Se anche un clochard può insegnarti che cos’è la libertà
Massimo Piombo – Dom, 26/05/2019
Guardatevi dal conformismo. Il conformismo uccide. Uccide la creatività, l’individualità, l’originalità.
Nella vita quotidiana, nel lavoro, nelle scelte individuali, il conformismo è nemico della fantasia, è nemico del pensiero critico. Il conformismo è il peggior nemico della nostra individualità: anzi, è, precisamente, il più grande nemico di noi stessi.
Seguire gli altri, infatti, vuol dire rinunciare a sé stessi, alla propria unicità. L’unico vero antidoto al conformismo è la totale libertà, la capacità di liberarsi dalle paure: paura di non piacere agli altri, di fare scelte sbagliate, di non essere all’altezza delle aspettative di chi ci è vicino. Ma quando si è liberi non si sbaglia mai: o per lo meno, forse si sbaglia, ma si sbaglia con la propria testa, e non con la testa degli altri. Nel vestire, il conformismo scatta quando si vuole imitare gli amici, i colleghi, gli influencer, la pubblicità. Quando non si è liberi di scegliere con la propria testa il proprio abito, che è poi il modo di presentarsi al mondo. L’abito è il nostro passaporto nel mondo: il modo in cui ogni giorno decidiamo, consciamente o meno, di «mascherare» la nostra anima al cospetto degli altri. Non esiste un modo «sbagliato» di vestirsi, se sentiamo come «nostro» un vestito che indossiamo. Ogni giorno, infatti, noi dovremmo aprire l’armadio e sentirci liberi di vestirci come più ci aggrada. Senza influenze esterne, senza condizionamenti di alcun tipo. Senza preoccuparci di piacere agli altri: noi dobbiamo piacere prima di tutto a noi stessi. Solo in questo modo, anche gli altri ci rispetteranno per ciò che siamo. Se qualcuno pensa che un giorno siamo vestiti male, va bene lo stesso: o quella persona non capisce ciò che volevamo esprimere, o forse noi stessi, quel determinato giorno, avevamo davvero bisogno di vestirci «male», di trascurarci, di non curarci: forse, ne avevamo bisogno al solo scopo di sentirci veramente liberi.
Un giorno, a New York, mi è capitato di vedere un clochard: un cappello, una grossa maglia rossa addosso, dei calzoni malandati ma di pregio, le sue brave sneakers ai piedi, quel clochard aveva una scioltezza e una libertà nel muoversi e nel portamento, che per un attimo gli ho invidiato. Era uno strano miscuglio di vestiti differenti, eppure, a suo modo, era perfetto, perché era vestito in maniera totalmente libera, certo casuale, incurante di ciò che la gente poteva pensare o non pensare di lui.
A volte, i clochard si vestono con le cose che qualche persona generosa regala loro, così può capitare di vederne con addosso dei vestiti di estrema eleganza, seppure trasandati, mescolati magari con altri vestiti più dozzinali. Questa estrema libertà del vestire ha a volte un fascino del tutto suo: è l’esempio perfetto di quello che noi stessi, scegliendo un capo nell’armadio al mattino, dovremmo involontariamente cercare di imitare. Perché se lasciamo la libertà a briglia sciolta, a guidarci nelle scelte, consciamente o meno, non sarà il piccolo conformista che inevitabilmente abita un po’ in ognuno di noi, ma semmai il piccolo clochard: cioè l’uomo libero, istintivo, incurante del giudizio altrui, che alberga nella nostra anima.
Mi viene in mente il filosofo greco Diogene, del quale si narra come, un giorno, venisse avvicinato da Alessandro Magno, il quale, colpito dalla sua povertà, esclamò: «Chiedimi quello che vuoi, te lo darò». E Diogene, che stava prendendo il sole, rispose: «Spostati dal sole, e non farmi ombra!». Così Alessandro Magno si allontanò borbottando tra sé e sé: «Se non fossi Alessandro, vorrei essere Diogene!». A volte anch’io avrei la tentazione di dire: se non fossi Piombo, vorrei essere un clochard. Per provare l’ebbrezza della vera libertà. Anche nel vestire.