Distruggere le statue

Distruggere le statue sarebbe il requiem dell’Occidente

C’è chi vorrebbe autoassolversi dal passato cancellandolo, ma la questione è più complessa
Dino Cofrancesco – Mer, 08/07/2020 

Le sommosse sociali che sono dilagate negli Usa e di lì si sono riversate nell’Europa occidentale, in particolare in Inghilterra, rappresentano un fenomeno nuovo e inquietante che invano alcuni sociologi – a esempio Peppino Ortoleva – hanno tentato di comprendere riportandolo a vecchie categorie : il disagio sociale degli afro americani, il fallimento dell’economia di mercato, il braccio violento della legge…

In modo assai diverso e meno convenzionale, la furia iconoclastica è stata interpretata dal pensiero della destra conservatrice e liberale – da Marcello Veneziani a Eugenio Capozzi – come vera e propria rivolta contro la civiltà europea e occidentale. In particolare, con toni spengleriani, ha scritto Alessandro Campi in un articolo sul Messaggero, «Sconfitti dal presente distruggono il passato» (12 giugno 2020), alle origini della barbarie che si abbatte, con furia distruttrice, sui simboli della tradizione, sta il «rifiuto in sé della storia come forma di conoscenza». «Rifiuto che si accompagna, nel mondo cosiddetto occidentale, alla stanchezza della storia, tipica di tutte le civiltà decadenti che sentono di aver esaurito la loro spinta propulsiva, e a un odio di sé penitenziale che nasce da non da un’assunzione si responsabilità, che per essere seria richiederebbe un vaglio critico del passato… ma dal desiderio di liberarsi da ogni peso chiedendo scusa».

Sono analisi suggestive che a mio avviso toccano solo un aspetto cruciale dello tsunami nichilistico che segna irrimediabilmente questi primi decenni del XXI secolo. Come ho cercato di dimostrare (e mi scuso per l’autocitazione) in saggi come Requiem per l’Occidente? (Libro aperto gennaio-marzo 2020) e Il pensiero egemone è la Trinità universalista che ricaccia negli Inferi la Trimurti comunitaria (in uscita su Ircocervo) assistiamo al trionfo spettrale e definitivo dell’Illuminismo universalista (versione francese). Esso può definirsi una rivolta ontologica contro la natura intesa come destino in quanto generatrice di violenza, di discriminazione, di ineguaglianza. «Sta scritto ma io vi dico» il carisma del fondatore delle religione universale che ha nutrito spiritualmente l’Europa e le sue proiezioni atlantiche, dal piano religioso si è trasferito sul piano sociale e politico: non è il fato che ha decretato l’inferiorità di alcuni membri del genere umano e la superiorità di altri ma un’ingiusta divisione del potere e della proprietà. Non esiste il destino ma solo la passività degli individui. A scanso di equivoci, anch’io credo che l’illuminismo abbia segnato, col suo Sapere aude, l’alba di un giorno radioso nella storia della nostra specie, con il suo irrinunciabile catalogo dei diritti dell’uomo e del cittadino. E tuttavia la passione egualitaria che lo divorava, facendo tabula rasa del passato, delle tradizioni, delle consuetudini, ha finito a poco a poco per erodere efficacemente la legittimità di tutti i sistemi politici e gli assetti sociali che non mantenevano le promesse di emancipazione universale. Solo lo stato moderno (nazionale) europeo riuscì, in parte, a tenere in equilibrio precario passato e presente, tradizione e avvenire, politica e morale, religione e scienza ma il secondo conflitto mondiale lo ha, per così dire, sconsacrato.

Da tempo, la forza del destino, di quel destino che ci fa nascere diversi e ineguali, si è indebolita: la malattia mortale che lo ha colpito si tramuta in aggressione contro quanto ne rimane in piedi e contro i cimeli, i simboli e i monumenti di un’era in cui esistevano ricchi e poveri, aristocratici e plebei, borghesi e proletari, signori e contadini. Molti si meravigliano del fatto che la violenza della polizia di Los Angeles riempia di orrore migliaia di volte in più della repressione sanguinosa dei dissidenti in Cina. Ma perché accada lo ha spiegato chiaramente Michele Serra nella sua amaca del 24 settembre 2019: « Il comunismo fu totalitario per imporre l’uguaglianza tra tutti gli uomini e l’internazionalismo. Il nazismo fu totalitario per imporre la superiorità di una nazione e di una razza e sancire l’inferiorità delle altre. Questa gigantesca differenza basta a sconsigliare ogni equiparazione tra le due ideologie e soprattutto tra le persone che ne presero le parti». Al di fuori dell’eguaglianza – in nome della quale si possono ammazzare più persone di quante non ne abbiano ucciso i regimi totalitari di destra – non ci sono valori (sia pure distorti come quelli in cui credevano i nazisti che stravolsero la comunità nazionale in tribù sanguinaria) ma solo i tentacoli del Male. Socialisme ou barbarie, per ricordare il movimento politico-culturale francese degli anni sessanta.

Dire che la storia è opera dell’uomo e in quanto tale è impastata di bene e di male, ricordare con il geniale libertario Alexander Herzen che nessuna grande opera è stata costruita senza sacrificare esseri umani innocenti è inutile. La dilatatio di cui parla Marcello Veneziani nell’articolo «Sanificare tutto, pure la storia» (La Verità del 13 giugno), consistente nell’«estendere la morale del presente al passato, giudicare parole, atti e giudizi di altre epoche con gli occhi, le parole e i pregiudizi del nostro momento», la dilatatio, dicevo, può colpire chi rimane legato alle misure intellettuali e morali del mondo di ieri. Per chi ha fatto dell’eguaglianza un’arma distruttiva di massa e dell’etica del destino il codice di Satana, i richiami al buon senso lasciano il tempo che trovano. O forse servono a quanti intendono cavalcare l’onda dell’immarcescibile antiamericanismo per fare opera di mediazione tra il nuovo che avanza e il vecchio che sta ancora lì, lanciando agli sconfitti della storia un messaggio inequivocabile: affidatevi a noi, giacché solo noi riusciremo a salvare il salvabile! Quello italiano è «un popolo di santi, di poeti, di navigatori» diceva quel tale, avrebbe dovuto aggiungere: «e di mediatori».
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