𝐂’𝐞𝐫𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐯𝐨𝐥𝐭𝐚 𝐢𝐥 𝐬𝐚𝐥𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐝𝐢 𝐍𝐨𝐧𝐧𝐚 𝐂𝐨𝐬𝐭𝐚𝐧𝐳𝐚
Ogni volta che muore un Vip osannato dal mainstream sembra che sia morto il più grande uomo di tutti i tempi.
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C’era una volta il salotto di Nonna Costanza
di Marcello Veneziani
Pubblicato il 04 Marzo 2023
Ogni volta che muore un Vip osannato dal mainstream sembra che sia morto il più grande uomo di tutti i tempi. Glorificazione intensiva, su tutte le reti, funerali in tv, applausi. E poi via, avanti il prossimo. Così sta succedendo a Maurizio Costanzo, dopo un diluvio mediatico con panegirico universale.
A ripensarci oggi, al salotto di Costanzo, è come ricordare il salotto di Nonna Speranza di Guido Gozzano. Preistoria sentimentale, mondo antico che non c’è più.
Il salotto di Costanzo nacque quando la tv non era a colori, quando c’erano ancora l’Urss, la Dc e il Pci e non c’era ancora il telefonino. Sopravvisse a quelle mutazioni, e si protrasse per alcuni decenni, con uno strascico fin quasi ai nostri giorni ma diventò la testimonianza di un mondo trascorso. Quel mondo ricorda il tempo della civiltà della conversazione su cui scrisse un libro prezioso Benedetta Craveri, retaggio dei salotti del seicento e del settecento in cui per la prima volta si affacciavano donne parlanti, cicisbei, spiritosi e libertini. Costanzo li adattava alla società neoborghese di massa e alla tv. Un salotto affacciato su una platea di guardoni. Finiva l’era furente del tutto è politica e si scopriva il privato, gli individui, i gusti e i disgusti. Il Maurizio Costanzo Show traghettò dal pubblico al privato, anzi rese pubblico il privato. Promosse il soggettivismo di massa. Era un salotto, un circolo, un caffè ma usava il modello cattolico della confessione. Quando Costanzo si spostava col suo trespolo e parlava a turno coi suoi ospiti, usando un tono confidenziale, per carpire confessioni e segreti, praticava in senso laico e “libertino” la confessione (e un po’ la seduta psicanalitica). Con la variante che lasciava spazio per qualche intromissione degli altri ospiti, a volte pilotati e fomentati da lui, in modo da intrecciare il pubblico col privato, l’intimo col conviviale e vivacizzare con le rivalità il coming out. Furono prove tecniche di narcisismo interattivo. Così nacque il talk show in tv.
Oggi se dici talk show pensi a programmi con una caratterizzazione prevalentemente politica. Al tempo, invece, uscivamo dall’era ideologica e panpolitica degli anni settanta; nel salotto di Costanzo anche il politico veniva risucchiato dal lato umano, a volte intimo e perfino giocoso. La storia si faceva aneddoto.
Il talk show come lo costruì Costanzo è praticamente finito, salvo residui surrogati. Ma allora rispondeva a un preciso stadio della società, dopo il ’68, prima dei social. In quel tempo si chiamava riflusso, riscoperta del privato, teneva a battesimo il nascente egocentrismo di massa, l’interazione tra vip e gente comune, il contrasto tra modelli di vita “emancipati” e altri ritenuti “coatti”, “antiquati”. Era la fiera degli stravaganti, di chi dava spettacolo di sé o accettava il ruolo di galletto nella sfida in video allestita da Costanzo, che si fingeva paciere ma era il sobillatore. Era però ancora il tempo della conversazione. Ora c’è, al più, esibizione del privato, denudamento dell’io e del tu, fiera dei sentimenti e dei risentimenti; ma non c’è più civiltà della conversazione; e poco resta pure della chiacchiera al bar. La transizione alla nuova tv l’ha traghettata anche sua moglie, Maria De Filippi, con cui strada facendo s’invertirono i ruoli: un tempo era la moglie di Maurizio, poi lui diventò la moglie di Maria. La De Filippi proseguì l’opera “pedagogica” e correttiva di lui, sul piano dei costumi, adattata al tempo del Grande Fratello.
Per molti anni, quasi un trentennio, Maurizio Costanzo è stato il principale influencer dei costumi della nostra società. La Rai era ingessata e aveva ancora tracce di severità e di protocollo; Costanzo invece sulle reti berlusconiane andava a ruota libera, con meno freni istituzionali. La piazza d’Italia si era trasferita nel video-salotto; il messaggio prevalente che lui veicolava ogni sera era di tipo radicale, permissivo e vagamente progressista a uso domestico e ludico; a volte con qualche tratto umanitario. Il suo show modificava in pubblico la vita privata degli italiani, conformandola ai nuovi canoni e luoghi comuni di una società scristianizzata, più global, più edonista; in versione pop, romanesca e neoborghese, rispetto alla civiltà della conversazione al tempo dei libertini. Era lo spirito del tempo, e lui lo portava nelle case. Il suo show fotografava e favoriva la mutazione dei costumi, portava in famiglia, in versione bonaria, lo spirito sessantottino che aveva imperversato in versione più rabbiosa e ideologica nelle piazze, le scuole e le università. Le prime prove tecniche di omotransgender passarono in video dal suo salotto. Costanzo fu un ibrido tra Pannella e sora Lella, la sorella di Aldo Fabrizi. Detestavo in modo particolare una sua massima che ripeteva spesso: la coerenza (o la fedeltà) è la virtù degli imbecilli. Così allevò generazioni di imbecilli incoerenti, fluidi e infedeli.
Certo, fu un grande impresario di tv, un potente – all’epoca lo definì Costanzo I Imperatore – un intervistatore brillante, scopritore di talenti, squinzie e stravaganti, autore prolifico, grande animatore radiofonico. Memorabili in tv alcune sue interviste non solo a politici e gente di spettacolo. Diventò un’abitudine quotidiana sapere chi c’era da Costanzo, diventò un nuovo vano di casa nostra, un altro tinello.
Del suo show fui ospite ai tempi in cui frequentavo il video, sbattuto come l’esemplare di una razza strana: vedete come è fatto, come si comporta e cosa dice uno di destra, se non fascista, in televisione. Più che politica era curiosità esotica, antropologica se non zoologica.
Invecchiò precocemente, fu lungo il suo declino, fisico e lessicale. Fu il baffo più vistoso della tv e il collo più nascosto del video. Il suo salotto finì quando la conversazione si trasferì nel display di un telefonino o di un pc. Se telefonando segnò il suo inizio, il telefonino segnò la sua fine.
La Verità – 3 marzo 2023