Elogio funebre di un grande comunista

𝐄𝐥𝐨𝐠𝐢𝐨 𝐟𝐮𝐧𝐞𝐛𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐠𝐫𝐚𝐧𝐝𝐞 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐢𝐬𝐭𝐚
È morto a 91 anni uno dei più giovani teorici della sinistra che non si arrese. Si chiamava Mario Tronti.

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Elogio funebre di un grande comunista
di Marcello Veneziani
09 Agosto 2023

È morto a 91 anni uno dei più giovani teorici della sinistra che non si arrese. Si chiamava Mario Tronti. Pochi mesi fa mi cercò e ci incontrammo da lui al Senato: aveva progetti per l’avvenire, voleva ordine insieme trame culturali, inaudite alleanze e risvegliare comuni passioni civili. Mi colpì la voglia di futuro che ancora lo dominava, nonostante avesse superato i 90 anni. Tronti era una mente lucida, fresca, aperta al futuro e alle vere trasgressioni culturali, capace di immaginare incroci pericolosi e confluenze trasversali su grandi temi epocali. Tronti ha visto crescere mezza classe dirigente del Pci diventato poi Pds e Pd, e allevò al suo pensiero politico Cacciari e Marramao. Il suo nome dice poco alla sinistra ingrillita e inschleinita d’oggi e non dice nulla agli altri. Ma è un pensatore politico di prima grandezza, tra i viventi, ed è stato fino a qualche anno fa senatore del Pd. Tronti aveva capito il senso epocale della crisi che stiamo attraversando e sconsigliava la sinistra di perseverare nell’abbraccio miserabile con i grillini e i loro piazzisti o nel farsi omologare come guardia bianca dell’establishment neocapitalista.
Si appellava alla Grande Politica, sconosciuta ai politici in carriera e parlava di crisi del sistema, anche se finiva col rivolgersi proprio a coloro che di quel sistema sono diventati gli zelanti uscieri. Benché comunista, operaista e ingraiano, Tronti reputava interessante il passaggio al governo Draghi che ha liquidato la piccola politica di corto respiro, “le maggioranze e i governi tappabuchi”, il pessimo clima politico che l’accompagnava e apre un benefico periodo di decantazione. E guardava con grande curiosità l’esperienza di un governo guidato da una donna di destra venuta dal Msi. La sinistra, a suo dire, non può inseguire l’antipolitica, o “la politica a colpi di teatro, in cui l’attor comico eccelle”.
Da uomo di sinistra d’antico pelo, Tronti sognava che il Pd andasse a riprendersi operai, precari e sfruttati che votano per i “sovranisti”; che non inseguisse i pochi moderati integrati ma i tanti arrabbiati esclusi, penalizzati, proletarizzati. E per farlo consigliava di ripartire formando e selezionando una nuova classe dirigente. “Dopo che un alto profilo è tornato adesso a Palazzo Chigi, non sarà possibile riproporre agli italiani il più che basso profilo di chi c’era lì poco prima”. In una parola si deve “rinobilitare la politica”. Un messaggio che Tronti invia alla sinistra ma che vale pure all’altra parte. Lo scorso anno Tronti aveva pubblicato un libro, “Il popolo perduto”, che denunciava il divorzio tra la sinistra e il popolo. Da una vita Tronti vuole riportare in alto la politica ma si rivolge ai poveretti e zingaretti della sinistra d’oggi, che hanno ridotto la sinistra a un fan club di Conte e dei grillini.
Studioso del pensiero controrivoluzionario, da de Maistre a Carl Schmitt, in un gran saggio di alcuni anni fa, Dello spirito libero, Tronti se la prendeva con “questo tempo che non merita pensiero”, e invocava “gli uomini postumi”, che sono gli uomini non riconosciuti dal proprio tempo ma da quello che verrà. Poi sosteneva che “il privato si è mangiato il pubblico, l’economia si è mangiata la politica, la finanza si è mangiata l’economia, quindi il denaro si è mangiato lo Stato, la moneta s’è mangiata l’Europa, la globalizzazione si mangia il mondo”. Capite che chi la pensa così è giudicato un marziano dalla sinistra in corso… Quanto Nietzsche c’è nella sua Grande Politica, nei suoi uomini postumi, nei suoi spiriti liberi…
In un saggio precedente, Con le spalle al futuro, Tronti si lasciò prendere la mano dal suo spirito utopico e arrivò a sostenere che se il comunismo ha fallito è perché non c’era “materiale umano disponibile al superamento di sé nella dimensione di una scommessa sul futuro”. Come se fosse possibile e auspicabile una politica o una rivoluzione fuori dal “materiale umano” a cui è diretta. La tesi trontiana ricorda la critica che Julius Evola rivolse al fascismo: l’idea era grande ma il materiale umano di cui disponeva, gli italiani, era scadente. Gli uomini visti come incidentali intralci alle idee e non come coloro che ne danno vita, corpo e misura. Idealismo puro, platonismo celeste, angelismo politico, dove però al posto degli angeli ci sono gli operai. Ma non si può coltivare una prospettiva escatologica restando dentro la storia, l’economia e l’orizzonte marxista. La salvezza richiede di aprirsi ai cieli.
E tuttavia Tronti coglieva la miseria della realtà presente e la sorda cecità della sinistra corrente in un paese impaurito dalla pandemia e dalla crisi. Tronti riportava la sinistra alla sostanza e alla ragione sociale; la proiettava nelle grandi mutazioni in corso. E chiedeva ai suoi “compagni”: “Cosa conta di più l’essere della qualità della persona o l’apparire nel gradimento dei sondaggi?” Ma la sinistra vive di apparenze senza sostanza; vive di riflessi condizionati, imita chi ha poc’anzi condannato.
Davanti a questo scenario, scrissi un paio d’anni fa l’Elogio di Tronti (che evoca per assonanza l’elogio di Franti di Umberto Eco). Era comunista, per giunta nietzscheano, era utopista, per giunta operaista, ma che spessore, che visione di futuro; sprecata però a rivolgersi ai granchietti dell’effimero attaccati alla buccia del presente…