𝐄𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐢𝐬𝐭𝐢, 𝐦𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐜𝐢𝐧𝐢𝐜𝐢
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Essere realisti, ma non cinici
Intervista a cura di Giuliano Guzzo per Il Timone
1. La netta vittoria del centrodestra alle urne si può considerare il ritorno del sovranismo, dato da alcuni per spacciato dopo le sconfitte e mancate vittorie elettorali di Trump contro Biden e di Marine Le Pen in Francia?
A giudicare dalla volontà popolare sembra davvero che quella parte cospicua d’Italia che si è riconosciuta nella Meloni e nella sua coalizione, abbia chiesto un ruolo più attivo, indipendente e sovrano dell’Italia nel contesto europeo e internazionale. E non si tratta di una tendenza solo italiana, se consideriamo che ormai in quasi tutto l’Occidente vincono, hanno vinto o sfiorano la vittoria movimenti che in modo diverso pongono gli stessi problemi e interpretano la stessa scontentezza sociale: critica all’establishment, alle sue oligarchie e al mainestream, rifiuto del politically correct e delle ossessioni intolleranti del progressismo e richiesta di maggiore sovranità nazionale e popolare.
2. Che esecutivo sarà, secondo lei, quello di Giorgia Meloni? Come se lo aspetta?
Non mi faccio illusioni. Mi aspetto un esecutivo di compromesso, con i grandi poteri che avvolgono il governo nella governance. Per rendere meglio l’idea ho figurato che la Meloni sia un po’ come la bambola più piccola all’interno di una matrioska con bambole più grandi che la contengono, di tipo istituzionale-burocratico, economico-finanziario, euroatlantico e Nato. Il suo governo rispecchierà questa situazione, non penso che farà strappi. E se non lo facesse, se non si adeguasse, in poco tempo sarebbe spazzato via o costretto a capitolare. O comunque dovrebbe ingaggiare una guerra così impegnativa che richiede ranghi adeguati, persone capaci, all’altezza della situazione e della sfida.
3. Come interpretare il minimo storico del Pd di Letta da una parte e, dall’altra, la tenuta sorprendente del Movimento 5 Stelle guidato da Conte?
Il Pd non ha espresso alcun messaggio positivo agli italiani ma ha solo cavalcato la paura della destra, di Putin, di Orban, di Mussolini. Non esprime ormai da tempo alcun tema che abbia rilevanza sociale, popolare, non riesce a sintonizzarsi con la vita reale, si rifugia in schemi e fantasmi del passato, si fonda sull’antifascismo in assenza di fascismo. Qui ha avuto facile gioco il Movimento 5 Stelle che combinando il pauperismo frustrato dalla sinistra Ztl e la demagogia populista con l’antica tendenza clientelare del sud, soprattutto democristiana, ha potuto – con un voto di scambio – garantirsi di ottenere un risultato notevole, pur avendo dimezzato i suoi voti rispetto alle elezioni precedenti.
4. A fine agosto fa lei scriveva che sui temi etici e valoriali, tra centrodestra e centrosinistra, «si delinea un’effettiva differenza almeno sul piano culturale, che difficilmente si tradurrà sul piano checoncreto e legislativo». Resta di tale avviso o secondo lei il centrodestra – forte di maggioranze chiare in entrambe le Camere – potrà incidere?
Quella forte differenza di sensibilità, di “valori” e di cultura è – come dicevo – ciò che più caratterizza e divide il popolo “di destra” dal popolo “di sinistra”. Il bipolarismo è più marcato nella società che nella politica. E’ una differenza più spiccata e più radicale a livello di opinione pubblica, di basi elettorali che di partiti. Penso, o forse temo, che molte enunciazioni perentorie saranno presto ridimensionate, si tratterà di battaglie più simboliche che reali. Del resto devo riconoscere che la Meloni è stata prudente già in campagna elettorale, non sbilanciandosi con grandi promesse: si è tenuta piuttosto “bassa” in tema di aborto, coppie omosessuali e diritti civili, e penso che ancor di più lo sarà nella prassi, quando dovrà scontrarsi con un’onda d’urto possente e intollerante, pronta a criminalizzarla e a deferirla alle corti europee…
5. La vera opposizione al nuovo governo sarà in Parlamento o a Bruxelles e su Instagram e in tv, verrà cioè dalle istituzioni o dall’estero e dall’etere? Gli influencer hanno spinto la campagna elettorale progressista – o ci hanno provato – e la Presidente Von der Leyen aveva minacciosamente detto, poco prima del voto, che se in Italia «le cose andranno in una direzione difficile, abbiamo degli strumenti…».
L’opposizione sarà larga, articolata e avvolgerà il governo Meloni dall’alto, ai fianchi e pure dal basso con manifestazioni di piazza. Si mobiliteranno poteri, magari gli stessi che poi tratteranno con il governo e cercheranno un compromesso. Ma è chiara, evidente, l’ostilità che dovrà affrontare. Il problema sarà vedere come reagirà, se sarà troppo cedevole sarà ancor più incalzata fino a capitolare; se sarà troppo rigida verrà trattata come il mostro da estirpare, e naturalmente pioveranno accuse di ogni tipo, anche internazionali. La capacità della Meloni e del suo governo dovrà essere una creativa duttilità in cui saper usare bene tutti i pedali, accelerazione, frizione e freno, sapendo trovare il tempo giusto per l’audacia e quello per la prudenza. L’importante è non limitarsi a galleggiare, a far di tutto pur di sopravvivere.
6. Qual è – se c’è – il punto debole della cultura dominante liberal e progressista, sul quale bisognerebbe lavorare anche politicamente per stanarla e provare a contrastarla?
Il punto debole dell’ideologia liberal-progressista è duplice: è contro la realtà ed è contro la civiltà. Oppone alla realtà una visione correttiva e ipocrita, che è l’ultimo residuo della vecchia utopia giacobina, comunista e rivoluzionaria. Rifiuta tutto ciò che era ritenuto comune, naturale, normale, salvo pretendere di “normalizzare” la realtà, cioè di sottoporla ai suoi letti di Procuste e alle sue camicie di Nesso. Dall’altra parte la sinistra radical-progressista si caratterizza per un odio, un fastidio, un ripudio di tutto ciò che è stata ed è la nostra civiltà, le sue matrici storiche e spirituali, con particolare accanimento verso la civiltà cristiana; sposa sempre il punto di vista degli altri, di chi viene da lontano, a danno sempre di chi è radicato. Preferisce i migranti ai restanti. E capovolgendo un motto che è stato vincente negli Usa con Trump ma anche altrove, Prima i connazionali, arriva a dire: Prima gli sradicati, prima chi viene da fuori e da lontano, e solo dopo noi comunità, i cittadini che vivono qui, pagano le tasse. Il paradosso finale di questa cultura è che partendo dalla retorica dell’inclusione, si rivela invece ferocemente portata a escludere, discriminare i concittadini, perseguire chi la pensa diversamente dalla Cappa. Sarà difficile stanarla, velleitario pensare di capovolgere l’egemonia; ma si deve pur provare, partendo dalla realtà e combinando prudenza e audacia, a contrastare quella insopportabile dominazione.