Breve storia di barbe, barbieri e batbari

𝗕𝗿𝗲𝘃𝗲 𝘀𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗱𝗶 𝗯𝗮𝗿𝗯𝗲, 𝗯𝗮𝗿𝗯𝗮𝗿𝗶 𝗲 𝗯𝗮𝗿𝗯𝗶𝗲𝗿i
I barbari in origine avevano la barba incolta. Nel mondo antico venivano dal nord; ora dal sud, o da oriente. I più famosi con grandi barbe sono i talebani, gli ayatollah, gli ortodossi anche ebraici e i terroristi islamici; ma anche i terroristi rossi e i fanatici nostrani di solito avevano grandi barbe. Come i contestatori. Regimi fanatici sono cresciuti con le barbe.
A Kabul il governo talebano non c’era più, il governo mujaeddin non c’era ancora e nell’interregno i garanti della democrazia afghana furono i barbieri. A loro fu affidato il compito di radere la barbarie e compiere il primo atto di liberazione da quella specie di burqa naturale cresciuto come muschio selvatico sui volti dei tagiki in ossequio al regime. Gli afghani si rivedero finalmente in faccia e riacquistarono la loro libera personalità attraverso l’insopprimibile diversità dei volti. Sembravano tutti uguali. L’impressione è che le barbe si vendessero ai magazzini del popolo, come il burqa; taglie uniche, colori standard. Anche per i terroristi nostrani la barba è stata una specie di passamontagna naturale ma anche un distintivo ideologico nel nome dei profeti ideologici e barbuti della Rivoluzione. Le profezie di intrecciano: il comunismo sarà l’Islam del XX secolo, si disse e poi si ricambiò la cortesia notando che l’Islam sarà il comunismo del XXI secolo. La barba di Marx e quella del Profeta si danno il cambio nella lotta alla civiltà.
Al barbiere, alfiere di libertà e sacerdote delle pubbliche relazioni, tocca una missione civilizzatrice. Nei regimi dittatoriali le uniche riunioni consentite in luoghi chiusi erano le sale da barba, dove si poteva mormorare sotto i baffi o scambiarsi messaggi clandestini. Ma anche la mafia ordiva o compiva alcuni suoi atti rituali e barbarici nelle sale da barba; tuttora, a volte, accade. Crocevia di microcosmi e di pettegolezzi, dal barbiere si raccoglievano i si dice, si conosceva lo spirito del tempo e della comunità, si confrontavano e si criticavano gusti e disgusti e si apprendevano i vizi più di moda. Ora sì che sei più civile, dicevano i padri ai figli usciti dal barbiere. Dal barbiere si sapeva dei nuovi arrivi di meretrici in paese, con le relative specialità e curriculum, e si respirava aria di seduzione in quei calendarietti profumati da mal di testa, con femmine procaci, donati dal barbiere a fine rasatura. Servile coi clienti e tirannico con i garzoni di bottega (ragazzo spazzola, urlava il titolare brandendo le forbici o il rasoio), il barbiere appariva al tempo stesso suddito e sovrano della sua sala. In sala da barba ci si sentiva più liberi di dire, come se il sapone in faccia, il panno bianco addosso e la posizione semi-reclinata, consentissero la fuoruscita di sfoghi e confidenze altrimenti indicibili de visu, in posizione eretta; come in un confessionale laico. Il barbiere era anche musico e cerusico, medico chirurgo, suonava la chitarra, controllava la pressione salassando con le sanguisughe. Al sud c’era il barbiere di compagnia, intrattenitore. Veniva a domicilio; ma volete mettere il piacere di un pomeriggio sprecato dal barbiere… Queste abitudini del nostro meridione le ritrovi nei paesi arabi e islamici. La civiltà, in Medio Oriente, è appesa a un pelo. Quando Arafat volle spuntare l’ala più fanatica dell’Olp, ordinò il taglio della barba. Un popolo sbarbato non sempre è un popolo liberato, la liberazione dal bozzolo peloso non sempre è una conquista di democrazia. Non dimentichiamo che i giacobini avevano volti glabri, e così i bolscevichi e i nazisti. La barba al potere non sempre è sinonimo di oppressione. E non sempre tagliare la barba al profeta è un segno di libertà: dalla barba di Marx al pizzo di Lenin, e poi dal baffo di Stalin al faccione glabro di Mao e di Pol Pot, la riduzione del pelo ha accresciuto la barbarie.
In una canzonetta prima rivolta a Nicola Bombacci e poi all’imperatore d’Etiopia, i fascisti promisero:“con la barba del Negus faremo spazzolini per lucidar le scarpe a Mussolini”. La democrazia in America e in Israele si fonda sulle barbe nere dei padri pellegrini, i mormoni e gli ebrei più ligi alla tradizione. Anche l’unità d’Italia fu fatta da barbuti, da Garibaldi a Vittorio Emanuele a Mazzini; persino Cavour aveva una barbetta liberale che coronava il suo volto. I Savoia persero il loro regno con Umberto II, il primo re sabaudo senza barba né baffi. E sono decaduti con gli eredi glabri. La storia di sovrani che persero il regno dopo la rasatura della barba è ricca e gustosa. I Goti barbuti conquistarono Roma quando i romani smisero di portare la barba, come denunciarono i padri della patria. E pure i barbari smisero di essere forti, puri e guerrieri quando si ingentilirono cominciando a radersi le barbe. Il depilè fu fatale a loro come a Sansone. Un tempo il clero cattolico aveva l’obbligo di portare la barba, segno di austera e virile saggezza; regola rimasta in vigore in alcuni ordini di frati e nella Chiesa ortodossa. I religiosi con la barba sembrano più seri e più santi, quasi ieratici, rispetto alle facce lisce di preti gaudenti, golosoni e trafficanti. Riuscireste a immaginare Padre Pio glabro? Da quando abbiamo perso le barbe abbiamo perso le anime, ripeteva Poe; e Walker nel suo Trattato della bellezza notava che la rasatura della barba coincideva con la decadenza dei costumi.
La barba è tornata coi fanatici dell’Islam un indice minaccioso di barbarie. Ma barbaro è chi calpesta la civiltà, anche se non ha la barba. Non state a vedere il pelo.