Silvia Mezzanotte: “A 50 anni finalmente posso raccontarmi senza filtri”
Si intitola “Lasciarmi andare” il singolo che apre un nuova fase solista nella carriera di Silvia Mezzanotte. Il brano è l’apripista dell’album “5.0” in uscita per la fine dell’anno. “Arrivata a 50 anni mi sono liberata di molte cose che mi bloccavano e davano un’immagine falsata di me – dice a Tgcom24 -. Ora posso mostrarmi senza filtri. Questa è una canzone senza Photoshop”.
Dopo essere stata a lungo la voce dei Matia Bazar, Silvia Mezzanotte ha chiuso quell’esperienza dopo la drammatica scomparsa di Giancarlo Golzi. “Era il collante, il mediatore, il capitano che rintuzzava tutte le intemperanze delle nostre personalità” racconta lei. “Ci abbiamo provato ad andare avanti ma i nostri orizzonti erano troppo distanti”. E così Silvia è uscita dal gruppo (non senza qualche polemica) e si è buttata nell’esperienza di “Tale e quale show”, dove ha potuto dare al pubblico un’immagine diversa di sé.
“Avevo un’immagine anche altera, un po’ lo prevedeva l’immagine del gruppo. A “Tale e quale show” invece si è vista una Silvia che si prende per il culo. E poi per una come me che ha sempre avuto difficoltà di fronte al cambiamento, l’essere costretta a trasformarmi ogni settimana in qualcun altro, quel cambiamento forzato è stato una specie di passaggio karmiko”.
E adesso come ti vedi?
Come la donna che canto in “Lasciarmi andare”. Quel brano è la mia fotografia più efficace. Sono in una fase in cui voglio che le canzoni siano come un abito cucito su misura. Mi sento una donna con una maturità consapevole, figlia del percorso fatto fin qui, e che si vuole raccontare senza filtri. Questo è un brano senza Photoshop. Sono orgogliosa. A 50 anni mi sento un’icona di questa generazione. Non a caso quel 50 nel titolo dell’album è diventato un 5.0.
Guardi a un pubblico meno tradizionale di quello che seguiva gli attuali Matia Bazar?
Il mio è sempre stato un discorso artistico filtrato dal mondo giovanile, con il quale sono sempre rimasta in contatto grazie ai miei workshop. Uscita da “Tale e quale show” le persone con cui ho collaborato mi hanno aiutato a utilizzare il canto in maniera più radio friendly.
Questo per te deve essere un punto di svolta importante se arrivi a modificare il tuo modo di cantare, che è sempre stato il tuo punto di forza…
Ho sempre cercato di stare al passo con i tempi, almeno nel mio lavoro solista perché con i Matia Bazar era più difficile. Quando sei la voce di un gruppo con 40 anni di storia c’è poco da sperimentare, “Vacanze romane” va cantata in quel modo lì e solo quello. In questo caso durante il mix sono usati degli autotune non per intonare la voce, cosa di cui non avevo bisogno, ma anzi per renderla più sporca.
Un modo di rispondere a qualche accusa di troppo tecnicismo che ti è stata fatta in passato?
E’ vero che ho sempre guardato molto alla tecnica. Il punto è che spesso mi dicevano che non passava il cuore. Ora basta, preferisco una nota non perfetta ma ricca di pathos. La perfezione va bandita, anche dalla mia vita.
A livello stilistico i Matia Bazar sono stati una gabbia?
No, sarebbe ingeneroso e ingrato da parte mia dire una cosa del genere, ma la mia volontà di ricerca avrebbe voluto esprimersi anche fuori. Nella prima fase della nostra collaborazione non è stato possibile, nella seconda già di più. E’ ovvio che nel complesso non potevo derogare a certe regole. Ma faceva parte del gioco.
Hai parlato del periodo successivo alla morte di Giancarlo Golzi come un momento terribile per te…
Con Giancarlo c’era un rapporto fraterno, continuo a viverlo sulla mia pelle. La sua scomparsa è stato uno tsunami, sono stata molto male, volevo mettere insieme un po’ di cocci. Piero Cassano non ha preso bene questa mia decisione di lasciare il gruppo e ha reagito in malo modo ma credo che alla fine abbia capito anche lui, tanto che ha lasciato. Auguro il meglio a Fabio Perversi, io non ce l’ho fatta, lui ha il coraggio di andare avanti.
E oggi come ti senti?
Oggi le ferite si sono trasformate in cicatrici, ben visibili accanto alle mie rughe. Ma fanno parte di me.