono totalmente infondate. La legge inglese, non la sharia, è quella che tutela le singole persone e le coppie musulmane, come qualsiasi altro cittadino.

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Se il governo britannico si fosse occupato di questa pratica scorretta del Consiglio della Sharia quando è emersa, oggi non ci troveremo di fronte a questa pandemia. Contrariamente a quanto dicono i difensori di questa farsa, la condizione delle donne musulmane dovrebbe essere considerata e trattata come una questione dei diritti umani.

È tempo che il governo britannico prenda coscienza e agisca in modo fermo nei confronti di un sistema immorale e probabilmente illegale. E prima sarà meglio è, affinché l’intero sistema dei consigli della sharia diventi impraticabile per proteggere migliaia di donne dagli abusi.

Khadija Khan è una giornalista e cronista residente in Pakistan.