Da soli o no?
È tutta questione di… consapevolezza.
Le pratiche della selezione culturale di gruppo, cioè quelle che aiutano un gruppo a collaborare e a competere con gli altri gruppi umani, come l’invenzione delle diverse monete, si sono diffuse via via che dimostravano la propria validità e funzionalità.
È la cultura, in tutte le sue diverse forme presenti al mondo, che fornisce ai nostri antenati i modi per procurarsi il cibo, oppure le strategie per sopravvivere. E, all’emergere di ogni nuova invenzione, una data comunità umana è in grado di sfruttare in modo più efficiente l’ambiente in cui vive. Questa situazione favorisce ovviamente l’incremento della popolazione e la ricchezza della complessità sociale. L’agricoltura ha liberato le società dai vincoli che la vita nomade da cacciatori-raccoglitori imponeva alle dimensioni della popolazione, favorendo lo sviluppo di quella tecnologia utile alla stanzialità. La vita nomade è assai vincolante, in termini di organizzazione sociale, di spazialità e dieta.
In assenza di quei vincoli, le società agricole fioriscono e prosperano, dimostrandosi più fluenti rispetto alle comunità di cacciatori-raccoglitori, perché la capacità produttiva aumenta (in una data area e in termini di cibo) e perché l’agricoltura genera innovazioni importanti ad essa collegate.
Tutto ciò cambia la società umana in modo significativo.
Provate a pensare come nelle società più grandi, sostenute dalla crescita della produzione agricola, le innovazioni utili hanno maggiori probabilità di diffondersi e di essere sostenute. Si genera una costante rivoluzione, che conduce all’invenzione di tecnologie, come gli aratri e le tecniche di irrigazione. Ma vi sono invenzioni che hanno probabilmente sorpreso gli stessi nostri antenati, come le città-Stato, la ruota e le religioni.
Di fronte a questo progresso vero e proprio, possiamo sviluppare due riflessioni: la prima, che ci siamo costruiti il futuro e il nostro destino da soli, grazie allo sviluppo delle nostre capacità cognitive; la seconda, che questo percorso fosse stato in qualche modo previsto ab origine, e non solo dal nostro patrimonio genetico, ma da una dimensione trascendente che in qualche modo la meccanica quantistica sta scoprendo come teoricamente probabile.
Ognuno di noi, in base a sé stesso e alla propria convinzione, può decidere verso quale ipotesi orientarsi.
Personalmente, tendo a credere nella seconda di queste.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).