Le “prime volte” di Renzi a Napoli, l’identità e il racconto su chi eravamo
di Gigi Di Fiore
Se siamo il Paese della grande storia conosciuta in tutto il mondo, ce ne rendiamo conto assai poco e ci dividiamo tra interpretazioni e ignoranza sul nostro passato. Ancora una volta, il premier Matteo Renzi torna a Napoli e offre l’occasione per riflettere su cosa sia l’identità italiana e come si racconta il nostro chi eravamo. Renzi ammette che, dopo gli scavi di Pompei e dopo la Reggia di Caserta, ha aggiunto altre due “prime volte” tra i bei luoghi visitati in Campania: la Reggia di Capodimonte e Pietrarsa. E fa complimenti a raffica a tutti e quattro quei luoghi. Ci mancherebbe.
Poco male, in fondo il primo presidente del Consiglio dell’Italia unita, Camillo Benso conte di Cavour, è morto senza mai essere sceso oltre Firenze. Il Paese che governò per tre mesi nel 1861 Cavour lo conosceva solo attraverso racconti e lettere. Ma l’aspetto più fertile del discorso di Renzi a Pietrarsa è stato forse il suo riferimento alla storia e alle bellezze artistiche italiane, che ha definito “pezzo dell’orgoglio della nostra identità”.
Non c’è narrazione condivisa sul nostro concetto d’identità e sulla nostra storia. C’è chi, specie a Napoli e al Sud, vorrebbe fregiarsi dei monumenti ereditati, senza ricordarne chi li volle, chi li realizzò. Si leggono assai di frequente in Rete polemiche sul perchè fu costruito un palazzo, una reggia, un teatro, una strada, adattando al passato concetti moderni sul bene pubblico. Mecenati di grandi artisti, promotori di grandi chiese e palazzi furono nei secoli andati sovrani, papi, aristocratici, che disponevano di denaro e hanno lasciato all’Italia beni invidiati da tutti diventati attrattori di turisti. Che quelle realizzazioni furono frutto di manie di grandezza, appagamenti narcisistici o altro interessa poco. L’importante è che ci siano.
Imbarazza qualcuno, forse, sapere che il teatro San Carlo, la basilica di San Francesco di Paola, la Reggia di Caserta e quella di Capodimonte, Pietrarsa, la Cappella di Sansevero, di cui ci inorgogliamo, furono realizzati nel periodo della dinastia Borbone? O che il grande Caravaggio creò i suoi capolavori a Napoli negli anni del vicereame spagnolo? Con le nostre tradizioni, i nostri usi, la conoscenza dei luoghi, sono anche questi gli esempi delle identità, ereditate nelle successioni storiche.
Carenti di un grande racconto sulle nostre bellezze, dice Renzi. E ricorda, a mo’ di esempio per il Sud, quando propose ad un capo di Stato straniero di organizzare un incontro nel Mezzogiorno per sentirsi rispondere: “Ma che posto è?”. Già, che posto è il bistrattato Sud, inseguito sempre e solo da una narrazione nera appiattita sui suoi guasti? La storia è successione di mosaici, chiudere gli occhi su incredibili opere e monumenti del passato solo per amore di sterile polemica su questa o quella dinastia, questo o quel periodo delle vicende italiane, resta esercizio inutile nel racconto su una chiesa, un palazzo, un dipinto, una scultura.
Rispetto per l’identità significa conoscere usi, luoghi e diversità delle varia realtà italiane. Renzi ha ricordato l’esempio di piazza Annunziata, citando Firenze e i fiorentini. Infiniti esempi si potrebbero fare anche per Napoli e per l’intero Mezzogiorno, come per ogni parte d’Italia. Sono le diverse radici nell’unica nazione politica italiana. Se l’orgoglio, inteso alla maniera renziana, è la narrazione del passato per esaltare quello che tutte le epoche storiche ci hanno lasciato di bello e positivo, appaiono stonati certi starnazzamenti che giudicano bello o brutto, utile o inutile, monumenti visitati da migliaia di turisti utilizzando solo il metro del quando furono realizzati. E’ vuota miopia e provincialismo. Ma anche, purtroppo, assai spesso ignoranza sulla storia del nostro Mezzogiorno e di Napoli.
Sabato 9 Aprile 2016, 16:14
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