Dante pensatore celeste, fondatore d’Italia

In occasione del prossimo settecentenario della sua morte, esce in libreria come strenna natalizia 𝘿𝙖𝙣𝙩𝙚 𝙣𝙤𝙨𝙩𝙧𝙤 𝙥𝙖𝙙𝙧𝙚, edito da Vallecchi, a cura di Marcello Veneziani, autore dell’ampio saggio introduttivo e curatore di una selezione tra tutti i suoi scritti in prosa. Ecco uno stralcio dalla sua introduzione 👇

Dante pensatore celeste, fondatore d’Italia

In occasione del prossimo settecentenario della sua morte, esce in libreria come strenna natalizia Dante nostro padre, edito da Vallecchi (pp.224 18 euro), a cura di Marcello Veneziani, autore dell’ampio saggio introduttivo e curatore di una selezione tra tutti i suoi scritti in prosa. Ecco uno stralcio dalla sua introduzione.

Quando il mondo sembra crollare, le civiltà precipitano, i popoli sono disorientati, la solitudine globale prevale, la strada maestra è una sola: tornare al principio e ai principi da cui principiò il nostro cammino. Dante Alighieri è il nostro princeps, l’Inizio da cui discende l’unità geospirituale, culturale e linguistica della nostra civiltà. Perciò ho dedicato a lui, Dante nostro padre, un saggio e un’antologia delle sue pagine più belle in prosa. Dante è il poeta, il profeta, il fondatore, lo scrittore e il testimone originario dell’Italia nostra. È l’apice solitario in cui si incrocia il mondo classico; l’Imperium romano, il pensiero antico, la cristianità. In lui prende voce, anima e corpo la civiltà italiana come paradigma della civiltà universale. Dante è il ponte tra l’antichità e la posterità, ma anche tra l’umano e il divino, tra il sacro e la storia. Autentico pontifex, facitore di ponti, come si diceva nell’antica Roma e poi nella tradizione cattolica. Ma al tempo stesso è il precursore tradito, disatteso, inascoltato. Il maestro che non ebbe discepoli.

Se pensiamo ai grandi capolavori e ai grandi autori di tutti i tempi, nessuna opera e nessun autore può paragonarsi a Dante e alla sua opera per una ragione che trascende l’arte della narrazione, il prodigio della scrittura, la potenza delle immagini: è la capacità di trasformare il lettore, l’intenzione di condurlo in un cammino spirituale e iniziatico verso la salvezza, accompagnato per mano dall’autore medesimo che si mette in gioco nel suo racconto, di cui è protagonista, testimone e medium. Le grandi opere, i classici, sfidano l’usura del tempo e narrano storie esemplari che valgono in ogni tempo. Ma i capolavori che segnano una civiltà sono quelli che trasformano i suoi lettori.

Così Dante descrisse la sua missione nella XIII Epistola: “rimuovere i viventi in questa vita da uno stato di miseria e condurli a uno stato di felicità” nel senso della beatitudine. In Dante il reale e l’ideale, la storia e l’escatologia, il mito e la teologia, personaggi storici e figure letterarie di fantasia, uomini, santi, diavoli, angeli e divinità s’intrecciano in un disegno di rinnovamento universale dell’anima, del corpo e della mente di ciascuno. Unico, irripetibile itinerario di trasformazione e di salvezza. Dante induce il suo lettore a fare un bilancio integrale della propria vita, a confrontarsi con la morte e con l’aldilà, a giudicare la propria anima e le proprie azioni in relazione al tempo e all’eternità. Nessun altro autore, nessuna altra opera spinge a guardarsi dentro e a osare oltre, in un cammino di redenzione integrale.

La grandezza incomparabile di Dante è consegnata certamente alla Divina Commedia e poi alle sue rime sparse, le sue poesie. Ma l’itinerario tra le sue opere che precedettero, seguirono e s’intrecciarono con la sua opera poetica è fondamentale per capire il suo pensiero e dispiegare la sua visione del mondo, il suo cammino iniziatico, le sue passioni civili e intellettuali, il tormentato rapporto col suo tempo, la sofferenza e le invettive di esule dolente. Quattro opere più il suo epistolario e il suo ultimo scritto costituiscono il cammino tra le stazioni cruciali dantesche: l’Amore, la Sapienza, la Lingua, la Politica, la Patria, la Terra. E sullo sfondo l’Universo, l’Impero, l’Italia e la sua Firenze. Ossia Vita Nova, Convivio, De Vulgari Eloquentia, De Monarchia, più l’Epistolario e la Questio de aqua et terra, per la prima volta comprese in un florilegio.

L’altra ragione del ritorno a Dante è civile ed è strettamente collegata alla nostra identità italiana: Dante è il Padre dell’Italia, come realtà spirituale e culturale, prima che storica e politica; colui che ha affermato la necessità di riunire le sparse e riottose membra d’Italia e far risorgere la civiltà italiana, figlia della romanità e della cristianità, erede della civilitas romana e del pensiero greco ripensato alla luce del pensiero arabo e cristiano; figlia dell’Imperium, del diritto romano e della chiesa cattolica apostolica romana.

Quello dantesco è l’amor patrio di un esule, non di un migrante; e di una patria perduta, non di un paese in cui prendere cittadinanza; è la storia di un uomo costretto a partire, a lasciare la casa, il suolo natio, a vivere il dispatrio lontano dalla sua Firenze.

Il volto grave e mansueto, l’espressione malinconica e pensosa, la bruna carnagione, i capelli neri e folti, la modesta statura che con gli anni s’incurvò, il viso lungo e il naso aquilino, i grandi occhi e le grandi mascelle, il labbro di sotto avanzato, il mento prominente in quel che chiameremmo prognatismo, detto anche “il morso inverso” (…) Dante ebbe carattere spigoloso, come il suo profilo. Esacerbato dall’esilio e dagli anni, con un forte senso dell’onore e della dignità, apparve agli occhi di Giovanni Villani, che lo conobbe di persona e poi ne scrisse nella sua storia di Firenze, definendolo “presuntuoso”, “schifo e isdegnoso” e “mal grazioso” incline a “garrire e sclamare” cioè a inveire, anche alzando il tono della voce. E soprattutto aveva uno spiccato orgoglio. È forse il tratto più “moderno” di Dante che più lo allontana dalla tradizione: quel rinunciare all’impersonalità d’autore e tendere a porsi al centro della scena e della sua stessa opera, farsi protagonista dei suoi stessi scritti, fino a sfiorare l’egocentrismo con tratti vittimistici. Orgoglio d’autore, o in una chiave più positiva, Dante metteva in gioco tutto se stesso nell’opera, si faceva testimone dei suoi versi e dei suoi testi. E pur essendo immerso appieno nella sua visione del sacro e della trascendenza, fremeva in lui un anelito incontenibile di libertà come fierezza.