𝐄𝐥𝐨𝐠𝐢𝐨 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐠𝐫𝐢𝐜𝐨𝐥𝐭𝐨𝐫𝐢 𝐜𝐨𝐥 𝐭𝐫𝐚𝐭𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐭𝐫𝐢𝐜𝐨𝐥𝐨𝐫𝐞
L’Italia tifa per gli agricoltori. I sondaggi parlano di un consenso ampio della popolazione. Consenso tiepido, non militante, ma verace. Non succede mai: ogni protesta viene vissuta con fastidio dai cittadini, soprattutto quando riguarda settori vitali come i trasporti, la sanità, gli uffici pubblici, per le ricadute di disagio pubblico; anche le proteste studentesche non sono molto amate dalla gente.
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Elogio degli agricoltori col trattore tricolore
di Marcello Veneziani
16 Febbraio 2024
L’Italia tifa per gli agricoltori. I sondaggi parlano di un consenso ampio della popolazione. Consenso tiepido, non militante, ma verace. Non succede mai: ogni protesta viene vissuta con fastidio dai cittadini, soprattutto quando riguarda settori vitali come i trasporti, la sanità, gli uffici pubblici, per le ricadute di disagio pubblico; anche le proteste studentesche non sono molto amate dalla gente. Come mai invece questa predisposizione favorevole nei confronti dei trattori? Si, è una protesta gentile, finora, educata, non si rivale contro terzi, utenti e cittadini. Poi è una protesta realistica, non ideologica, non pretende di cambiare il mondo e non difende privilegi. A differenza di altre agitazioni che vengono recepite come rivendicazioni di settore rispetto al quadro generale, la protesta dei trattori non è vista come la parte insorta rispetto al tutto, ma come la parte profonda del tutto.
La rivendicazione degli agricoltori ci tocca come una specie di rimorso-rimosso per la terra, le nostre radici e il nostro nutrirci, la storia profonda da cui veniamo e che abbiamo barattato per il progresso, la comodità, la città. E’ come se quella protesta ci riguardasse, ci toccasse tutti, su un piano simbolico ma anche concreto, come l’alimentazione, la spesa, il territorio. Non entro nel merito delle loro rivendicazioni, non conosco bene le dinamiche e le tematiche contrapposte. Ma l’empatia diffusa nasce dal ritenere la loro protesta una specie d’insorgenza della realtà, della terra, della vita a chilometro zero rispetto all’astrazione, agli interessi oligopolistici, industriali, estranei alla terra e alla gente comune. Una protesta realista, coi piedi ben piantati per terra, non come certe manifestazioni ecologiche da figli viziati della ztl, che non conoscono la natura, anzi l’avversano, a cominciare dalla natura umana che vogliono mutare; salvo poi nutrire visioni apocalittiche sull’ambiente in pericolo, il riscaldamento del pianeta, il cambiamento climatico. E poi, se permettete, non è da trascurare un piccolo ma significativo messaggio simbolico: quei trattori sventolano il tricolore, si sentono parte di una comunità nazionale, figli di una Madreterra comune, organici al tessuto-paese.
Abbiamo simpatia per chi lavora la terra, anche se ormai con strumenti meccanici e industriali; vediamo in loro persone e non catene alimentari, piccole fattorie e non industrie multinazionali del food; voci e facce vere, non robot e macchine. Lavoratori che si espongono in prima persona alle intemperie della natura e alle grinfie della burocrazia europea e dell’industria agro-alimentare. Nelle rivendicazioni degli agricoltori ritroviamo la contrapposizione antica ma attuale tra paese reale e paese legale, tra direttive europee lontane dalle reali priorità della gente. E’ il lavoro in prima linea, la vita vista dalla terra, le questioni che stanno davvero a cuore alle popolazioni, e anche sullo stomaco. Secondo i canoni tecno-agro-alimentari i prodotti agricoli dovrebbero uniformarsi a direttive e logiche di profitto globale e industriale, prescindendo dalla qualità alimentare, dal gusto, dalla tradizione, dalla genuinità e dal lavoro profuso. La protesta dei trattori mostra il divario tra gli interessi locali e concreti della gente e quelli tecno-finanziari degli apparati e delle multinazionali; un conflitto, se si vuole, di matrice populista rispetto alle oligarchie di potere, alle grandi aziende, all’euroburocrazia e agli ipermercati, e alla politica inginocchiata a quegli interessi. Una protesta peraltro non solo locale o nazionale ma europea, che coinvolge simultaneamente agricoltori tedeschi, francesi, olandesi.
Dietro la simpatia per l’agricoltore – seppure tanto diverso dal contadino di una volta – c’è una visione del mondo, la nostalgia della campagna, il rimorso per la terra abbandonata: il primato della prossimità, il rapporto diretto con gli alberi, la terra, i semi, la natura. E in negativo la diffidenza verso le grandi catene e quella filiera alimentare troppo lunga, che nei passaggi fa crescere vertiginosamente i prezzi che arriveranno poi al consumo. Sembra il miracolo capovolto della moltiplicazione dei pani; in questo caso a moltiplicarsi non sono i pani ma i loro prezzi, che partono assai modesti dalla farina dell’agricoltore e s’ingrossano lungo la filiera, fino al consumatore.
Sotto traccia c’è un rigetto del mondo artificiale e virtuale del web, dei social, che va sostituendo la vita reale; con i trattori sembra irrompere la vita vera, aspra, con i suoi odori, la terra, il mondo concreto, a occhio nudo. C’è il rimpianto di un mondo, una vita a diretto contatto col cielo, la terra, gli elementi naturali e i cicli stagionali. Un mondo che ci ricorda l’immenso passato, quando gran parte dell’attività lavorativa era legata alla terra, al bestiame, ai frutti e alle lavorazioni derivate. Oggi gli agricoltori sono una piccola minoranza rispetto al terziario, la gran massa di tecnici e impiegati. Anche gli agricoltori svolgono un lavoro che spesso alterna la terra all’ufficio, la coltivazione alla prassi industriale. Ma nell’immaginario comune resta questa simpatia antica per chi ancora vive dei frutti della terra e lavora nei campi. La stessa simpatia che proviamo per la figura e la definizione del coltivatore diretto. Sono tanti in città gli aspiranti agricoltori, che sognano di ritirarsi prima o poi in una masseria, un’azienda agricola o a lavorare i campi; anche se pochi poi lo fanno sul serio e a tempo pieno.
Certo, se si va a vedere la realtà, il quadro bucolico non è così idilliaco, ci sono su scala problemi di sfruttamento, d’inquinamento, pesticidi nocivi e piccole furbizie nei rapporti con lo stato; a volte anche elusioni, evasioni fiscali e altre infedeltà. Ma si solito l’agricoltore non guadagna cento e dichiara dieci, come altri settori commerciali e artigianali; semmai dichiara dieci per salvaguardare i venti che guadagna e che costituiscono una base minima per vivere.
Insomma, la loro protesta, almeno finora, è circondata da diffusa simpatia. Vedremo se oltre le pacche virtuali sulle spalle, porteranno a casa qualcosa di concreto e incoraggiante.
La Verità – 15 febbraio 2024