9 ottobre 1967: le ultime ore di “Che” Guevara
Braccato in Bolivia, isolato da Cuba, il mito della Revoluciòn si arrende senza opporre resistenza. Sarà giustiziato e sepolto in una fossa comune
Panorama News Esteri 9 ottobre 1967: le ultime ore di “Che” Guevara
Edoardo Frittoli
Il guerrigliero emaciato che 50 anni fa si arrese al giovane capitano Gary Prado Salmòn spuntando dalla fitta boscaglia, era l’eroe della rivoluzione cubana Ernesto “Che” Guevara.
Era sporco, ferito, stracciato. Non indossava scarpe, solo una suola di pelle animale con le calze spaiate. Di fronte al plotone dell’esercito boliviano non oppose resistenza. Si limitò a dire al capitano Prado di essere il “Che”, e che per lui “era finita”. Quello che sembrava il fantasma del mito rivoluzionario nato dall’impresa del 1959 a Cuba, la barba incolta e i capelli lunghi e sporchi, chiese ed ottenne dell’acqua.
La sua ultima battaglia si era conclusa in un breve conflitto a fuoco, dove cinque dei suoi erano caduti sotto i colpi dei Ranger boliviani che da giorni erano sulle sue tracce.
La Higuera, Bolivia centrale. 8 ottobre 1967
Ernesto Guevara era arrivato in Bolivia all’inizio di novembre del 1966. L’ultima apparizione pubblica risaliva all’anno precedente, quando annunciò il suo ritiro dalla vita politica di Cuba e tenne il famoso discorso sui “molti Vietnam” ad Algeri durante una visita ufficiale.
Era entrato clandestinamente in Bolivia proprio per accendere uno di quei tanti “focolai” di guerriglia che avrebbero dovuto causare il grande incendio del socialismo in tutto il territorio dell’America latina e nei paesi del terzo mondo. Quando iniziò ad organizzare la guerra di guerriglia in Bolivia, il mondo era cambiato rapidamente dagli anni della rivoluzione cubana. Era iniziato il processo di distensione tra le grandi potenze della Guerra Fredda, e Cuba si era sempre più legata alla politica di Mosca, rispetto alla quale il Che si era sempre mostrato diffidente già dai tempi della crisi dei missili del 1962. In buona sostanza la sua figura era diventata scomoda per tutti, compresi gli alleati storici. Per Castro, il suo mito rappresentava una minaccia al consolidamento della propria figura di leader della rivoluzione cubana. Per i sovietici, Guevara era considerato un “non allineato” e per gli Stati Uniti un sobillatore di rivoluzionari in un’America latina caratterizzata da regimi retti dall’appoggio di Washington e della CIA.
Il fallimento del “focolaio” rivoluzionario in Bolivia
Quando Guevara iniziò la guerriglia, fu subito chiaro che Cuba non lo avrebbe sostenuto. La situazione pareva simile a quella trovata l’anno precedente quando il Che combattè per la rivoluzione in Congo Belga. A differenza di Cuba, i campesinos boliviani non lo seguirono nell’azione in quanto diffidenti nei confronti di uno “straniero”. Inoltre la Bolivia aveva da poco varato una riforma agraria che aveva generato una distribuzione migliore delle risorse nelle zone rurali nelle quali il rivoluzionario argentino voleva reclutare il suo esercito. Anche il Partito Comunista Boliviano gli voltò le spalle, essendo apertamente schierato con Mosca. Guevara si era unito nella lotta alla sua agente a La Paz, Haydee Tamara Bunke Bilder, un membro della Stasi (il servizio segreto della DDR) di origini argentine. Riuscirono a reclutare soltanto 50 uomini, quello che fu battezzato Esercito di Liberazione Nazionale (ELN).
Nonostante le esigue forze, all’inizio del 1967 gli uomini del Che riuscirono ad avere la meglio sui regolari boliviani in azioni di guerriglia che erano il punto di forza della strategia guevarista.
La spinta si esaurì a metà del 1967 quando il mancato supporto di Cuba (con la quale si erano interrotti anche i contatti radio) e l’invio di una Divisione Speciale della CIA a supporto dell’esercito boliviano segnarono l’inizio della fine dell’ultima battaglia del Che. Ad agosto in uno scontro violento metà del contingente rivoluzionario fu spazzato via.
Braccato sulle alture della Bolivia centrale, Guevara non troverà l’appoggio della popolazione locale che anzi fu determinante per la sua localizzazione ed il conseguente accerchiamento di quel che rimaneva del Che, prostrato dall’asma cronico, e dei suoi uomini consumati dalle febbri malariche e dalle punture di insetti velenosi. La guerra dei rivoluzionari dell’ELN si concluse senza cibo, medicine e munizioni. Guevara, isolato da tutti, era cosciente dell’approssimarsi della fine.
L’ultima notte e la fine (9 ottobre 1967)
Perquisito e disarmato, Guevara fu accompagnato da Prado e i suoi uomini in un edificio scolastico di La Higuera. Ferito ad un polpaccio durante gli scontri, fu sistemato in una stanza accanto al suo compagno di lotta Simeon Cuba Strabìa detto “Willy”, anch’egli ferito. Qui furono nutriti e custoditi la sera dell’8 ottobre.
Guevara, sofferente, passerà la notte parlando con Prado. Era prostrato, conscio del tradimento degli alleati diventati ormai satelliti di Mosca.
Sperava di rimanere in vita, appeso alla prospettiva di un processo dinanzi alla corte marziale che avrebbe attirato l’attenzione di tutto il mondo. All’alba si presentò invece il Colonnello Zentero, comandante la 8a Divisione boliviana. Prado gli consegnò i prigionieri. Con lui era presente Felix Rodriguez, un agente della CIA.
Secondo le dichiarazioni rilasciate da Prado in una recente intervista sul Financial Times, Zentero ricevette ordine di giustiziare il Che direttamente da La Paz, proprio per evitare un processo che avrebbe avuto una risonanza mediatica senza precedenti, data la fama mondiale di Guevara.
Fu così che la vita di Ernesto Guevara fu spezzata in pochi minuti, dopo un rapido sorteggio tra i soldati su chi avrebbe dovuto premere il grilletto. Toccò a Mario Teràn entrare nella stanza e scaricare la mitraglietta M12 sul corpo emaciato del Che. Senza riti né discorsi, né processi.
All’1,30 del pomeriggio del 9 ottobre un elicottero della Fuerza Aerea boliviana agganciava il corpo di Guevara per trasportarlo nella vicina cittadina di Vallegrande dove sarà composto, ripulito ed esposto agli obiettivi dei fotografi che realizzarono gli scatti che in pochi giorni faranno il giro del mondo.
L’ultima ingiuria sul corpo del Che sarà dovuta a necessità forensi: per poter identificare con certezza l’identità del prigioniero giustiziato, era necessario il riscontro da parte delle autorità argentine sulle impronte digitali.
Data la totale impossibilità di conservare il corpo il tempo necessario all’arrivo degli addetti di Buenos Aires, furono amputate entrambe le mani e conservate sotto formaldeide. Il responso dell’identificazione sarà positivo.
I resti del più famoso rivoluzionario del mondo saranno poi interrati in una fossa comune in una località ignota. Saranno ritrovati a 30 anni dalla mortein una fossa comune sotto l’aeroporto militare di Vallegrande e traslati nel mausoleo di Santa Clara a Cuba.
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