Avere cura
È tutta questione di… semplicità universale.
Il dispendio di forze umane a favore di qualche altro essere vivente è qualcosa da non sottovalutare, perché anche dal punto di vista culturale, specie nel nostro Occidente, si è soliti affermare che il tempo è denaro.
Ebbene, questa locuzione si riferisce proprio alla quota di energie, ossia di forza lavoro, che ogni essere umano impiega nella costruzione del proprio cambiamento, grazie alla condivisione e alla reciprocità fra se stessi e l’esterno di se stessi.
Ho spesso affermato, riferendomi all’idea singolare, che in questo sistema solare, esiste la relazione duale madre-bambino. E quando manca la madre vi è un cosiddetto (oggi) caregiver, ossia «portatore di cure», sia esso un’istituzione o un altro essere umano. Senza cure, e persino costanti e continue, per molti anni della vita iniziale in questo mondo, il cucciolo umano non è nelle condizioni di sopravvivere.
Un’irrinunciabile relazione che rimarrà impressa, come traccia engrammatica, nella nostra mente e per tutta la vita, senza la quale saremmo in presenza di gravi conseguenze psicologiche.
Ogni volta che facciamo una qualsiasi esperienza rimane nel nostro cervello la traccia di ciò che ci è accaduto. Questa traccia viene chiamata normalmente ricordo. Ma dove risiedono, fisicamente, i ricordi nel nostro cervello?
Lo ha scoperto Eric Richard Kandel, premio Nobel per la medicina del 2000, che, attraverso una serie di esperimenti sulla Aplysia californica, la lumaca marina dell’isola di Catalina, in California, scopre che, se un’esperienza viene ripetuta per un numero congruo di volte, i collegamenti sinaptici fra i neuroni assumono una forma, nel senso letterale del termine, che si mantiene tale per tutta la vita. In questa forma che tali collegamenti assumono «abitano» i nostri ricordi.
Quando, invece, ripetiamo l’esperienza non molte volte, ma poche, i collegamenti sinaptici ritornano nella loro forma originale e ciò che abbiamo vissuto ritorna nell’oblio, come se non avessimo imparato nulla. Ciò significa che la memoria è una modificazione fisica di questi collegamenti che assumono una particolare forma, un’architettura tale che per ognuno di noi le stesse esperienze portano a ricordi diversi.
Questa forma prende anche il nome di traccia engrammatica.
Ecco, penso che, proprio sulla base di queste considerazioni, se fossimo nelle condizioni mentali di tenerle a mente con maggiore costanza, l’educazione, la scuola e le nuove generazioni assumerebbero un ruolo diverso nella nostra esistenza quotidiana.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info)