𝐂𝐞𝐧𝐭’𝐚𝐧𝐧𝐢 𝐝𝐢 𝐟𝐚𝐬𝐜𝐢𝐬𝐭𝐮𝐝𝐢𝐧𝐞
Sul piano storico il 2022 sarà l’anno del fascismo, col centenario della marcia su Roma e dell’avvento di Mussolini al potere.
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Cent’anni di fascistudine
Sul piano storico il 2022 sarà l’anno del fascismo, col centenario della marcia su Roma e dell’avvento di Mussolini al potere. Qualcuno osserverà che in realtà ogni anno, da svariati decenni, è l’anno del fascismo perché se ne parla come se fosse ancora in corso. Dunque, nessuna novità. Per un ventennio di regime, cent’anni di fascistudine. Ma sul piano storiografico, questo sarebbe l’anno giusto per ripensare il fascismo e tracciare quel “necrologio onesto” che Prezzolini invocava già poco dopo la sua caduta. Temo, invece, che di necrologi onesti non ce ne saranno, una volta adottata, anche dal Capo dello Stato, la definizione di Male Assoluto, in cui non si può salvare niente. Con queste premesse che senso avrebbe affrontare il fascismo sul piano della ricerca storica? Basta la condanna, il vituperio, la damnatio memoriae. Lo storico è congedato, reso superfluo, a meno che si trasformi in sacerdote ed esorcista, mutando la storia in anatema.
Eppure ci sarebbe da affrontare il fascismo sul piano della ricerca storica. Non per rivendicare nulla né solo per documentare gli altri aspetti del fascismo che trovarono il consenso dei popoli, l’ammirazione di statisti, di grandi artisti, pensatori e scienziati del suo tempo e dell’opinione pubblica internazionale; o per attestare che ci furono opere, eredità e realizzazioni di cui ancora usufruiamo o che al paragone con le opere venute dopo sembrano giganteggiare. Ma non è questo il tema storico del fascismo. Il vero tema ancora irrisolto, mai affrontato fino in fondo, è capire da dove spuntò il fascismo, se fu una deviazione imprevista e retrograda della storia o se fu un evento che maturò in seno all’Europa, nel cuore della sua cultura, della sua storia e del Novecento.
Certo, l’occasione determinante fu la guerra, lo scatenamento delle forze elementari; ma anche il clima che condusse alla guerra e poi al fascismo fu una febbre, un’anomalia, un impazzimento o fu piuttosto la maturazione di una linea storica e politica: il patriottismo e l’irredentismo, il tardivo colonialismo e il nazionalismo, l’interventismo della cultura.
Non solo: ma nel fascismo vengono al pettine i nodi irrisolti delle due principali tradizioni politiche del tempo che precedette il suo avvento: il socialismo, il comunismo, la lotta di classe e la rivoluzione promessa da una parte e l’imperialismo, il colonialismo, il liberalismo in assetto di guerra dall’altra.
E sullo sfondo, l’irruzione delle masse nella vita pubblica, sancita poi nel battesimo di sangue della leva obbligatoria con la prima guerra mondiale. Tutti gli elementi imputati al fascismo erano già presenti in quel triangolo: il conflitto mondiale, le attese rivoluzionarie del socialismo e le difese autoritarie del liberalismo. Anche a prescindere dalla rielaborazione “originale” della cultura, vale a dire la traduzione politica di Nietzsche e di Sorel, del dannunzianesimo e dell’idealismo militante, del futurismo e del sindacalismo rivoluzionario, il fascismo è già nell’aria in un conflitto mondiale voluto dalle democrazie occidentali contro il trono e l’altare e in una rivoluzione che non riesce ad essere internazionale ma che diventa inevitabilmente nazionale e interventista, in cui cioè le classi vengono alla fine superate dalle nazioni “giovani” e “proletarie” contro quelle ricche e senili.
Al più le letture ideologiche del fascismo lo hanno scaricato sulle spalle dei rispettivi antagonisti: per i marxisti il fascismo era figlio armato del liberalismo, della borghesia e del capitale; per i liberali, invece, il fascismo era il gemello del comunismo, la sua versione speculare in chiave nazionalista ma ugualmente totalitario, violento e statalista. In realtà il fascismo fu inevitabilmente il frutto incrociato di entrambi e della loro traduzione in stato di guerra.
C’è già il fascismo prima del fascismo nella partecipazione bellica dei regimi liberali e dei movimenti rivoluzionari alla guerra.
Poi verrà la sintesi di Mussolini, il suo pragmatismo, la sua capacità di tradurre in chiave originale quell’amalgama storico. Ma tutto si può dire del fascismo meno che fosse un’irruzione di Hycsos, una discesa di marziani, e dunque solo una parentesi storica, come cercò di esorcizzare Croce.
E tutto si può dire del fascismo meno che fosse la discesa dei barbari in piena civiltà, ovvero l’esplosione dell’irrazionalismo, come argomentò Bobbio (naturalmente a fascismo finito). L’irrazionalismo fascista aveva in realtà legami fortissimi non solo col socialismo rivoluzionario e col liberalismo autoritario ma anche con il Risorgimento incompiuto, di cui si presentò come la realizzazione (esattamente come poi fece l’antifascismo nella lotta partigiana). La sua legittimazione ideale e storica fu nel presentarsi come la salvaguardia della civiltà, la sua rinascita e non certo la sua negazione e la fuoruscita. Ripensare la nazione dopo la modernità, ripensare la tradizione con gli occhi del novecento, nell’epoca delle masse, e ripensare lo Stato oltre il capitalismo: questa fu la scommessa del fascismo.
Insomma, per capire il fascismo, il punto di partenza va capovolto: non è il Mostro venuto dal Nulla ma il figlio della storia e il frutto delle ideologie moderne. Il fascismo fu la rivolta vitale contro la decadenza della civiltà e la minaccia del bolscevismo, nel nome di un passato mitico e di un avvenire glorioso. La volontà di potenza fu la fonte della sua energia vincente ma anche dei suoi disastri, inclusa la rovina finale. Questo, in breve, ci pare il suo necrologio onesto. Ma sul fascismo interessano solo le apologie e le dannazioni.
MV, Panorama (n.3)