Breve trattato sul fico fiorone
Adamo ed Eva in versione pugliese furono cacciati dal paradiso perché furono sorpresi a mangiare i fioroni. La mela del peccato riguarda il Trentino, l’Europa del nord, il resto del mondo. Da noi invece il frutto proibito e squisito di giugno era il fico fiorone. Per la sua voluttuosa morbidezza, per la sua peccaminosa dolcezza, per la sua allusiva goccia di latte che l’accompagna, per il suo frutto che sembra una colonia di spermatozoi su una moquette di papille eccitate. Non a caso per gli antichi il fiorone era addirittura dedicato al dio Priapo, simbolo di potenza sessuale e di fertilità. Il frutto che in molti nostri dialetti viene declinato al femminile, indica la matrice erotica della vita, l’organo femminile, quello che con sublime poesia viene definita da noi come Natura, intesa come Madre natura, sede della natività. Il fiorone è l’annuncio dell’estate e il suo parente più stretto e concentrato, il fico, arriva invece quando volge alla fine. L’estate è una parentesi compresa tra due fichi. “Quannu rria la fica lu melone s’impica” proverbio salentino di cui esistono equivalenti anche in altre zone della Puglia. Il fico è l’albero mediterraneo per eccellenza, unisce i paesi a rischio di cacciata dall’Unione Europea, frutti estremi della civiltà greca, romana e cristiana. Perfino Giuda s’impiccò a un albero di fico, soprannominato albero traditore. Le foglie di fico furono le prime mutandine dell’umanità, una specie di buoncostume della natura per coprire le pudenda. A me invece, non so perché, le foglie di fico sembravano da bambino le orecchie a sventola dell’estate.
L’albero di fico era pure un formidabile misuratore delle sorti femminili. Secondo un proverbio La ielte cogghie u’ fiche, la vasce cogghie u’ marite, ossia le donne alte colgono i fichi, ma le donne basse colgono i mariti. Proverbio che da un verso allude alla compensazione della natura – a una dà frutta e statura, all’altra dà un marito e dunque una “sorte” – e dall’altro alla maggiore abilità e determinazione delle donne di bassa statura a conquistare il marito. Era alto il tasso di vacantine, ossia di nubili, di alta statura; ma bisogna anche aggiungere che, non so per quale mistero, era altrettanto schiacciante il tasso di suore di bassa statura, come se le donne basse rimaste nubili avessero maggiore propensione a prendere i voti.
Ho conosciuto nella mia infanzia mangiatori seriali di fioroni, c’era un promoter di fioroni che accompagnava il suo goloso spot con un grido invitante: “Chilumme, chilumme aooop” e ingoiava in un solo boccone la delizia (nome d’arte del fiorone era “colombo”). Il fiorone è il riassunto genetico della nostra dolce vita, nel senso proprio del glucosio, ed è anche la scatola nera in cui è registrata la terronia.
È uno dei frutti più difficili da asportare perché delicato, legato al territorio, non riproducibile dai cinesi, non delocalizzabile come le industrie manifatturiere. Per questo è maledettamente meridionale, e se va fuori del sud patisce lo sradicamento fino a deperire. Il fico fiorone è come il Colosseo, non si può esportare.
MV, Ritorno a sud (Mondadori, 2014)
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