𝐂𝐡𝐢 𝐦𝐚𝐧𝐢𝐩𝐨𝐥𝐚 𝐥𝐞 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐞 𝐯𝐢𝐭𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐭𝐞?
Ma davvero le nostre vite sono manipolate dalla Rete e viviamo sotto il regime dell’infocrazia?
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Chi manipola le nostre vite nella rete?
Ma davvero le nostre vite sono manipolate dalla Rete e viviamo sotto il regime dell’infocrazia? Ma come, la gente non legge più i giornali e diserta anche i telegiornali, la rete è in balia degli utenti, in una forma anarchica e autarchica di autogestione di massa, l’informazione sembra ormai marginale in una società che risponde ad altri impulsi, poteri e suggestioni, e voi parlate di un regime fondato sull’informazione? La denuncia, rimbalzata velocemente in tutto il mondo, è stata rilanciata nel breve saggio Infocrazia (uscito in Italia da Einaudi) del solito Byung-Chul Han. Il filosofo tedesco-coreano è una star globale del pensiero o di quel che ne resta sul palcoscenico mondiale; sforna testi a getto continuo di critica del presente.
Il suo atteggiamento verso il mondo d’oggi è critico, come dev’essere l’occhio di un pensatore; e anche un po’ conservatore, diffidente verso ogni novità e ogni nuova forma che assume oggi il potere, il sapere, la vita e la tecnologia. Ma quell’infodemia la scontiamo ogni giorno. Perché al di là dell’immagine di facciata che prima dicevamo, la realtà non è affatto refrattaria all’infosfera, anzi ne è tutta permeata. Tutto ciò che facciamo, diciamo, desideriamo, vediamo passa dai flussi informativi che ci giungono in modo virale, fluviale e subliminale dai canali a cui siamo attaccati ogni momento: gli smartphone e gli i-pad, i pc e la tv. E il nostro statuto di abitanti della rete, dei social, iperconnessi in permanenza, indica la nostra assoluta dipendenza dall’infocrazia. Anche quando ci sembra di navigare liberamente nella rete, di esprimere gusti e opinioni personali, di decidere noi cosa vedere, fare, comprare e cosa no, insomma anche quando abbiamo la parvenza di sovranità dello schermo, del telecomando, del mouse e della tastiera, ne siamo in realtà succubi totali. La società, l’economia, la politica, i consumi, le relazioni umane sono totalmente soggetti all’infocrazia. Ma chi comanda, chi sono gli infocrati o gli infamocrati? Ci sono sicuramente i giganti della rete, i loro padroni, gli oligarchi che decidono canoni, campagne e linguaggi. Ma alla fine, quel potere resta impersonale e anonimo; è una reazione a catena, un reticolo di riflessi condizionati, insomma un ingranaggio, un sistema. Heidegger e Severino direbbero che è la tecnica, di cui l’uomo è cursore e funzionario ma non più sovrano.
Nelle essenziali pagine del suo libretto, Byung-Chul Han descrive un’impeccabile teoria e una carente fenomenologia dell’infopotere. L’impeccabile teoria è l’aggiornamento o l’applicazione al nostro oggi di una lettura critica che da Nietzsche alla Scuola di Francoforte, da Habermas a Foucault, da Neil Postman di Divertirsi da morire fino alla sociologia di massa dagli anni cinquanta in poi, era stata già denunciata. Ma il filosofo coreano l’applica alla rete e all’universo digitale in via d’espansione e annuncia l’avvento di un nuovo nichilismo. Il bersaglio finale di questo attacco è la verità. La cancellazione della verità, la sua sostituzione con la menzogna, la subordinazione al potere e al mercato, la perdita del confine tra il vero e il falso. Ma non più le verità di principio, a partire da Dio, bensì le verità di fatto, la realtà. E la filosofia non si preoccupa più del suo compito primario e semplice: dire la verità.
Ma quando passa alla fenomenologia, cioè alla descrizione dei fenomeni derivati, il filosofo tedesco-coreano si adatta al Canone su cui regge l’Infocrazia, si piega al conformismo dell’infocrazia che denuncia. Per indicare il suo modello di distorsione della verità cita solo il solito Hitler e tra i viventi il solito Trump e ritrova i missionari dell’infocrazia tra gli spacciatori di fake news. Ora, ridurre a Hitler l’unico esempio storico di manipolazione della verità, significa cancellare secoli di distorsione della verità da parte del potere e decenni di abusi dopo il crollo del nazismo; e significa rimuovere quella che non a caso si chiamava Disinformatia d’origine sovietica, comunista che fu la più gigantesca e duratura industria del falso fabbricato dal più efferato e duraturo regime totalitario di cui sono ancora operative alcune tracce. E indicare come esempio d’infocrazia la rete degli spacciatori e fruitori di fake news o arrivare al massimo alla figura di Trump, significa fermarsi al livello più basso e più superficiale di manipolazione e distorsione.
Non sarebbe così invasivo, pervasivo, onnipresente l’infocrazia se fosse affidata solo alla gente che maneggia i fatti e ignora la distinzione tra il vero e il presunto, i si dice e il falso. E avremmo risolto il problema se la fonte principale di infocrazia fosse Donald Trump, che ormai da anni è fuori dalla Casa Bianca e dal potere, e fu fatto fuori proprio da quel livello più alto di infocrazia.
Il fatto che ne parliamo oggi nell’era Biden, nell’era della pandemia, della guerra in Ucraina e della capillare manipolazione della realtà di ogni giorno, dimostra che c’è un livello più alto e inaffondabile di potere che va ben oltre le distorsioni populiste. E’ un livello a cui si giunge da una filiera di poteri opachi e tentacolari, che passano dall’informazione prefabbricata ai servizi segreti e gli apparati militari, dal retrobottega delle multinazionali al deep state delle superpotenze. L’infocrazia si accompagna poi a un’ideologia correttiva della realtà, della natura, della storia e quindi della verità. Magari il problema fosse Trump o l’anonimo leone da tastiera… (panorama n.6)