Bambini deficienti, come i genitori
È tutta questione di… responsabilità.
La situazione è questa, letteralmente.
I bambini che trascorrono molto del loro tempo davanti ad uno smartphone, un tablet, una console per videogiochi, oppure altri dispositivi digitali possiedono una ridotta integrità della sostanza bianca (quella dei collegamenti neuronali, per distinguerla dalla sostanza grigia, costituita dai corpi cellulari neuronali) nel cervello. Inoltre, manifestano minori capacità cognitive, carenza che si riflette in deficit linguistici, nell’alfabetizzazione e nella velocità di elaborazione cognitiva. Per essere ancora più chiari, l’utilizzazione di dispositivi multimediali dotati di schermo determina una vera e propria modifica nel cervello dei più piccoli, rilevabile nelle scansioni cerebrali, e strettamente correlata a punteggi inferiori in quei test che valutano le abilità cognitive. Queste considerazioni sono le conclusioni di una ricerca scientifica pubblicata recentemente, su JAMA Pediatrics. Anche se il campione è statisticamente significativo, il numero è comunque piccolo (47 bambini, tra i 3 e 5 anni, 27 femmine e 20 maschi) e dovranno essere dunque condotte ulteriori indagini scientifiche. È anche vero che esiste un ulteriore interessantissimo studio, condotto su 4500 bambini, fra i 9 e i 10 anni, con il quale si dimostra che superare la soglia di 7 ore quotidiane di fronte ad un device di questo tipo procura un assottigliamento della corteccia cerebrale.
Il titolo di questo mio articolo è “forte” (ne sono più che cosciente…) ma appropriato, perché la ricerca è stata condotta su un gruppo di bambini e relativi genitori, proprio per verificare il livello di consapevolezza che gli adulti posseggono circa l’utilizzo del tempo che i bambini trascorrono davanti ai diversi touch screen.Genitori_e_device
La Società Italiana Pediatrica ha emanato linee guida rispetto a questo problema, ossia l’utilizzazione infantile di dispositivi tecnologici con touch screen, dimostrando, in realtà, che la consapevolezza genitoriale è alquanto limitata in fatto di educazione. L’aspetto non proprio esaltante di queste ricerche è che la situazione è mondiale, ossia riguarda le attuali generazioni digitali, ovunque si trovino a vivere, indipendentemente dalla cultura di appartenenza. E questo avviene perché la tecnologia è talmente pervasiva da omologare gli atteggiamenti cognitivi infantili (tutti legati ai device di questo tipo) e quelli genitoriali. Lasciare i nostri figli da soli di fronte a questi strumenti, significa limitarne lo sviluppo cognitivo, espressivo e linguistico. Come possiamo dunque lamentarci per il degrado intellettuale nel quale viviamo, particolarmente evidente quando sentiamo parlare politici, rappresentanti delle istituzioni ed altri individui del genere? No, non possiamo farlo, perché tutti noi siamo responsabili di questa situazione, e forse non sarebbe del tutto sbagliato, se vogliamo salvare il salvabile, limitarci nelle nascite. Altrimenti, avremo ulteriori e ben più specialistici deficienti che governeranno il mondo, con la felicità dei genitori che li hanno messi al mondo nella loro deficienza.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).