Analfabeti di ritorno
È tutta questione di… educazione permanente.
Molto spesso sentiamo dire da alcune persone che non hanno memoria. Bene, ossia male… perché, molto probabilmente, non si conoscono i processi cognitivi legati alla memorizzazione.
Come specie, tutti noi, in qualsiasi parte del mondo si viva, siamo programmati per accedere ad un certo numero di informazioni, che vengono regolarmente memorizzate. Però, ad una condizione: tali informazioni devono essere frequentate nel tempo, dopo averle incontrate per la prima volta. Altrimenti, vengono memorizzate solo sul momento, e non entrano a far parte di quel tipo di memoria che si definisce “a lungo termine“.
Per esempio, quando impariamo un nome ed un indirizzo e-mail perché dobbiamo inviare alcune informazioni velocemente ad una persona, possiamo memorizzare questi dati immagazzinandoli nella “memoria di lavoro“, che è molto limitata nel tempo. Quando, invece, si utilizza la “memoria a lungo termine”, avvengono modificazioni strutturali all’interno del nostro cervello, che rimangono tali nel tempo, proprio perché verranno frequentate durante il resto della nostra vita.
Un altro esempio ancora potrebbe essere il caso in cui una persona impari a scrivere e a leggere, ma poi smetta di farlo da un certo punto in poi della sua vita. Il risultato è quello che si chiama “analfabetismo di ritorno“, perché la persona ritorna ad essere analfabeta, in quanto non continua a praticare la lettura e la scrittura durante la sua esistenza.
Precisato questo, diventa chiaro il motivo che mi ha indotto a titolare questo articolo come avete letto.
Analfabetismo-di-ritorno_01Se le informazioni incamerate nella memoria a lungo termine non cambiano il comportamento presente degl’individui, e specialmente quello futuro, questo tipo di memoria non ha molta ragione di essere esercitata e persino di esistere. In altri termini, senza questo cambiamento non avviene ciò che si chiama apprendimento. Non si mandano le cose a memoria per poter continuare ad essere quello che si è, ma si memorizza per cambiare il futuro e soprattutto noi stessi. Un qualsiasi studente studia a memoria le date significative della storia, perché il giorno dopo è nelle condizioni di ripeterle al professore in classe. È talmente evidente questo processo, che esistono proprio due aree distinte del cervello umano, adibite all’utilizzo della memoria per ricordare il passato e cristallizzarlo, o all’utilizzo della memoria per modificare i comportamenti nel futuro. E se la natura ha operato questa differenziazione significa che è decisamente importante.
Il mio augurio è dunque quello di utilizzare una buona “memoria a lungo termine”, quando tutto quello che sta accadendo, politicamente ed economicamente nel mondo, sempre grazie all’avvento di zio Covid-19, andrà scemando. Se non saremo in grado di modificare i comportamenti, specialmente del nostro rapporto morale ed etico nei confronti delle istituzioni (pretendendo, così, che anche loro abbiano il nostro stesso stile…), non avremo fatto memoria di nulla.
E, ovviamente, la natura, che è molto più saggia di noi, dovrà, in qualche modo e misura, ricordarci ciò che avremo dimenticato.
Dopo zio Covid-19, avremo il nipotino Covid-20.
Non è detto che sia più docile, perché l’evoluzione vale anche per i virus.
Alessandro Bertirotti si è diplomato in pianoforte presso il Conservatorio Statale di Musica di Pescara e laureato in Pedagogia presso l’Università degli Studi di Firenze. È docente di Psicologia per il Design all’Università degli Studi di Genova, Scuola Politecnica, Dipartimento di Scienze per l’Architettura ed è attualmente Visiting Professor di Anthropology of Mind presso l’Universidad Externado de Colombia, a Bogotà e presidente dell’International Philomates Association. È membro della Honorable Academia Mundial de Educación di Buenos Aires e membro del Comitato Scientifico di Idea Fondazione (IF) di Torino, che si occupa di Neuroscienze, arte e cognizione per lo sviluppo della persona. Ha fondato l’Antropologia della mente (www.bertirotti.info).