Dio e la storia non sono morti ad Auschwitz

𝗗𝗶𝗼 𝗲 𝗹𝗮 𝘀𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗼𝗻𝗼 𝗺𝗼𝗿𝘁𝗶 𝗮𝗱 𝗔𝘂𝘀𝗰𝗵𝘄𝗶𝘁𝘇
Il Giorno della Memoria dura un anno, ogni anno, da svariati anni. Cresce in gennaio, diventato il Mese della Memoria, si acutizza nell’ultima settimana e raggiunge il suo acme il 27 gennaio, cioè oggi. Poi comincia il richiamo, come per il vaccino, e si va avanti a ogni occasione, ricorrenza, testimonianza riesumata, episodio di cronaca. È una memoria ininterrotta che coinvolge le scuole, la tv, il cinema, i giornali, il teatro, le istituzioni centrali e locali, ogni luogo pubblico. E i tribunali. Mattarella, ad esempio, l’avrà celebrato centinaia di volte da quando è presidente della Repubblica.

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Dio e la storia non sono morti ad Auschwitz
Il Giorno della Memoria dura un anno, ogni anno, da svariati anni. Cresce in gennaio, diventato il Mese della Memoria, si acutizza nell’ultima settimana e raggiunge il suo acme il 27 gennaio, cioè oggi. Poi comincia il richiamo, come per il vaccino, e si va avanti a ogni occasione, ricorrenza, testimonianza riesumata, episodio di cronaca. È una memoria ininterrotta che coinvolge le scuole, la tv, il cinema, i giornali, il teatro, le istituzioni centrali e locali, ogni luogo pubblico. E i tribunali. Mattarella, ad esempio, l’avrà celebrato centinaia di volte da quando è presidente della Repubblica.

Sulla Shoah niente da obiettare, c’è solo da condividere l’orrore. Le obiezioni riguardano invece il monopolio della memoria perché si ricorda solo un Evento del Passato e si cancellano tutti gli altri, tragici e grandiosi, se non collegati a quella memoria e la memoria storica viene identificata con l’orrore; la sfasatura temporale, perché più si allontana nel tempo e più se ne parla, e ciò non risponde a nessuna comprensione logica e storica e a nessun decorso umano degli eventi e nella memoria; la copertura totalitaria delle celebrazioni, che invadono ovunque e finiscono col generare un senso di nausea e rigetto anche in chi non nega lo sterminio, rispetta gli ebrei e detesta i loro aguzzini. Se vedi qualunque film, fiction o testo ambientato tra gli anni Trenta e la guerra, conosci già la trama e lo sviluppo prima di vederli.

La ripetizione ossessiva del tema è giustificata sempre dal fatto che l’antisemitismo “sta tornando”. Da settant’anni, ogni giorno, sta tornando. Ci sarà sempre un episodio anche minimo per giustificare l’allarme.

Vorrei dire tre o quattro cose al di là dell’Olocausto.

La prima è che chiedere scusa per conto terzi e per conto avi è insensato, retorico, così come accordare o negare il perdono per conto terzi e per conto avi. Tutti possono esprimere un giudizio, ricordare e condannare la Shoah, ma nessuno può parlare e scusarsi a nome dei suoi nonni o di un’altra epoca. O arrogarsi il diritto di concedere o negare il perdono. Per fare solo l’ultimo esempio, Emanuele Filiberto di Savoia può manifestare tutto il suo sdegno per le leggi razziali ma non può chiedere scusa per conto del suo bisnonno. Mi pare insensato l’esercizio delle scuse postume anche da parte di papi; la cosa che reputavo più discutibile di Papa Woytila fu quel suo caricarsi delle colpe del passato e chiedere scusa tante volte nel nome della Chiesa dei secoli andati. Nobile intenzione, quando non è opportunismo, ma nessuno può sostituirsi al passato e modificarlo, chiedendo scusa al posto di chi ne fu protagonista. La storia non contempla la retroattività né la surroga.

La seconda riflessione è che la storia ha smesso da alcuni decenni di celebrare le vittorie o le patrie per celebrare solo le vittime. Non racconta più gli eventi e i conflitti ma s’inginocchia alle vittime, le sole che meritano di essere ricordate. Non i vinti, le vittime. L’impianto vittimario e sacrificale della storia, notava René Girard, ha una derivazione cristiana, o perlomeno giudeo-cristiana. Anche nella memoria collettiva, nella nuova toponomastica, si tende a sostituire l’eroe con la vittima, chi viene ucciso merita uno speciale ricordo anche a prescindere da quel che è stato in vita. Anche uno spacciatore, un delinquente può diventare oggetto di culto perché rimase vittima. Capovolgendo Sant’Agostino non è la causa ma la pena a rendere martiri. Sulla Prima guerra mondiale, ad esempio, non si parla più di vittoria, di patria e di eroi ma si ricordano solo i caduti, e ancor più i renitenti alla leva, i disertori puniti. La memoria storica commemora solo le vittime. Non conta la storia ma le storie soggettive di chi patì.

La terza riflessione riguarda la mutazione di un evento storico come lo sterminio degli ebrei in evento assoluto, spartiacque tra il Bene e il Male; la rivelazione che Dio non c’è o è morto ad Auschwitz. La tragedia assoluta per l’occidente cristiano è stata per millenni la crocifissione di Gesù Cristo. Da alcuni decenni la tragedia sacra e assoluta è la Shoah; tutto il resto è relativo. La Shoah ha preso il posto della Crocifissione, è l’Evento Cruciale che segna il Lutto Incancellabile per l’Umanità, la cesura Unica e Permanente dei tempi e l’avvento del Male Assoluto, con la Redenzione seguente. Ma al posto della Resurrezione, la Liberazione. Non è più il Figlio di Dio in Croce a sacrificarsi per noi ma un popolo immolato, eletto o maledetto secondo le due versioni classiche. Satanico è il carnefice ma anche chi non s’inginocchia alla Vittima. Non trovo altra spiegazione all’Enfasi Assoluta, Indiscutibile e Indelebile della Shoah. Si relativizzano la fede e la civiltà cristiana a cui si chiedono solo mea culpa, non atti di fede e di fedeltà. Al suo posto c’è la Shoah, nuova religione dell’umanità fondata sull’orrore. Auschwitz prende il posto del Golgota e il 27 gennaio sostituisce il Venerdì Santo. E guai a obiettare: si può scherzare pure su Cristo in Croce, fare vignette un tempo ritenute “blasfeme” o profanare il crocifisso con l’arte; ma guai a osare una cosa simile sulla Shoah.

Infine, un’osservazione minore, banale, ma ogni tanto va ripassata: non caricate l’olocausto sulle spalle del presente e dei presenti. Non caricate i lager e lo sterminio sulle spalle di Salvini e la Meloni, come il gulag e le foibe non possono gravare sulle spalle di Zingaretti o del Pd. Osservazione di una banalità sconcertante; ma se guardi intorno ti accorgi che non è affatto scontata; per demonizzare un avversario lo si definisce “negazionista”, anche per il covid. Persiste un implicito – e talvolta esplicito – uso allusivo e intimidatorio degli orrori passati per inibire o invalidare leader e idee, movimenti e comportamenti d’oggi. È il peggior abuso della Shoah a scopo di lucro; ovvero per trarre profitti di vario tipo. Sciacalli.

MV, La Verità 27 gennaio 2021