𝐀 𝐬𝐮𝐝 𝐢𝐥 𝐩𝐢𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐨𝐜𝐜𝐨𝐝𝐫𝐢𝐥𝐥𝐨
Una sera d’estate ero con quattro amici del mio paese e tutti raccontavano dei loro figli partiti per il nord o per il mondo.
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A sud il pianto del coccodrillo
Una sera d’estate ero con quattro amici del mio paese e tutti raccontavano dei loro figli partiti per il nord o per il mondo. Partiti per sempre, molti di loro già inseriti nel mondo del lavoro. Quei quattro genitori erano “orfani” a rovescio, vittime virtuali della globalizzazione. Avete pensato, chiesi loro, a cosa rimarrà del nostro paese senza ragazzi; poi mi addentrai nelle loro case. E dissi: ci avete pensato che nel giro di questa generazione si estinguerà la vostra famiglia nel luogo dove da secoli è piantata? Non solo la loro, ammisi, anche la mia. Dobbiamo accettare tutto questo con fatalismo, il fatalismo dell’abbandono, dopo aver stigmatizzato per una vita il fatalismo di avi e genitori?
Due milioni di ragazzi sono spariti dal sud, mezzo milione circa dalla Puglia. Chi li ha rapiti? L’Anonima Espatri, ossia il Progresso, ovvero la Modernità, cioè la Globalizzazione. È come se fosse sparita mezza Puglia. Ma di che vi allarmate e vi lamentate col pianto del coccodrillo? Per anni i media, i salotti, le classi dirigenti e gli osservatori hanno elogiato i ragazzi che vanno via di casa, sulle ali di Erasmus e Ryanair; s’involano per i cieli globali e si liberano da quel catorcio che è il loro paese, la loro provincia, la loro famiglia. Ricordo gli elogi liberisti e radicali, modernetti e progressivi, anzi global, a chi se ne andava.
Ma la loro fuga non andava vista soltanto dal punto di vista singolo di chi parte o con gli occhi asettici del modello globale ma andava commisurata alla realtà, ai paesi, al mondo abbandonato: da una parte le famiglie, già decimate dalla denatalità, private di figli, di energie dinamiche, depresse di prospettive, abbandonate a una desolata anzianità dal divorzio verticale fra genitori e figli. E dall’altra i paesi del sud, abbandonati, accartocciati su se stessi, avvizziti; la provincia svuotata, il mezzogiorno disertato dai più giovani e intraprendenti. Avete istigato euforici a fuggire dal sud – iatavenne!, sciatavinn! – lo avete considerato un segno di emancipazione e di sviluppo, non rendendovi conto che così veniva decretata la morte a Mezzogiorno, la fine del sud e anche di una cospicua parte della provincia italiana, compresa quella settentrionale. Ai restanti avete mandato come si faceva da noi alle famiglie in lutto, quello che si chiama “il conforto”; cioè la bevanda della nostalgia, che serve solo a dimenticare l’Italia unita, accettando il destino euro-globale: così ai giovani è consigliata la partenza, ai restanti è offerto il rosolio dei borboni.
Il sud è ridotto a una rampa di lancio per spiccare il volo e andarsene appena possibile. È come Libia 2, un porto di partenza per migranti equipaggiati di curriculum da far fruttare altrove. Perché qui da noi i titoli, i meriti, le capacità non valgono. Solo ora vi accorgete che istigando alla fuga, avete spento il sud?
La cosa tragica intorno a questa danza macabra di morti bianche, è l’ingombrante, invadente assenza della politica. Periodicamente il sud viene investito da promesse e convegni, come il recente Verso Sud a Sorrento, che ha puntato sul rilancio del sud attaccandosi alla canna del gas, cioè trasformando il Meridione in hub energetico, corridoio per importare il gas algerino, libico e africano. Ma se il sud si spopola, oltre il gas dovremo importare dall’Africa pure i ragazzi per ripopolarlo.
Senza un progetto straordinario con poteri straordinari, senza missionari ardimentosi che credono nell’impresa impossibile, non si potrà mai invertire la tendenza, ripopolare il sud (non di migranti) e risvegliare la vita e il lavoro in loco. Finita l’era degli insediamenti industriali, boccheggianti le opere pubbliche, negate le premesse sociali e culturali per un rilancio della natalità, a sud resta solo una strada: diventare meta attrattiva per le popolazioni del nord Europa e Italia, anche oriunde meridionali. Trasferirsi a sud, tornare a sud, in età matura o in pensione o in home working. Se, poniamo, venissero a vivere a sud due milioni di nuovi/vecchi cittadini al posto dei ragazzi partiti, si potrebbero generare altrettanti posti di lavoro nei settori annessi per i giovani che vogliono restare: commercio e artigianato, opere e infrastrutture, assistenza agli anziani e agricoltura, turismo e cultura, perfino ricreazione. Potrebbe rifiorire la vita, i vecchi richiamerebbero i giovani.
Per invogliare numeri così alti occorrono piani d’incentivazione fiscale, garanzie di sicurezza, standard di efficienza, programmi di rilancio edilizio agevolato nei centri storici. Il sole, il clima, non bastano, l’ospitalità antica delle genti meridionali nemmeno e neanche il costo della vita più basso.
Dio sa quanto sia difficile questa strada, ma ce ne sono forse altre, per rianimare e ripopolare il sud, se non la trasfusione di popolo e piani per favorire la procreazione? Se venite in vacanza al sud non fatevi solo le foto col mare, le bellezze e le masserie, fotografate pure gli ulivi morti, i paesi vuoti o le terre un tempo agricole e ora desertificate. Sono l’immagine del sud spento. Perché le terre come le persone se non sono amate, poi s’ammalano, fino a morire.
La gazzetta del mezzogiorno, 17 maggio 2022