“Diario di un fallimento adottivo … annunciato”
“ … Penso sempre a quanto male è stato fatto a noi si, ma anche al ragazzo che non si sente accettato. Uno come lui doveva, o stare al suo Paese a poter vivere liberamente e senza alcun timore il suo essere, o, se adottato, in un famiglia che sapeva, e aperta a questa tematica così forte, in una famiglia in cui avrebbe potuto vivere, sia in casa sia fuori, liberamente la sua diversità”. E’ uno dei passaggi che più mi ha colpito del libro “Diario di un fallimento adottivo … annunciato” scritto da Lucia Ponte sull’adozione di un figlio, un figlio gay. Tutti conosciamo gli stereotipi: quell’aria insolitamente leggera, delicata, effeminata nei primi passi del bambino, spesso accompagnata dalla mancanza di aggressività, da un interesse per le bambole, il trucco, le principesse, gli abiti e un convinto rifiuto per il gioco mascolino con gli altri bambini.
Jordi aveva già palesato questo modo di essere e di comportarsi fin dai primi passi, e chi sapeva, chi aveva intermediato l’adozione sapendo, aveva il sacrosanto dovere di parlare, di dire come realmente stavano le cose, di dire la verità, quella verità rispetto alla quale Lucia Ponte avrebbe detto di no, no a quell’adozione, un no che sarebbe andato aldilà di ogni altro significato se non nella sola dimensione dell’onestà intellettuale, un no che avrebbe scritto una sola parola a caratteri cubitali: “libertà”, la libertà di entrambi, la libertà e il diritto di Jordi di vivere la sua vita da gay e la libertà di Lucia Ponte di prendersi cura di un figlio desiderato e voluto “diverso dal diverso”. Dopo una vita tormentata da un destino che le aveva procurato tante sofferenze e tristezza, Lucia viveva il momento più delicato e importante della sua esistenza: per la prima volta si trovava nella condizione di decidere lei e solo lei il suo futuro di madre e di donna. Chi adotta un bambino deve sapere tutto quello che c’è da sapere del futuro suo figlio, è la conditio sine qua non per pronunciare quel fatidico si o, seppur a malincuore, quel no sofferto, soffocato da un nodo che stringe forte in gola ma generato dal profondo dell’animo. Lucia Ponte nel suo libro ha avuto il coraggio, la forza e l’onestà di far sentire a tutti il no che avrebbe voluto dire all’adozione, un no che va rispettato, perché quel no avrebbe evitato il dramma del baratro dove sono precipitati Lucia e suo figlio Jordi, soprattutto per causa di chi già sapeva del ragazzo. Sfido tutti quelli che hanno bersagliato Lucia Ponte se nelle medesime condizioni avessero avuto un comportamento diverso: non so! Lucia Ponte semplicemente non voleva adottare un figlio gay, non avrebbe voluto adottare il povero Jordi, che invece ha adottato, che ha dovuto adottare anche per sue ammesse responsabilità: superficialità e paura di parlare hanno preso il sopravvento, solo e sempre subire nel silenzio di chi ha l’obbligo di stare zitta per atavica cultura. Invito tutti a leggere il libro e non giudicare per sentito dire, invito tutti a leggere e rileggere il libro tante e più volte fino a vivere ogni riga del diario di Lucia Ponte, chiudere gli occhi per un istante ed entrare nel cuore dei personaggi che animano le pagine di forte pathos emotivo del racconto, per capire e non giudicare, per capire e non condannare, per capire …! Josè Amilcare Lombardi, semplicemente Jordi, è oggi uno stilista affermato dell’alta moda. E’ questo il riscatto di una vita per lungo tempo in salita, senza dimenticare che mamma Lucia lo ha guidato e sostenuto con tanta dedizione e tanta pazienza nel non facile percorso scolastico che lo ha portato f in qui … Rispettare il dono della libertà che ci hanno donato è un dovere di tutti!
Gabriele Palladino