𝐃𝐚 𝐂𝐢𝐧𝐪𝐮𝐞 𝐒𝐭𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐚 𝐝𝐮𝐞 𝐁𝐚𝐛𝐚̀
E alla fine, dei Cinque Stelle rimasero solo due Babà nelle stanze del Potere.
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Da Cinque Stelle a due Babà
E alla fine, dei Cinque Stelle rimasero solo due Babà nelle stanze del Potere. Evacuato Conte, ridotto ormai a prestigiatore di strada, sono rimasti due souvenir del grillismo nel cuore delle istituzioni. Vi ricordate la loro rivoluzione anti-sistema, la foga populista e antipolitica contro l’Europa, le Istituzioni, i Tecnici, i Poteri forti, Mattarella, i Partiti, la Politica, i Vaffa e tutto il resto? Bene, se vi ricordate tutto questo dimenticatelo. Di tutto quel ciclone sono rimasti due zelanti maggiordomi dell’Europa, dei Tecnici, dei Partiti, della Politica, di Mattarella, Draghi, dei Poteri forti. Sono due napoletani, e sono gli ultimi lasciti dei grillismo ai vertici delle istituzioni. In quanto ultimi come dessert, in quanto napoletani e in quanto morbidi e dolci, sono due babà.
Uno presiede addirittura il Parlamento ed è un giovanotto che se gli fosse andato bene nella vita, dopo tanti mestieri improvvisati e precari, sarebbe stato assunto come aiuto-commesso della Camera. E invece, siccome vinse un gratta e vinci miracoloso, è nientemeno che a Capo del Parlamento. Sto parlando dello statista Roberto Fico, in arte don Felice Sciosciammocca. Finita l’epopea grillina è rimasto nelle istituzioni come un frutto fuori stagione, appeso e solitario, sull’albero di Monte Citorio. Fico è una figura coerente, almeno al suo cognome e al suo curriculum, in cui il pensiero e azione coincidono perfettamente nell’inattività bilaterale. Ve lo ricorderete il giorno della prima comunione quando andò a piedi a presiedere il Parlamento per far capire che lui è uno della gente. Costò un occhio mandarlo per le strade con la scorta e la sorveglianza, molto più che un viaggio in un’auto blu. Poi passò al tram, giusto il tempo di farsi una foto da mandare in rete. Andate a vedere ora come viaggia il Fico presidenziale. Lo vedeste con le mani in tasca mentre suonavano l’Inno di Mameli, poi l’avrete visto nel cortile del Quirinale come un Fico ammaestrato al passo militare per andare da Mattarella. Il suo unico tema per anni è stato egizio: il caso Regeni.
Fico è un prodotto tipico della stagione grillina, un dop che dimostra come arrivammo alla frutta, e non per modo di dire. Uno che si laureò in canzone neo-melodica napoletana, cioè studiava la fenomenologia di Mario Merola e il pensiero trascendentale di Nino d’Angelo. Un prodigio, Fico della Mirandola.La presidenza della Camera spesso peggiora le persone, come hanno dimostrato alcuni suoi predecessori. Con Fico l’impresa di peggiorarlo era impossibile: lui era già in natura l’espressione massima del Nulla Grillino di Sinistra. Di più e di peggio non si poteva. Esponente dell’ala apocalittico-pressapochista di Grillology, con scappellamento radical, tardivo sessantottino di risulta, con la sua parlata da Ninnillo di mammà e la proverbiale mosceria da posapiano è diventato presidente della Camera come si beneficia del caffè sospeso, al primo grillino che fosse capitato alla buvette.
L’altro Babà è più versatile. Ora è un soldatino di latta, per citare la fiaba di Andersen. Sto parlando dello statista e plenipotenziario Luigi Di Maio, a capo della Farnesina, in arte Giggino o’Trasformista, che ha superato il record di Arturo Brachetti di diciotto travestimenti rapidi. Privo di curriculum, non solo per la giovane età, Luigino nell’arco di un triennio è stato tutto e il suo contrario. Pensate qualunque ruolo, qualunque posizione politica, qualunque alleanza, qualunque convincimento, lui l’ha indossato. Sarebbe troppo lungo compilare l’elenco delle sue giravolte; per descrivere le sue contorsioni e le sue sterzate ci vorrebbe la pattuglia acrobatica. Ma le sue mutazioni tuttavia rivelano che il ragazzo è sveglio, anzi è sveio, per dirla nel suo lessico che si mangia ogni gli (fiio, famiia, sbaio). Dico sveglio, non ho detto intelligente.
Lui è molto più sveio dell’altro, rintronato superstite grillino nelle istituzioni, è dinamico e non solo perché lo mandano a prendere le mascherine, il gas e le sigarette in tutto il mondo; ha una capacità formidabile di adattamento e di sopravvivenza a ogni situazione. Zelig vesuviano. Ma già da ragazzo, quando lo vedevamo andare in parlamento con l’abitino della cresima, la cravattina d’ordinanza e una borsa più grande di lui, capimmo che “l’ominarello” sarebbe diventato un dc doc, corrente Fregoli, capace di ogni cambiamento, convergenze parallele, inversioni a U. Si vedeva la furba duttilità del transgrillino. Ignora tante cose, non l’arte di barcamenarsi e travestirsi. Ora non ha paura di abbaiare contro Putin, di chiamarlo o’animale, come se stesse ancora in curva allo stadio San Paolo, di chiudere i rubinetti alla Russia non accorgendosi che sta chiudendo i rubinetti all’Italia e perfino di mandare via dall’Italia trenta funzionari russi, magari su cortese sollecitazione americana, tanto per distendere il clima e avviare i negoziati col piede giusto.
Di Maio è un funzionario del Palazzo, al servizio di ogni Potere forte, la Nato, la Cia, la Casa Bianca, l’oligarchia europea, Draghi e ogni altro potente.
Azzardo una previsione: il prototipo del politico futuro sarà lui, smart, riconvertibile, decapottabile, hybrid, trans e soprattutto capace di adattarsi a ogni potere, a ogni comando, a ogni nuovo ordine di servizio, gestendo con furbizia il sottopotere. La politica finisce, comanda la tecnofinanza, in politica ci sono solo le maschere che accompagnano la gente a sedersi per vedere lo spettacolo in silenzio, con bibita e pop corn. Fico appassirà fuori stagione, di lui resterà un fico secco; Di Maio invece farà strada, andrà sempre meio.
(Panorama, n.18)