Biden spinge gli arabi tra le braccia dell’Iran

L’amministrazione Biden spinge gli arabi tra le braccia dell’Iran

di Khaled Abu Toameh  23 aprile 2023

Pezzo in lingua originale inglese: Biden Administration Pushing Arabs Towards Iran
Traduzioni di Angelita La Spada
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Numerosi arabi e musulmani salutano l’accordo saudita-iraniano per ripristinare le relazioni diplomatiche come un duro colpo per l’amministrazione Biden, una vittoria per l’Iran e la Cina e un segno delle fallimentari politiche di Washington in Medio Oriente. (Foto di Atta Kenare/AFP via Getty Images)

Numerosi arabi e musulmani salutano l’accordo saudita-iraniano per ripristinare le relazioni diplomatiche come un duro colpo per l’amministrazione Biden, una vittoria per l’Iran e la Cina e un segno delle fallimentari politiche di Washington in Medio Oriente.

Secondo questi arabi e questi musulmani, il patto saudita-iraniano è la diretta conseguenza dell’antagonismo dell’amministrazione Biden nei confronti dei tradizionali alleati arabi dell’America, in particolare l’Arabia Saudita, e della politica americana di appeasement nei confronti dei mullah in Iran.

Lo studioso americano di origine libanese Walid Phares ha scritto di aver richiamato negli ultimi due anni l’attenzione sul fatto che i rapporti dell’amministrazione Biden con gli alleati arabi “non erano al livello richiesto né erano opportunamente profondi”.

Secondo Phares, l’amministrazione Obama “si è spinta troppo oltre nella sua partnership con l’Iran e i Fratelli Musulmani, voltando le spalle ai Paesi arabi, con l’obiettivo di creare alleanze con gli islamisti nella regione”.

Phares ha rilevato che questa politica dell’amministrazione Obama ha portato alla prima crisi di fiducia tra Washington e i Paesi arabi. Invece, l’amministrazione Trump, come osservato dallo studioso americano, “ha stretto un’alleanza senza precedenti con gli arabi per isolare l’Iran e sconfiggere lo Stato islamico (ISIS)”.

“L’alleanza arabo-americana è durata quattro anni, e l’Arabia Saudita e i suoi partner si sono votati all’agenda condivisa su tutti i fronti, a cominciare dalla lotta contro gli Houthi [sostenuti dall’Iran] [in Yemen] e dal sostegno a coloro che si oppongono all’Iran, oltre all’obiettivo di sradicare al-Qaeda e l’ISIS e, soprattutto, delegittimare l’Islam radicale. (…) Tuttavia, le oscillazioni della politica estera statunitense dopo la fine dell’amministrazione Trump e l’arrivo dell’amministrazione di Joe Biden hanno messo i sauditi, e con loro tutti gli arabi, in una posizione difficile. Gli arabi hanno proseguito con il loro impegno nella politica concordata con l’amministrazione Trump, ma l’amministrazione del suo successore si è opposta. Nel 2021, la coalizione araba si è ritrovata diretta verso la guerra con l’Iran, mentre l’amministrazione Biden voleva fare pace con Teheran!”

Secondo Phares, l’amministrazione Biden ha proseguito le politiche dell’amministrazione Obama ignorando la coalizione araba e le preoccupazioni dei Paesi arabi per i pericoli espansionistici e terroristici dei radicali in Medio Oriente. Gli arabi hanno inoltre osservato come l’amministrazione Biden abbia consegnato l’Afghanistan ai Talebani “e sono rimasti sconcertati nel vedere l’Occidente correre al tavolo dei negoziati con gli iraniani, ignorando i Paesi arabi e i loro interessi nazionali”.

Molti arabi si sono anche rivolti ai social media per elogiare l’accordo saudita-iraniano mediato dalla Cina, salutandolo come una grande sconfitta per le politiche dell’amministrazione Biden e una vittoria per la Cina.

“La Cina arriva con il potere e ha sconfitto politicamente l’America” recita un commento postato dall’attivista politico saudita Saeed Al-Mryti.

“La Cina ha ottenuto il pieno riconoscimento arabo contro le politiche americane. Oggi la Cina è vittoriosa sostenendo lo storico accordo tra Arabia Saudita e Iran, mentre gli Stati Uniti hanno un nuovo presidente che arriva a distruggere gli accordi raggiunti dal suo predecessore, vantandosene perfino durante la sua campagna elettorale e la sua presidenza”.

Un altro arabo, Ahmed Al-Fifi, ha scritto su Twitter:

“Due terremoti, senza precedenti in quasi settant’anni, hanno colpito Washington e il loro epicentro è a Riad! Il primo si è verificato nel 1986, quando l’Arabia Saudita acquistò missili strategici a lungo raggio dalla Cina. Il secondo, quando l’Arabia Saudita, sotto l’egida della Cina, cercò di ristabilire i rapporti con l’Iran”.

Il famoso giornalista iracheno Iyad Al-Dalimi ha scritto che scegliendo la Cina come garante dell’accordo, i sauditi miravano a mettere l’amministrazione Biden in una situazione imbarazzante. Secondo al-Dalimi, l’accordo tra l’Arabia Saudita e l’Iran “è stato raggiunto in risposta al fatto che Biden ignorasse l’Arabia Saudita e all’apatia che attanagliava questi rapporti da quando Biden è entrato in carica più di due anni fa”.

Commentando l’accordo saudita-iraniano, l’analista politico libanese Jubran Al-Khoury ha scritto che “non importa quanto gli analisti cerchino di abbellire la situazione per la politica statunitense, ciò che l’Arabia Saudita ha fatto oggi è un colpo diretto e riuscito all’amministrazione Biden e alla sua politica in Medio Oriente”.

Al-Khoury ha rilevato che l’amministrazione Biden ha cercato di “scappare” dal Medio Oriente per affrontare la Cina a casa propria in Estremo Oriente.

“Due anni dopo questa decisione americana, l’Arabia Saudita ha consentito alla Cina di entrare direttamente nella politica mediorientale dalla porta spalancata. (…) Dal 2021, la politica dell’Arabia Saudita è mutata a causa di un cambiamento nella politica americana e l’Arabia Saudita ha adottato diverse misure, che includono l’avvio di negoziati con l’Iran, l’espansione delle relazioni commerciali con la Cina nonostante la guerra commerciale dichiarata tra Washington e Pechino e lo sviluppo delle relazioni saudite con la Russia. (…)

“L’amministrazione Biden è diventata pienamente consapevole che la nuova politica dell’Arabia Saudita non è più così flessibile nei confronti delle richieste americane come lo era prima. (…) In effetti, l’attuale condotta dell’Arabia Saudita potrebbe aver costretto l’America a rivedere la propria politica in Medio Oriente”.

Anche i palestinesi, contrari alla pace tra Israele e i Paesi arabi, considerano l’accordo saudita-iraniano un duro colpo sia per gli Stati Uniti sia per Israele. I palestinesi sono ottimisti sul fatto che l’accordo impedirà all’Arabia Saudita e ad altri Paesi arabi di unirsi agli Accordi di Abramo, una serie di trattati che normalizzano le relazioni diplomatiche tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Kosovo, Sudan e Marocco.

Voltando le spalle all’Arabia Saudita, l’amministrazione Biden ha conferito potere agli arabi che si oppongono alla pace con Israele e ha distrutto ogni possibilità di espandere gli Accordi di Abramo per includere più Paesi arabi.

Secondo un editoriale pubblicato sul quotidiano palestinese Al-Quds:

“L’accordo saudita-iraniano ha inferto un duro colpo non solo a Israele, ma anche all’America e a molti Paesi europei che stanno imponendo un blocco all’Iran e alimentando disordini al suo interno. (…) Allo stesso modo, l’accordo sarà un preludio dell’uscita del mondo arabo dal controllo e dall’egemonia statunitensi e sosterrà la tendenza internazionale contro l’America per porre fine al suo dominio del mondo attraverso l’unipolarismo. Questo accordo unirà il mondo arabo e quello islamico; porrà fine alle speranze israeliane che l’Arabia Saudita arrivi a unirsi agli Accordi di Abramo”.

Pertanto, non sorprende che l’Iran e i suoi emissari terroristi – Hamas, la Jihad Islamica Palestinese e Hezbollah – esprimano profonda soddisfazione per l’accordo saudita-iraniano. Ai loro occhi, l’accordo è segno della crescente debolezza degli Stati Uniti e della politica fallimentare dell’amministrazione Biden in Medio Oriente. Grazie alla fragilità dell’amministrazione statunitense, l’asse del male guidato dall’Iran è stato notevolmente rafforzato mentre gli ex alleati arabi dell’America si precipitano verso i mullah di Teheran che li aspettano a braccia aperte.

Khaled Abu Toameh è un pluripremiato giornalista che vive a Gerusalemme. È Shillman Journalism Fellow al Gatestone Institute.