Criminali fuori o criminali dentro?
È tutta questione di… recupero.
Davvero interessante, e tanto per cambiare una situazione non italiana, questa notizia ed evidenza culturale.
Nella nostra Costituzione, nella speranza – ma anche convinzione -, che non venga modificata in seguito al referendum, esiste un importante art. 27 nel quale si sostiene l’importanza del reinserimento dei detenuti nel mondo sociale, secondo operatività che rimangono tali solo nella carta.
Eppure, in Brasile, Paese che certamente ha una serie non indifferente di problemi sociali, economici ed anche politici, esistono queste carceri, con un programma rieducativo che sembra davvero fare invidia ai tanto civili Paesi d’Europa.
La domanda è dunque: perché allora, in un Paese come il Brasile, si pensa ad un carcere così umano, così attento a stimolare gli aspetti positivi di una detenzione che non deve solo affliggere, ma motivare alla responsabilità personale?
Perché, molto probabilmente, in questa nazione hanno tentato di rendere utile socialmente ed economicamente il periodo esistenziale in cui i criminali possono scegliere, durante la stessa afflizione, se continuare nelle loro abitudini delinquenti, oppure trovare un’alternativa per inserirsi in una vita “normale”. Mi sembra che l’intenzione di migliorare la persona, facendo rimanere fuori dal carcere il delitto, si concentri sull’elaborazione del sentimento di colpa, confermando l’ovvietà che il passato, in quanto tale e per chiunque, non sia modificabile e quindi possa essere risolto solo attraverso azioni presenti che modifichino il futuro. Parlo dal punto di vista antropologico-mentale, senza dimenticare che andrebbero svolte azioni sociali e di sostegno, sia pure con caratteristiche diverse, anche rispetto alle vittime di questi stessi criminali. Si tratta di investimenti a lungo termine, all’interno dei quali anche la funzione dei poliziotti potrebbe mutare in una sorta di co-educatori al fianco di professionalità preparate a fronteggiare questo tipo di situazione, sia dal punto di vista esistenziale, emotivo, che conseguentemente cognitivo.
Certo, bisognerebbe, per quanto riguarda la nostra nazione, avere funzionari e politici particolarmente illuminati e preparati, e mi sembra che per quanto ci riguarda, tranne qualche mosca bianca, non si possa parlare in questi termini…
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura. Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Columbia, a Bogotà; vice-segretario generale dell’UNEDUCH (Universal Education Charter), ONG presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite e il Parlamento Europeo, e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).
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