Francia: Gli islamisti vanno a caccia in branco su Facebook
di Yves Mamou 29 ottobre 2017
Pezzo in lingua originale inglese: France: Facebook Islamists Hunt in Packs
Traduzioni di Angelita La Spada
I “team di moderatori” per i social media della Francia in genere sono situati nei paesi francofoni con manodopera a basso costo, nel Nord Africa e in Madagascar. In Francia, circolano molte voci sul fatto che i moderatori di Facebook si trovino nei paesi musulmani francofoni come Tunisia, Algeria e Marocco. Il social network non conferma né nega di subappaltare il lavoro di “moderazione” a società che impiegano manodopera musulmana a basso costo in Nord Africa.
In particolare, i diffusori musulmani di odio continuano a proliferare su Facebook, mentre gli anti-islamisti sono vittime di vessazioni e si ritrovano senza account.
Questi utenti di Facebook, come decine e decine di altri, sembrano essere le vittime di “branchi” islamisti. Una volta che le opinioni e le analisi di questi utenti non passano inosservate, vengono denunciate al social network come “razziste” o “islamofobe” e i loro account eliminati.
Fatiha Boudjahlat, la cofondatrice del movimento laicista Viv(r)e la République, è una figura di spicco dell’anti-islamismo in Francia. Viene costantemente intervistata in tv e alla radio e i suoi editoriali sono regolarmente pubblicati su Le Figaro. Di recente, su Facebook, la Boudjahlat ha fortemente criticato un’impiegata governativa islamista, Sonia Nour, per aver definito “un martire”, l’slamista tunisino che ha ucciso due ragazze a Marsiglia. Qualche settimana dopo l’omicidio, l’account Facebook della Boudjahlat è stato cancellato.
Ma non è la sola ad essere stata presa di mira dagli islamisti su Facebook. Leila Ourzik, un’artista che vive a Grigny, un sobborgo di Parigi ad alta densità islamica, è una musulmana che mangia e beve apertamente durante il Ramadan e si oppone all’uso del velo. A causa del suo comportamento non islamico, la donna viene pubblicamente offesa e minacciata quotidianamente, anche sui social network. Su Facebook, la Ourzik è diventata un bersaglio. Gli islamisti l’hanno vessata con insulti e minacce, hanno postato la sua foto su siti web porno e alla fine sono riusciti a ottenere la cancellazione del suo account su Facebook. All’improvviso, senza alcun preavviso, il suo profilo è stato chiuso. “Non una, ma molte volte”, dice al Gatestone. Per quale motivo? “Non lo so, non lo dicono mai. Ma un giorno, è finita, è stato cancellato tutto”.
Il profilo di Olivier Aron, un dentista e un ex politico, è stato rimosso da Facebook per settimane. Aron è attivo nei dibattiti sull’Islam e l’islamismo. Anche lui non ha paura. Sul social network contraddice gli islamisti, ma loro non sembrano interessati al dibattito. Preferiscono la censura. Secondo Araon, molti di loro si sono lamentati con Facebook. “Immagino che mi abbiano accusato di essere razzista e islamofobo”, ha detto Aron. “L’intimidazione è dappertutto. Un uomo che non conosco ha scoperto il mio numero di telefono e i miei contatti e li ha inviati a tutti i suoi amici”. Le conseguenze non si sono fatte attendere. L’assistente dello studio dentistico di Aron ha ricevuto un’allarmante telefonata: “Di’ al dottor Aron che ‘Kelkal’ lo ucciderà”. Kelkal, un terrorista islamista algerino, era un membro del Gruppo Islamico Armato (GIA) e responsabile dell’ondata di attacchi in Francia, nell’estate del 1995. Anche se Kelkal è stato ucciso dalla polizia venti anni fa, per molti musulmani radicalizzati, rimane il prototipo del jihadista “moderno”.
La scorsa primavera, anche Michel Renard, un insegnante di storia a Saint Chamond, è stato cancellato da Facebook. “Senza alcun preavviso, senza alcuna possibilità di parlare con qualcuno, improvvisamente tutti i miei scritti sono spariti”, ha raccontato al Gatestone. Renard aveva postato online delle analisi molto dettagliate sull’islamismo. “Ma”, egli ha spiegato, “gli islamisti sono estremamente attivi su Facebook. Ti insultano. Ti minacciano”. Anche se Renard aveva rifiutato “le richieste di amicizia” sul social dei suoi alunni, “i loro genitori si sono lamentati con il dirigente della scuola. (…) Le intimidazioni sono ovunque, nella vita reale e in rete”.
Questi utenti di Facebook, come decine e decine di altri, sembrano essere le vittime di “branchi” islamisti. Una volta che le opinioni e le analisi di questi utenti non passano inosservate, vengono denunciate a Facebook come “razziste” o “islamofobe” e i loro account eliminati.
In Francia, Facebook cancella migliaia di account ogni anno. Sarebbe interessante sapere quanti di questi profili sono stati eliminati perché i loro proprietari hanno messo in discussione l’islamismo, ma nessuno lo sa: il social network divulga solo blande dichiarazioni standard che sembrano ovviamente destinate a evitare di spiegare qualcosa.
Quello che sappiamo è che “Facebook ha 4500 ‘moderatori di contenuti’ e di recente ha annunciato di volerne assumere altri 3000”, secondo quanto riportato da The Guardian. Settemilacinquecento moderatori per più di due miliardi di utenti di Facebook? È ridicolo.
Il Guardian continua: “Ci sono centri di moderatori in tutto il mondo, ma Facebook si rifiuta di rivelare il numero esatto o i luoghi”. E allora la domanda dovrebbe essere: Facebook ricorre a fonti esterne per la moderazione dei contenuti, e se sì, a chi?
In Francia, tre società sembrano competere come subappaltatrici per moderare i contenuti online: Netino, Concileo e Atchik Services. I “team di moderatori” per i social media della Francia in genere sono situati nei paesi francofoni con manodopera a basso costo, nel Nord Africa e in Madagascar. In Francia, circolano molte voci sul fatto che i moderatori di Facebook si trovino nei paesi musulmani francofoni come Tunisia, Algeria e Marocco. Il social network non conferma né nega di subappaltare il lavoro di “moderazione” a società che impiegano manodopera musulmana a basso costo in Nord Africa.
In particolare, i diffusori musulmani di odio continuano a proliferare su Facebook, mentre gli anti-islamisti sono vittime di vessazioni e si ritrovano senza account.
Tutto questo è un sintomo della negazione dominante nei media francesi che continua a ripetere – nonostante numerosissime prove indichino il contrario – che “l’islamismo non è in guerra con la cultura occidentale”. Di conseguenza, la libertà di espressione in Francia è ora “moderata” da musulmani che vivono in paesi islamici.
Paradossalmente, però, se Facebook affidasse la gestione della “moderazione dei contenuti” a società in Francia o Belgio il risultato sarebbe lo stesso. I musulmani estremisti cacciano in branco, mentre gli anti-estremisti sono essenzialmente dei solitari. Il Conseil supérieur de l’audiovisuel, ad esempio, l’autorità amministrativa indipendente francese con compiti di regolazione e di controllo nell’ambito della radiotelevisione, è travolta da un’ondata di proteste ogni volta che il giornalista francese anti-islamista Éric Zemmour appare in televisione. Zemmour viene citato in giudizio almeno due volte l’anno con l’accusa di “razzismo”, semplicemente perché organizzazioni islamiste come il Collectif contre l’islamophobie en France (Collettivo contro l’islamofobia in Francia) lanciano campagne per esortare i musulmani francesi a protestare contro “l’islamofobia” di Zemmour. È lo stesso sistema utilizzato per i social network? È possibile, vista la totale mancanza di trasparenza delle decisioni di Facebook.
Purtroppo, i contrattacchi contro queste campagne intimidatorie condotte da branchi di lupi sono ancora “in fase di costruzione”.
Non solo Facebook censura i contenuti utilizzando i “moderatori”, ma la società ha anche creato una squadra di intervento che si occupa delle richieste da parte della polizia e delle agenzie di sicurezza. In Francia, tali richieste da parte dei tribunali e dei dipartimenti giudiziari sono aumentate passando da 3208 istanze nel 2013 a 8121 nel 2016. Secondo Le Journal du Net, un sito web d’informazione dedicato all’attualità dei media, nel 2015, “a seguito di richieste governative, Facebook ha cancellato in Francia 37.990 pagine, a fronte delle 30.126 rimosse durante lo stesso periodo in India, di 6574 in Turchia e solo 85 in Russia”.
Sono state cancellate esclusivamente le pagine con contenuti islamisti e jihadisti? Cos’altro? Contenuti scomodi? Per i governi in Europa gli anti-jihadisti sono considerati un problema ancora più grave rispetto ai jihadisti.
Nell’aprile scorso, Facebook ha pubblicato un documento intitolato “Information Operations and Facebook”. A pagina 9, si può leggere, “in Francia, ad esempio, a partire dal 13 aprile, questi miglioramenti di recente ci hanno permesso di agire contro oltre 30 mila profili falsi”. I “miglioramenti” di cui parla il social network si riferiscono a nuove tecniche analitiche che consentono a Facebook di rimuovere gli account seriali che diffondono “fake news” – notizie bufala. E non sorprende che questi “profili falsi” siano stati particolarmente attivi durante la campagna per le presidenziali francesi nella primavera 2017.
Per Facebook e per i funzionari francesi, il grande dilemma non sembra essere: “L’islamismo è in guerra con la nostra libertà di espressione?”, ma piuttosto: “Vladimir Putin interferisce con la politica francese?” Facebook presta attenzione a questo. Il social network non può permettersi di ignorare le richieste dei politici. In ogni paese, i suoi introiti pubblicitari dipendono dai buoni rapporti che intrattiene con i poteri pubblici.
È importante ricordare come nel 2015, al culmine della crisi migratoria, la cancelliera tedesca Angela Merkel incalzò il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg a rimuovere migliaia di post contro la migrazione di massa pubblicati su Fb. “Ci stai lavorando?”, gli chiese la Merkel in inglese, e Zuckerberg replicò che “lo stava facendo”.
Due anni dopo, gli strumenti di intelligenza artificiale si apprestano a portare pace e tranquillità ai governi in cambio di profitti veloci, ma non la pace ai cittadini.
Yves Mamou, vive in Francia, ha lavorato per vent’anni come giornalista per Le Monde.