Che vuol dire essere conservatore oggi

𝐂𝐡𝐞 𝐯𝐮𝐨𝐥 𝐝𝐢𝐫𝐞 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐭𝐨𝐫𝐞 𝐨𝐠𝐠𝐢
Per la prima volta nella nostra storia repubblicana avremo al governo una leader che si definisce conservatrice.

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Che vuol dire essere conservatore oggi

Per la prima volta nella nostra storia repubblicana avremo al governo una leader che si definisce conservatrice. Definizione fino a ieri usata per denigrare l’avversario, per la prima volta rivendicata in senso positivo. Cosa s’intende per conservatore? A usare il vecchio gergo automobilistico, i conservatori sono il freno, i progressisti l’acceleratore e i centristi la frizione. Moderata è solo l’andatura. Poi l’automatismo ha reso superflui i pedali, e la tecno-economia ha sterilizzato la politica. Ma in politica come nella vita sono necessari i conservatori quanto gl’innovatori; e a volte coincidono. L’Italia è un paese che gira a vuoto, acceleratore a tavoletta e freno a mano. Dinamico a parole, quietista di fatto; ideologicamente progressista, concretamente stazionario. L’epiteto di conservatore resta tra gli insulti peggiori; si sentono offesi pure gli stessi conservatori. Giorgia Meloni ha compiuto non da oggi la scelta conservatrice per distinguersi dai populisti, recidere i ponti col fascismo e inscriversi dentro una tradizione politica europea accettata. Ma si può essere conservatori in modi diversi: per esempio se si fa una scelta liberal-liberista-atlantista di tipo anglosassone oppure una scelta sociale, comunitaria e tradizionale di tipo continentale, più consona alla nostra storia, indole e cultura.

In Italia non c’è mai stato un esplicito Partito Conservatore; andò vicino la Destra storica, ma il conservatore italiano ha sempre esibito l’altra carta d’identità: cattolica, nazionalista o liberale. Domina lo stupido luogo comune apocalittico secondo cui non c’è niente da conservare: allora buttatevi giù dal ponte, non ha senso nemmeno conservarvi in vita… Cinquant’anni fa il vecchio Giuseppe Prezzolini scrisse il Manifesto dei Conservatori, fondato sul realismo; resta un faro.

Vi sono quattro buone e chiare ragioni per dirsi conservatori. Per cominciare riusciremo a salvaguardare l’Italia, la sua ricchezza, i suoi beni artistici, culturali e naturali solo se riteniamo che ci sia qualcosa di prezioso da conservare, proveniente dal nostro passato. Si potrà mai fare vera conservazione dei beni culturali se si disprezza il conservare o lo si riduce alla chimica dei conservanti? Se non coltivi la memoria, se non ami la tua storia, la tua tradizione, il passato e le sue glorie, le cose che preesistono, non potrai mai tutelarle e valorizzarle.

Secondo tema, la connessione verticale. E’ necessario vivere connessi, ma non solo al proprio presente e non solo in latitudine, ma anche al passato e in profondità. Oltre la connessione orizzontale, garantita da internet e dalle telecomunicazioni, è necessaria la connessione verticale, con la storia da cui proveniamo. Il conservatore fonda la sua proposta e la sua visione su un patto di sangue e di anima tra le generazioni; passate, presenti e future. Non è un singolo ma un erede gravido.

Terza ragione: nell’epoca del consumo rapido di vite, legami, affetti e merci, è bello scoprire la gioia delle cose durevoli, la continuità della vita e scorgere in pieno movimento, liquidità e fluidità, punti fermi e riferimenti saldi; oltre il provvisorio, c’è il permanente, oltre i mutanti c’è la natura. Il conservatore oppone alla variabilità dei tempi la varietà del mondo reale.

Benché nemico dell’ottimismo, il conservatore non cede al catastrofismo, al suo sguardo lungo ed esperto non andiamo né verso il migliore dei mondi possibili né verso il peggiore, i disagi cambiano ma ci sono sempre; non è la fine del mondo, è solo una fine, si chiude un ciclo, un’epoca, non è l’apocalisse. Nihil sub sole novi, in ogni mutamento ci sono analogie, ripetizioni e costanti; in ogni guadagno c’è una perdita.

Infine, il conservatore non è antagonista dei cambiamenti, dello sviluppo e della tecnica, ma vuole bilanciarli. Oggi più di ieri conservare è un principio di compensazione, non di reazione o d’opposizione al divenire. Il conservatore bilancia la fretta con la lentezza, il globale col locale, la tecnica con la cultura, l’artificiale col naturale, la novità con la memoria, la fluidità con le radici. Sul piano biologico abbiamo bisogno sia di novità e rotture che di sicurezze e persistenze, per padroneggiare l’ansia dell’ignoto e l’angoscia della mutazione. “Il conservatorismo è fonte di progresso”, sostiene Michel Houellebecq in Interventi, appena uscito da La nave di Teseo.

Assume così valore la rivoluzione conservatrice, che non è solo il movimento culturale e letterario emerso tra le due guerre ma indica il proposito di coniugare la saldezza dei principi al dinamismo degli assetti. Per Costantin Noica nel Saggio sulla filosofia tradizionale, il puro divenire è dissiparsi, perdersi, negare, “solo il divenire entro l’essere istituisce, edifica, afferma”. Il divenire dentro il cerchio dell’essere è il senso proprio della rivoluzione conservatrice, fondata sul ritorno. Horror vacui contra cupio dissolvi. Il conservatore è realista, ha senso della misura, dei limiti e dei confini, sa che la vita inspira ed espira, ha sistole e diastole, è andata e ritorno. Nell’arcipelago conservatore c’è una versione pragmatica, liberale e mercatista e un’altra più legata ai principi di Dio, patria e famiglia. Per il conservatore la Tradizione è fondamentale, le tradizioni sono beni da salvaguardare, ma il tradizionalismo è sclerosi, la sua rigidità coincide col rigor mortis. La Tradizione, diceva Gustave Mahler, sta al tradizionalismo come la fiamma sta alle ceneri. Il conservatore non è un imbalsamatore, semmai un tedoforo: porta la fiaccola, tanto cara alla Meloni.

(Panorama n.42)