Da settembre in poi
È tutta questione di… scelte.
Se non avessimo fiducia nelle nostre capacità, dunque anche nella nostra mente, nessun individuo potrebbe possedere una opinione nei confronti delle cose, a maggior ragione nei confronti di un fenomeno che vogliamo trasformare in dato verificabile.
Ogni atto umano è un atto di fiducia.
Quando un uomo smette di agire, smette di pensare a se sé in una situazione diversa rispetto a quella nella quale si trova. Ecco perché senza azione/non azione non esiste coscienza. Non è possibile raggiungere l’obiettivo se non si possiede la fiducia nel proprio cammino, nelle proprie idee e nelle proprie capacità.
Per questo è importante la filosofia.
Perché essa rappresenta forse la strategia migliore in grado di ospitare l’universale sentimento di fiducia che tutti gli uomini provano verso la propria mente e quella altrui. Con la filosofia l’uomo raggiunge i confini del mistero, anche se quello che trova è ancora precluso alla sua comprensione. Per comprendere il mistero è necessario un atto di illuminazione che provenga dall’esterno e si diriga verso l’interno dell’uomo stesso. Agostino si chiede come ciò sia possibile nell’opera, De Magistro e lo fa secondo due strategie cognitive. La prima è la ricerca dialettica (la stessa ricerca considerata importante da Aristotele), condotta sino ai limiti del pensabile. Assieme a suo figlio Adeodato, l’altro protagonista del dialogo, cerca di scoprire il senso dell’insegnamento, nel quale si utilizzano segni, cioè parole e gesti.
Subito Agostino si rende conto che nella dialettica l’utilizzazione delle parole e di segni non permette di raggiungere la verità delle cose stesse, perché per spiegare le parole sono necessarie ulteriori parole. In sostanza, con le parole si rimane nel regno dei segni, senza raggiungere quello della verità. Egli invece desidera l’esperienza diretta della verità, ma intuisce che non avviene per mezzo di segni.
La verità non può essere data né indotta dall’esterno.
Rimane a disposizione la seconda metodologia: ricercare una sorta di illuminazione interiore che non può giungere dall’esterno con le parole umane, ma dall’interno.
Queste sono le conclusioni alle quali giunge Agostino nel De Magistro, riuscendo a coniugare la tradizione cristiana con il neoplatonismo.
L’esperienza diretta della verità è possibile proprio perché essa abita in noi, come ci ricorda lo stesso Agostino: “In interiore homine habitat veritas”. Ma questa verità non è un corpo di dottrine (come potevano essere le idee platoniche), ma è Dio stesso.
Il Cristo qui è concepito come logos, ossia come un principio razionale e creatore, pensiero e vita insieme, o origine e fine di ogni cosa. Dunque Agostino riprende dalla tradizione greca l’idea che la formazione del giovane debba avvenire attraverso una educazione di conoscenza della propria interiorità. In Agostino l’unione di Cristo a quello di logos è possibile grazie alla definizione di Cristo come Principio del creato, sebbene rivelato.
L’esito di tutto questo percorso è l’acquisizione della virtù, che non è solo un saldo possesso del bene, ma diventa una forza cui ordinare la vita, proprio in funzione di questo bene. Agostino in effetti abbandona la concezione greca dell’intellettualismo etico, perché è chiaramente consapevole di come l’uomo può perfettamente conoscere il bene pur seguendo il male.
L’uomo, dotato di libero arbitrio, è in grado di distinguere e quindi scegliere tra il bene e il male, perché la virtù non è intrinseca alla libertà in sé, ma è inscritta nella scelta a favore del bene contro il male. La rivelazione divina esercita un peso decisivo su questa scelta, perché orienta l’uomo verso l’illuminazione, ad opera del logos interiore, ossia il Cristo come principio del creato.
L’ulteriore esito finale di questo processo è per Agostino il perseguimento della felicità che, unitamente a Platone e Aristotele, è anche per il Nostro la vita dedicata alla ricerca e visione, attraverso l’intelligenza, della verità. Per questi tre filosofi la nozione di verità possiede tre significati diversi: per Platone, la verità sono le idee e soprattutto l’idea del bene; per Aristotele, la verità è costituita dai principi della natura delle cose e dell’uomo stesso; per Agostino, la verità è il Cristo, inteso contemporaneamente come rivelazione e come Principio del creato.
Per tutti e tre è comunque e sempre il possesso della verità che garantisce la felicità, proprio perché l’uomo è una creatura razionale. Questa dottrina avrà un grandissimo successo nel corso dell’intero Medio Evo.
Eppure, rispetto alla nostra contemporaneità, abbiamo ancora qualcuno che considera il Medioevo come un’epoca buia. Ebbene, mi sembra che le considerazioni che ho voluto condividere con voi possano essere fonte di riflessione, in vista degli avvenimenti nazionali e internazionali ai quali andremo incontro nel prossimo futuro.
Da settembre in poi.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).