A cosa serve oggi la filosofia?

A CHE SERVE OGGI LA FILOSOFIA?
Oggi è la giornata mondiale della filosofia. A proposito a cosa serve, cosa resta oggi della filosofia? Non serve più all’umanità che l’ha sostituita con la scienza e con la tecnica, non serve alla politica e alla società che l’hanno rimpiazzata con gli influencer e con pratiche più efficaci d’immagine, consumo e consenso, e non servono più i grandi sistemi e i grandi racconti perché, paradossalmente, il mondo globale rigetta le visioni del mondo e ogni ordine. Il caos/caso è il solo Signore. Il filosofo è un figurante di contorno che per conquistare un piccolo, labile consenso deve dire che la filosofia è morta, non serve più. Per avere ascolto il filosofo deve attestare la sua inutilità, autocertificare il suo decesso.
E se il compito della filosofia fosse ancora cercare un senso e un destino e scommettere tutto su quella ricerca, inoltrandosi nella metafisica? Cercare, dico, non trovare; è una ricerca, si rischia di tornare a mani vuote. Ma quello è il rischio del filosofo, la sua nobiltà e il suo contributo. Altrimenti è superfluo e superato da altre app… Alla filosofia nuoce più il nichilismo che la teocrazia, più la cancellazione del pensiero come arma impropria che la sua subordinazione a un’autorità. Perché la repressione violenta e comprime ma non sradica il pensiero e non svuota la mente; a un’autorità puoi sempre ribellarti, soprattutto nell’interiorità della tua coscienza e del tuo pensiero; invece al pensiero spento e alla sua espulsione automatica dalla vita no, non puoi ribellarti, anche perché non sai come e contro chi. La filosofia smuore e non te ne accorgi. L’idiozia uccide la filosofia più della tirannide.
Si può poi fare filosofia espellendo temi come il sacro, il mito, la tradizione, la civiltà, il destino, Dio, il regno spirituale, costantemente fuori dall’orizzonte della filosofia corrente e morente? Alla pregiudiziale ideologica si unisce poi la pregiudiziale accademica. Filosofi con cattedra e scientifici, mi raccomando. Vogliamo dirlo la grande filosofia, per tre quarti, è nata fuori dalle accademie? Vogliamo dirlo che i movimenti filosofici più significativi in Italia e non solo, sono nati fuori dall’Università e dagli istituti universitari, nelle riviste di Papini e Prezzolini, di Croce, di Gramsci e di Bottai, tra i seguaci di antiaccademici come Marx e Nietzsche, nelle piazze, nei seminari e nei giardini? Pure i filosofi professori sono diventati grandi quando hanno voltato le spalle all’università… Ma cos’è questo recinto in cui coartare la filosofia, questa specie di concorso a punti, come la patente, per riconoscere il diritto di attenzione solo ai filosofi muniti di diploma? I titoli accademici in filosofia valgono quanto i titoli nobiliari in repubblica. In filosofia non è di rigore la cravatta e l’abito scuro.
Poi non vi meravigliate se la filosofia è povera, acida e malandata; se non nascono grandi opere e correnti nuove, se tutto sembra già detto, già scritto, e i filosofi di professione appaiono solo spenti impiegati di concetto di un’azienda decotta, ormai rilevata da un’altra che si occupa di scienza applicata e tecnologia. In giro non si vedono pensieri nuovi, solo necrologi alla filosofia o pensieri laterali, glosse e procedure. Se Dio è morto, come dite voi, quant’altro resta alla filosofia? Non vi sfiora il dubbio che ci possa essere un nesso tra le due cose, e tra la perdita della memoria storica e la fine del pensiero? Su, coraggio, aprite le finestre, lasciate circolare aria nuova, o antica; idee e pensieri insoliti.

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