Con la testa degli altri
È tutta questione di… realtà.
Se prestiamo attenzione a ciò che la psicologia generale dice circa il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, ci rendiamo conto che si tratta della presa di coscienza che ogni individuo esiste solo in quanto inserito in un gruppo.
Eppure, nonostante questo sia un dato di fatto oggettivo, nel senso che accade in tutte le culture del mondo umano, il concetto di maturità che abbiamo sviluppato (specialmente nel mondo occidentale) sembra essere associato alla capacità di pensare con la propria testa.
In realtà, si pensa anche con la testa degli altri.
Con i concetti di autonomia e identità, intesi come li intendiamo, ma non come li propongo qui, esprimiamo l’idea di diventare cognitivamente solitari oppure talmente diversi da ciò che crediamo di essere che giudichiamo negativamente la differenza che ci separa dagli altri. Come se questa differenza fosse reale, quando è invece il prodotto di una convinzione mentale di tipo egoistico; come se fosse un valore aggiunto del nostro esistere, la convinzione di pensare autonomamente, disconoscendo quanto la nostra mente dipenda da quella altrui.
Eppure, nove mesi di gestazione all’interno del corpo materno dovrebbero farci capire quanto sia assurda questa convinzione. Una convinzione che, secondo la mia prospettiva, è anche alla base del male presente nel mondo, perché tutto quello che di ignominioso accade in questa vita, in qualsiasi parte del globo, è la conseguenza di questa idea.
Quando si è bastanti a sé stessi, il nostro cuore, e di conseguenza la nostra mente, sono chiusi e impenetrabili.
Senza l’apertura verso l’esterno, tutto rimane non solo latente, ma esistenzialmente privo di significato, perché ognuno di noi nasce attraverso l’intervento di due persone che desiderano la nostra presenza in vita (sia essa naturale quanto adottiva) e la nascita stessa è un’espressione duale. Se questo avviene, se in questo sistema solare ogni cosa che esiste è il frutto di un rapporto biunivoco, sarà forse il caso di riflettere con maggiore attenzione sui temi dell’autonomia e dell’identità umane.
E penso che sia venuto il momento storico per farlo, proprio perché, con il nostro ingresso a tutto tondo nel mondo della globalizzazione e della società della comunicazione, è difficile continuare ad arroccarsi dietro idee che attribuiscono un eccessivo valore alla propria singolarità e specificità.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).