Gay Pride di Stato
È tutta questione di… differenze naturali e necessarie.
Siamo davvero un Paese ridicolo. Oramai, tutte le mattine, quando comincio a lavorare, nel mio studio tranquillo, circondato da alberi nel fresco toscano (ho la fortuna di non soffrire il caldo), appena accendo il pc sorrido e penso: “Chissà quale notizia esilarante troverò questa mattina sul comportamento umano”. E, devo dire, che noi italiani siamo ricchi di fantasia, nel bene e nel male, ovviamente.
Quando ho letto questa titolo, (“Al Gay Pride tirano fuori il birillo… E io non posso esporre W la fica”-Alessandro De Simoni ha sfidato il Gay Pride esponendo lo striscione “W la Fica”. Ma gli agenti glielo hanno fatto togliere. “Non c’è libertà di espressione”) il sorriso si è fatto lievemente amaro e mi sono esterrefatto quando ho letto l’articolo. Non commento quello che la senatrice Cirinnà ha dichiarato, perché in genere non vi sono commenti da fare rispetto a quello che dice. Un po’ come con la Boldrini. Quasi tutte le loro esternazioni sono una espressione di annichilimento cognitivo. Quindi, alla toscana: mi taccio.
Ho già scritto sulla legge delle unioni civili, con la quale si discriminano, di fatto, gli eterosessuali. Ma questa è stata utile per prendere voti, e perdere le amministrative. Tipico di questo #PD, Deo Gratias: autodistruggersi. Ho anche scritto sul Gay Pride, assimilandolo ad una carovana circense utile a tutti coloro che non sanno essere Diversamente uguali, come scrivo nel mio libro, e senza riferirmi a diversità di tipo sessuale. Non capisco, quindi, perché sia considerato volgare uno striscione che risponde alla altrettanta e osannata volgarità che emerge ad ogni sfilata del Gay Pride. Striscione perfettamente sintonico con lo stile degli urlanti danzatori variopinti e seminudi, per le strade delle città. Ma siamo in pieno regime.
E poi, esce questa notizia sulla Germania, che apre le porte a qualche cosa che dovrebbe essere discusso con maggiore prudenza: l’adozione di bambini. Anni ed anni ho trascorso (e non da solo) a dire che entrambe le figure genitoriali sono importanti, padre e madre, soprattutto a livello di sviluppo cognitivo infantile e dunque emozionale, ed ora, come accade spesso, sento affermare che maschi o femmine sono la stessa cosa. Certo, si chiamano care giver, come se con un nome anglosassone si mettessero a tacere un secolo ed oltre di studi pedagogici e psicologici.
Ritengo che la più grande rivoluzione oggi – secondo l’ottica dell’Antropologia della mente, che studia proprio gli atteggiamenti mentali e quelli comportamentali della nostra umanità –, è il mantenimento di quella libertà interiore espressa dalla tradizione. Da sempre esistono omosessuali perfettamente integrati che non hanno bisogno di ostentare nessuna differenza, perché perfettamente identici a tutti gli altri nei comportamenti, senza bisogno di travestirsi.
Un discorso a sé va fatto invece per le disforie di genere, di cui non mi occupo in questo articolo.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura. Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà; vice-segretario generale della CCLPW , per la Campagna Internazione per la Nuova Carta Mondiale dell’educazione (UNEDUCH), ONG presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Parlamento Europeo, e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
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