Non ho mai visto un golpe compiuto da masse anarchiche e disarmate, con le infradito ai piedi e il telefonino in mano, per farsi i selfie nelle stanze del potere.
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Alla fine, pure la democrazia regge sulla forza
Non ho mai visto un golpe compiuto da masse anarchiche e disarmate, con le infradito ai piedi e il telefonino in mano, per farsi i selfie nelle stanze del potere. Suvvia, non siate ridicoli come quelli che hanno assaltato e invaso i Palazzi del Potere e della Democrazia a Brasilia. Non era un golpe quello spettacolo indecente dei giorni scorsi ma una pessima, sgangherata esibizione senza sbocchi, che va condannata per più motivi. Perché non si cambia a suon di invasioni di campo, come tifosi esagitati, l’esito di una voto: i verdetti vanno rispettati anche se possono essere comprensibili i sospetti di brogli elettorali; ma se non sono comprovati, i sospetti te li tieni per te, non scendi in piazza e non invadi i palazzi delle istituzioni. Il verdetto del voto va rispettato anche se chi è stato eletto era considerato dalla giustizia brasiliana fino a poco tempo fa un delinquente, un corrotto, con più sentenze di condanna, in carcere per quasi due anni. Solo lo scorso anno è stata riconosciuta la parzialità dei giudici e la violazione dei diritti politici nei procedimenti a suo carico. Ma i sospetti che sia stato condannato per motivi politici fanno il paio con i sospetti che sia stato assolto per motivi politici. Ipotesi ambedue possibili; conosciamo le dinamiche del potere e della magistratura. Però, certo, bisogna attenersi all’ultima sentenza in ordine di tempo.
Ma l’assalto ha avuto altri due effetti: da un verso indebolisce e delegittima lo stesso Bolsonaro e l’opposizione al governo e dall’altro rafforza proprio chi vogliono contestare e rimandare a casa, ossia Lula e il suo governo; dandogli al contrario più legittimità e sostegno della comunità internazionale. Ma non solo: Lula ha ora la possibilità di fare un radicale repulisti, colpendo non solo chi è coinvolto nell’insurrezione ma tutti quei settori, a partire da quelli militari e politici, che gli sono contrari. Bel risultato.
E’ uno stupido autogol che ripete esattamente quel che accadde due anni fa a Washington, nell’assalto al Congresso americano. Anche in quell’occasione l’assalto inguaiò Trump e la sua parte politica e rafforzò il vacillante Biden con la sua Amministrazione. Esattamente il contrario di ciò che era nelle intenzioni degli assaltatori, anche in quel caso spesso in tuta e muniti di telefonino per farsi i selfie nelle stanze del potere. Perché dietro una minoranza esagitata, c’erano a Washington come a Brasilia, masse di curiosi, turisti dell’insurrezione, e tanti idioti ficcanaso, imbucati per vedere la scena dall’interno. E non voglio insinuare ulteriori sospetti sul lasciarli fare, pressoché indisturbati…
Condannati i due assalti, resta però una domanda, la stessa domanda: perché in una democrazia secolare e radicata come quella che vige negli Stati Uniti, e in una democrazia più giovane e turbolenta, come quella brasiliana, ci sono queste sollevazioni popolari e questi assalti ai luoghi della rappresentanza e del potere? Qual è il malessere che serpeggia in tutto l’Occidente e che esplode in quei modi tra il carnevale e l’insurrezione? E’ facile sbrigarsela scaricando tutto sul Male del golpismo, del fascismo (come dice Lula), della “destra” e del populismo eversivo. O peggio sull’immaturità dei popoli, e dunque sulla necessità che ci siano oligarchie a guidarli ed eserciti a presidiare l’ordine pubblico.
Il problema è che la democrazia non funziona bene, si presenta come inclusiva ma esclude i due terzi della popolazione, tra coloro che non vanno più a votare e coloro che votano contro l’establishment, per le forze di opposizione. Siamo arrivati ad accettare la folle idea che le democrazie mature prevedano che mezzo elettorato non vada a votare; e ci ostiniamo a considerare che chi non è allineato alle forze progressiste e non vota come prescritto, debba essere ridotto al rango di folla delinquente, di gentaglia e di marmaglia, senza diritto di cittadinanza e di espressione. Confondendo, peraltro, la parte col tutto, la piccola frazione dei facinorosi con la vasta opinione pubblica che in Lula o in Biden non si riconosce, ma non ricorre all’insurrezione.
Alla fine, al di là delle narrazioni, non vince la democrazia ma vince la forza, cioè l’intervento armato della polizia. Grazie a Dio, non è più tempo di colpi di stato delle forze armate, forse neanche in sud America. Però alla fine è la forza che decide e garantisce le democrazie.
Il problema che resta, condannati e dispersi i manifestanti, arrestati i facinorosi, è ancora politico: come mai le democrazie non riescono a trovare soluzioni politiche dentro il loro perimetro, nella legalità? Come mai la sfiducia è così alta che sono in molti a dubitare dei verdetti elettorali? Perché la democrazia non sa essere inclusiva? Non riesce ancora a fare i conti col disagio, il malcontento, la protesta populista. Le repressioni sono necessarie, ma non risolvono il problema e soprattutto non rimuovono le cause che l’hanno scatenato. Non vanno a monte, colpiscono a valle. La democrazia non ce la fa; la sua unica, vera forza è che senza democrazia è peggio, c’è il caos e la guerra civile. E il dispotismo implicito si fa esplicito, e brutale. Perché se un popolo è diviso in quel modo irreparabile, alla fine a dirimere le controversie resta la forza. E fallisce la democrazia, anche quando sembra che abbia vinto e sia stata ripristinata. Di Bolsonaro si può avere qualunque giudizio, anche pessimo, ma quel che ha detto sulla rivolta è condivisibile nella sua ovvietà: è legittimo protestare in modo civile e incruento, non è legittimo farlo in quel modo. Dovrebbe essere il punto di partenza per coinvolgere l’opposizione, riconoscerne la legittimità, isolare i facinorosi, corresponsabilizzarla per riportare il dissenso dentro la democrazia e la legge. Invece, si preferisce identificarla con gli insorti, in modo da colpirla e criminalizzarla, anche se poi mezzo Brasile è contro Lula. Così non si va da nessuna parte. E intanto il problema della democrazia malata, svuotata e sfiduciata resta.
La Verità – 11 gennaio 2023