𝐂’𝐞𝐫𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐯𝐨𝐥𝐭𝐚 𝐌𝐚𝐫𝐜𝐞𝐥𝐥𝐨, 𝐢𝐥 𝐥𝐚𝐭𝐢𝐧 𝐥𝐨𝐯𝐞𝐫
Marcello, ah Marcello. A cent’anni dalla sua nascita, a ventotto dalla sua morte, Marcello Mastroianni resta nell’immaginario collettivo, e nei suoi luoghi comuni, la rappresentazione verace dell’italiano: belloccio, serioso, loquace, latin lover e sex symbol, dalla voce un po’ nasale, inconfondibile ma senza tratti particolari.
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C’era una volta Marcello, il latin lover
di Marcello Veneziani
07 Aprile 2024
Marcello, ah Marcello. A cent’anni dalla sua nascita, a ventotto dalla sua morte, Marcello Mastroianni resta nell’immaginario collettivo, e nei suoi luoghi comuni, la rappresentazione verace dell’italiano: belloccio, serioso, loquace, latin lover e sex symbol, dalla voce un po’ nasale, inconfondibile ma senza tratti particolari. Tutti i grandi attori della commedia all’italiana erano in fondo comici, “ridicoli”, avevano perlomeno un lato caricaturale e grottesco che li rendeva beniamini del pubblico: Alberto Sordi, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Monica Vitti, Ugo Tognazzi, Walter Chiari, fino a Giancarlo Giannini e Paolo Villaggio, per non dire della generazione precedente, quella di Totò, Vittorio de Sica, Peppino de Filippo e Aldo Fabrizi.
Mastroianni, invece, era l’unico tra i più famosi che non voleva far ridere, attor brillante ma non comico, la sua figura non straripava mai dal ruolo assegnato nel film. Mastroianni restava dentro il racconto e la sua parte. Il tono della sua voce era duttile, si adattava all’allegro andante della commedia ma sapeva inoltrarsi anche nella voce trasognata e misteriosa di alcuni film felliniani, onirici e malinconici; e nei ruoli tragici di alcuni film, come Todo Modo o Fantasma d’amore.
La sua versione femminile a cui era solitamente accoppiato nella saga cinematografica era Sophia Loren. Erano la Coppia primordiale del cinema italiano, l’Adamo ed Eva della nostra identità. Coppia brillante ma non sempre usata in ruoli brillanti; si pensi a Una giornata particolare di Ettore Scola. Però, a differenza della Loren, che quest’anno compie novant’anni, Mastroianni non ebbe mai l’Oscar, anche se ci andò più volte vicino.
Mastroianni era l’attore italiano per antonomasia; attor simbolo, o come oggi si dice, “iconico”; per questa sua trattenuta vocazione alla commedia brillante e arciitaliana fu poi utilizzato anche in film più seri e meno caserecci come Sostiene Pereira, Oci Ciornie o il pirandelliano Le due vite di Mattia Pascal. E recitò molto anche all’estero. Anche nella commedia italiana Mastroianni fu attore nazionale, nel senso che non fu solo romanesco o laziale; fu pure siculo, napoletano o genericamente provinciale.
Anche per questo Mastroianni appariva come l’idealtipo dell’attore, senza particolari virtù e virtuosismi, come invece il prodigioso Sordi o il mattatore Gassman. Fu l’attore felliniano per eccellenza, ma non si identificò nel cinema felliniano, fu anche altro. E non si identificò nemmeno nel ruolo dell’amatore e del seduttore, perché interpretò pure il suo contrario, come nel Bell’Antonio di Vitaliano Brancati, che diventò in quegli anni il paradigma dell’impotente. O come l’omosessuale di Una giornata particolare.
Da ragazzo fui perseguitato da quel “Marcello come here” che Anita Ekberg nell’iconico bagno nella fontana di Trevi rivolgeva a Marcello Mastroianni ne La dolce vita, invitandolo a entrare nella mitica vasca berniniana. Quel grido fu per me un’iniziazione alla vita adulta, dopo che negli anni dell’infanzia ero stato Marcellino pane e vino, il protagonista di un’altra famosa saga cattolica e puerile. Poi diventò un tormentone un po’ molesto.
Mastroianni rappresentò l’autobiografia della nazione soprattutto perché ne La dolce vita, sbarcava da provinciale in cerca di fortuna nella Roma godereccia e un poco malinconica del boom economico. E in quella storia di provinciale sbarcato a Roma si riconosceva l’autore che aveva scritto il film, il pescarese Ennio Flaiano; il regista che lo aveva realizzato, il riminese Federico Fellini; e pure il protagonista omonimo, il ciociaro Marcello Mastroianni. Tre provinciali alla conquista della Capitale. Ma in quel viaggio dalla provincia alla metropoli si riconosceva una fetta numerosa di italiani, soprattutto centro-meridionali, sbarcati nella Roma impiegatizia dei ministeri o in quella sognatrice di Cinecittà.
A differenza degli altri grandi attori italiani, Mastroianni ha avuto la possibilità di realizzare alla fine della sua vita, un film-congedo, curato dalla sua ultima compagna, Annamaria Tatò, Mi ricordo, si io mi ricordo.
Mastroianni non rappresentò mai il cinema impegnato e ideologicamente schierato, ma non si sottrasse ad alcuni ruoli obbligati dallo spirito politico del tempo. Fa impressione vederlo schierato, con tutti i grandi registi e attori del cinema italiano nel picchetto d’onore alla morte di Enrico Berlinguer nel 1984. C’era quasi tutto il plotone del cinema italiano, dei grandi registi mancava solo Luchino Visconti, morto qualche anno prima ma comunista aristocratico e decadentista; non mancava nemmeno Federico Fellini che pure non era mai stato vicino al Pci e alla sinistra militante; e questo la dice lunga sull’egemonia culturale nel cinema italiano e sul potere di intimidazione o di pressione che esercitava, con relativo invito a conformarsi. Non si poteva mancare, e Mastroianni naturalmente non mancò.
Mastroianni aveva compiuto studi modesti e nessuna accademia, in guerra si era arrangiato e l’aveva scampata, si tenne fuori dalla vita pubblica e dall’impegno civile. Ebbe famosi amori e una notorietà internazionale maggiore rispetto agli altri protagonisti della commedia all’italiana, magari più adorati in patria, ma meno esportabili all’estero. Nonostante la fama di essere pigro e in fondo riluttante, Mastroianni fu attore prolifico, duttile e non andò mai controcorrente. Morì a Parigi dove ormai viveva da anni ma la sua faccia restò il volto più famoso di quell’Italia della nostra infanzia, della nostra giovinezza, e comunque quella da cui proveniamo.
(Panorama n.15)