Masteriberto
Nazzareno andò da Masteriberto il barbiere del paese il mattino seguente.
Non avrebbe voluto andarci ma le minacce della moglie erano riuscite a convincerlo:
– O ti vai a tagliare quei capelli bruciati o ti caccio di casa.
Era ormai abituato a quei toni di conversazione, ormai i suoi colloqui con la consorte erano esclusivamente di questo genere, lei minacciava, lui chinava il capo, bofonchiava e finiva per ignorare o obbedire, secondo i casi.
Quella volta si capiva che la donna faceva sul serio, poi non aveva neppure torto, una mattina lo stesso Nazzareno, specchiandosi, si era chiesto chi fosse quill iettat che lo osservava dallo specchio e si era spaventato lui stesso.
Allora aveva deciso:
-Vado da Masteriberto!
Aveva mormorato alla moglie sull’uscio di casa.
Masteriberto il barbiere aveva il salone sulla salita verso Portannunziata.
Una botteguccia di quattro metri per quattro con un retrobottega e uno stanzino per il bagno che tutti, pomposamente, chiamavano salone. Era stata elevata di rango, nonostante le dimensioni ridotte, perché era il cuore pulsante di tutto il paese, luogo d’ incontro per oziosi appassionati di pallone e per aficionado dei pettegolezzi che volevano essere messi al corrente sulle ultime notizie sugli abitanti del borgo.
Nella bottega di Masteriberto c’era sempre, tutti i giorni tranne il lunedì, la copia del quotidiano il Mattino, letta a sbafo da tutti, esca irresistibile per coloro che volevano “solo dare un’occhiata” e materiale di informazione gratuita per coloro, per lo più pensionati, nullafacenti e tuttologi, che, avendo tanto tempo a disposizione, leggevano gli articoli dalla prima pagina fino ai necrologi spesso ripassandola con il timore di dimenticare qualche particolare.
La copia fresca del Mattino la portava Nicola il giornalaio, personalmente e l’appoggiava sulla prima delle quattro sedie di paglia disposte lungo il muro della bottega laddove i clienti avrebbero aspettato il proprio turno. Nicola portava il quotidiano e una breve personale rassegna delle ultime novità che il barbiere ascoltava con interesse perché intento a sforbiciare la testa del compaesano di turno non poteva sfogliare le pagine odorose d’inchiostro e benzina.
Il giornalaio commentava le notizie principali, soprattutto quelle sportive, che vedevano per protagonista la squadra del Napoli.
Questo gli era valso l’appellativo di “rassegna stampa”, un titolo che coltivava facendo ogni mattina un piccolo sacrificio, prima di aprire l’edicola, intorno alle otto, orario in cui i giornali arrivavano in paese con la corriera da Benevento, era già stato ben due ore nel bar nella piazza. Raccoglieva le ultime notizie sugli abitanti del paese che gli avventori mattinieri andavano a scambiarsi nel bar all’ora del primo caffè.
La bottega di Masteriberto era la centrale operativa delle informazioni e delle vicende accadute in paese, narrate secondo un rigido protocollo, prima le notizie riguardanti la squadre del Napoli, con gli immancabili commenti e la guerriglia sulle formazioni da mettere in campo oppure sulle papere di questo e quel giocatore, a seguire le vicende paesane poi la politica nazionale con gli immancabili epiteti destinati al politicante di turno.
Un’altra delle principali occupazioni degli avventori del salone di Masteriberto era lo studio e la compilazione della schedina del Totocalcio, un rito che cominciava il mercoledì quando nel Bar di Pizzone, quello che affacciava sulla piazza, arrivavano le schedine nuove.
Mani sconosciute si premuravano di smistare una nutrita mazzetta di schedine da giocare direttamente nella bottega di Masteriberto e così cominciava il cerimoniale.
I più accaniti scommettitori sciorinavano infiniti pronostici detti e contraddetti nell’arco di un secondo, soprattutto se la propria opinione veniva sommersa da critiche ed epiteti irripetibili dagli altri avventori.
Ogni settimana si giocava un sistemone cui tutti potevano partecipare con una quota e ovviamente il numero delle doppie e delle triple veniva deciso dopo estenuanti trattative, uniche opzioni inconfutabili uno se il Napoli giocava in casa e il due se giocava fuori casa, nella tabella di marcia della squadra partenopea i tifosi del salone non tenevano proprio di conto la ics, il Napoli non era squadra da pareggio o sconfitta.
Nei giorni successivi le schedine non utilizzate avevano ancora la loro utilità, per Masteriberto, ripiegate in due, erano il migliore strumento per pulire la lama del rasoio dopo ogni pelo e contropelo.
E’ ovvio che Masteriberto era il maggior esperto in materia riguardo al Napoli, alla sua formazione e agli schemi di gioco e durante le operazioni di taglio capelli e barba aggiornava i clienti sugli ultimi sviluppi del campionato di calcio. Poi elencava, con parole di gioia o di contrizione a seconda della materia, le nascite e le morti del paese e si soffermava su chi aveva vinto la schedina del Totocalcio e quanto aveva vinto; partivano a raffica poi tutti gli inciuci sull’amministrazione del Comune e sulla sua giunta.
Su una parete della bottega di Masteriberto c’era un enorme bassorilievo colorato abbozzato con un cordino incollato al muro a memoria del gol contro il Torino, riproduceva la posizione di tiro di Beppe Savoldi nell’atto di calciare il pallone, una saetta forte e precisa di collo piede.
L’attimo del tiro era stato immortalato da un bravo artista paesano in una posa plastica di notevole impatto, quando le notizie del giorno erano scarse e i pettegolezzi languivano gli avventori e gli stanziali perditempo argomentavano intorno alla posizione di questo calciatore e al suo modo di calciare.
Alcuni critici e pseudo intenditori di arte contemporanea sostenevano che la posizione del calciatore, tracciata sul muro, non fosse naturale, questa critica vacua faceva incazzare Masteriberto che, visibilmente alterato, li apostrofava con un: “E sciut r frat e Giotto … ma che capisci tu?”… (continua)
Tratto da Scarpittopoli, storie di paese.
C. Perugini & M. Coletta
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