Genitori e figli
È tutta questione di… amore.
Siamo una specie che necessita di molti anni prima che il proprio cucciolo diventi più autonomo, per arrivare anziani con una serie acquisita di conoscenze, e la scoperta di punti di riferimento affettivo-relazionali stabili, come quello materno e paterno, rappresenta un prerequisito evolutivo assai determinante.
Da questa relazione può dipendere tutta la nostra vita ulteriore, sebbene non si possa essere completamente certi di questo nesso causale.
Non dimentichiamo che la vita, ossia la natura, possiede una quota di fantasia maggiore di quella umana, e non saremo mai certi del presunto nesso causale che la nostra mente crea fra un antecedente e un conseguente. Siamo noi, occidentali specialmente, a stabilire che fra questi due ultimi elementi il primo sia definibile causa e il secondo effetto.
In realtà, e fortunatamente, questa attribuzione è soltanto un espediente della mente per semplificare le cose, nella consapevolezza che la realtà è molto più complessa della nostra logica che la vuole spiegare.
Il vantaggio esistenziale del neonato consiste nel ricevere quelle dosi necessarie di protezione, cibo e attenzione grazie alle quali si conferma altrettanto vantaggioso per la madre accudire il figlio, con lo scopo di garantire il futuro al proprio cucciolo e dunque la sopravvivenza della specie. Quando questo vantaggio reciproco termina, perché la madre non può accudire il figlio per sempre e con la stessa intensità per molto tempo, dovendosi occupare anche di mettere al mondo altri figli, interviene un progressivo abbandono, con il conseguente sviluppo dell’autonomia nel figlio.
In sostanza, siamo in presenza di un rapporto inversamente proporzionale, per cui le attenzioni materne sono maggiori quanto minore è il grado di autonomia del figlio, e il grado di autonomia del figlio aumenta quando diminuiscono, progressivamente, le attenzioni materne.
R.L. Trivers, che parla anche di affettività di andata, quella genitoriale, e di ritorno, quella filiale, è chiaramente sulle posizioni evoluzionistiche di Darwin, ma riesce a spiegare, dal mio punto di vista, anche in modo plausibile, quanto diventi importante valutare la formazione dell’ego in termini energetici.
Oserei dire persino ergonomici.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).