La cattiva lezione dei docenti: più soldi per i corsi di recupero
Il sindacato rivendica il diritto al gettone nonostante l’emergenza. Il ministero: «Si faranno, anche a distanza»
Francesca Angeli – Dom, 30/08/2020
I nodi irrisolti della scuola deflagrano con l’emergenza Covid. Cattedre scoperte, corsi di recupero fantasma, edifici angusti e fatiscenti: questioni che si trascinano da decenni alle quali ora si sovrappongono le incognite legate alla diffusione del coronavirus come quella della tutela dei lavoratori fragili.
La ripresa delle lezioni si è rivelato lo scoglio più difficile da superare in tutti i Paesi Ue ma non c’è dubbio che in Italia il governo sia partito in ritardo e con il piede sbagliato. Il ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina, si è da subito messa in contrapposizione con insegnanti e dirigenti scolastici imponendo direttive centraliste irrealizzabili cancellando di fatto il principio dell’autonomia scolastica. Ciascun istituto ha una quota di libertà di azione, per esempio nella gestione del calendario, nella necessità di rispondere alle diverse esigenze a seconda del contesto. Giusto ci siano poche, chiare e rigide regole a tutela della salute pubblica. Sul resto occorre flessibilità.
L’ultimo scontro riguarda l’organizzazione dei corsi di recupero: i sindacati hanno puntato i piedi e chiedono una retribuzione aggiuntiva per farli partire dal primo settembre: niet la risposta della Azzolina. «Il recupero degli apprendimenti ci sarà», taglia corto il ministro che concede possa essere sia in presenza sia a distanza «in base all’autonoma scelta delle singole scuole» così «come previsto dalle norme che regolano il nuovo anno scolastico, frutto della gestione del periodo di emergenza sanitaria». Non a caso il ministro si appella alle norme del periodo di emergenza perché in effetti i corsi di recupero sono considerati un’attività aggiuntiva da retribuire a parte. Anche in tempi di Covid secondo i sindacati che sono categorici. «L’attività di recupero non può essere prevista senza un riconoscimento economico aggiuntivo per il semplice motivo che nel Ccnl vigente non vi è alcun riferimento a tale obbligo», ribatte la segretaria generale Snals Elvira Serafini. Posizione condivisa da tutti i sindacati.
Ma i problema principe resta quello della carenza di docenti. Le cattedre scoperte, non sono certo una novità. Nello scorso anno scolastico le supplenze sono salite a oltre 187mila. Due giorni fa il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha trionfalisticamente annunciato l’immissione in ruolo di oltre 80mila docenti. Chiunque si occupi di scuola da sa benissimo che molte di quelle cattedre resteranno vuote perché le graduatorie sono esaurite. E non sarà certo la chiamata veloce, partita ieri con un giorno di ritardo, a risolvere la questione. Le domande da parte degli aventi diritto potranno essere effettuate fino alle ore 23.59 del 2 settembre. Saranno gli uffici scolastici a gestire le operazioni. I posti disponibili avrebbero dovuto essere resi noti già tre giorni fa ma i sindacati lamentano ritardi ed inefficienze. Quest’anno saranno almeno 250mila le cattedre da coprire con i precari. Ma potrebbero raddoppiare perché è irrisolta la questione dei lavoratori fragili.
È il presidente dell’Associazione Nazionale Presidi del Lazio, Mario Rusconi a riconoscere che è concreto «il timore è che qualcuno possa approfittarne». In questo caso mancano direttive precise proprio laddove sarebbero necessarie per una categoria che ha un’età media altissima: il 60% ha più di 50 anni. La fragilità, spiega Rusconi, «deve essere ben codificata perché rischiamo che i professionisti davvero fragili non ne facciano richiesta per un senso del dovere, mentre altri che non ne hanno davvero bisogno vengano esonerati». Correrà ai ripari il Comitato Tecnico scientifico: per evitare di trovarsi con 3/400mila docenti esonerati per motivi di salute si restringerà il concetto di lavoratore fragile solo a chi soffre di gravi patologie croniche.