Oggi è la festa del latitante, detta del papà

19 MARZO, LA FESTA DEL LATITANTE

Oggi è la festa del latitante, un tempo detta festa del papà. Ma i padri non ci sono, e quando ci sono hanno la testa dall’altra parte, e quando hanno la testa a posto, sono le mogli, i figli, il contesto sociale a ritenerli inesistenti, irrilevanti e dunque latitanti. E se non sono latitanti loro, sono contumaci i loro figli.

Quando penso alla festa dedicata al padre, che voi chiamate papà e che io chiamo babbo, penso ancora a mio padre e non a me, che pure sono padre da svariati anni. Mi sento, come tanti, ancora figlio? No, sento ancora vivo il mio legame di spirito e di sangue con mio padre e con mia madre, benché siano morti ormai da diversi anni. E forse in quel sentirmi figlio più che padre, confesso una ferita o forse una lacuna nella mia paternità. Ho detto più volte che credo di essere stato un buon figlio ma non credo di essere stato un buon padre. Non che abbia mai smesso di ritenere i miei figli le persone più care al mondo, non che abbia mai mancato di aiutarli e sostenerli quando ne avevano bisogno, almeno sul piano materiale. Ma non mi sono curato abbastanza di loro, non li ho seguiti come avrei dovuto, non ho fatto il padre nel sostegno pratico quotidiano; piuttosto introverso nei sentimenti, non sono incline alle effusioni. Temo di aver trasmesso, almeno in parte, la mia stessa introversione. Magari avrei dovuto non temere di essere invadente, e avrei dovuto tentare di guidarli, anziché lasciarli liberi di credere e pensare il contrario di quel che penso e credo io (e questo mi fa soffrire). Ma sono fatto così, potrei dire, mi occupo più di temi universali e “spirituali” che di affanni quotidiani e premure specifiche, poco incline alla vita pratica, anche personale; così era mio padre, che però ho venerato sempre, in vita e in morte, da bambino e da figlio maturo e di cui mai ho dubitato del suo amore. Anche le sue inattitudini, in me generavano affetto.

Però quella ferita di padre mi tormenta, soprattutto quando c’è qualcuno che la riapre, e scava dentro e perfino la rende più grave e irreparabile di quel che è. Riaffiorano storie dal passato, rotture, errori e torti, fatti e subiti. E ti rendi conto di quanto incidano su di loro anche le eredità genetiche, di ambo genitori e delle rispettive famiglie.
Ma il mio pensiero del futuro passa soprattutto da loro, le mie preoccupazioni riguardano loro; eppure questo pensare, questo preoccuparsi, è ritenuto solo mentale o solo venale, nel senso che non si esplicita sul piano effettivo o affettivo e sembra risolversi sul piano economico; non basta, ne convengo, ma non è poi da disprezzare, si può rimandare tutto al postmortem o invece preoccuparsi ora della loro vita e della loro condizione, che ne hanno più bisogno.

Ma torno a parlare della festa del 19 marzo perché mi piacerebbe che fosse per tutti, genitori e figli, la festa in cui si ripensa al ruolo del padre e si traccia un bilancio onesto, veritiero di che razza di padri siamo, siamo stati o siamo considerati dai nostri figli. E che padri, che madri saranno loro, se mai lo saranno.
Qualunque cosa si pensi, si dica, si faccia in proposito, qualunque difficoltà insorga o sia davanti a noi, in mezzo a voi, esorto caldamente a partire da un punto fermo: non c’è nulla che possa spezzare il legame affettivo tra un padre e i suoi figli. Tutto può essere superato, e se qualcosa può essere insuperabile nulla può cancellare o compromettere quel legame affettivo. Anche se le ferite non si rimarginano, si può continuare a vivere e ad amare nonostante quelle ferite.

È la “festa del papà”, ma molti di noi non hanno più padri né figli con cui festeggiare. Solo ricordi, lontananze, sperduti nella solitudine. Facile la tenerezza con i figli bambini, e con i padri vegliardi. Più difficile con i figli adulti che si allontanano da noi, in tutti i sensi, mentre pensano che ad allontanarci siamo noi. Ma forse sono vere ambo le cose .Da cui la festa del latitante (padre) che coincide con la festa del contumace (figlio). Sperando di ritrovarsi un giorno, e che non sia quello definitivo.