Oggi,7 ottobre 2016, è stato pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno il seguente articolo di BIANCA TRAGNI che noi del Comitato ringraziamo:
Museo Lombroso: gli errori/orrori della scienza
Ho visto il Museo Lombroso a Torino. Museo degli orrori? No. Museo degli errori della scienza che, quando è ebbra di se stessa, diventa criminosa essa stessa, creando sofferenza e disperazione nei malcapitati che prende ad oggetto dei suoi studi. Fra Ottocento e Novecento, erano assassini, ladri, stupratori, rapinatori, imbroglioni e simili che Cesare Lombroso (1835-1909) volle studiare per capire il perché del loro essere delinquenti. Lombroso era un medico e giurista che fondò l’antropologia criminale, una branca che, secondo lui, doveva risolvere scientificamente il problema del crimine. E lo fece col metodo allora più moderno e alla moda: il positivismo, quella filosofia che intendeva capire il mondo e gli uomini solo coi numeri, le misure, la materialità dell’essere umano. Misurando e confrontando migliaia di delinquenti, i loro volti, i loro scheletri, i loro crani soprattutto, Lombroso sostenne che esiste il “delinquente nato”, colui che per natura “deve” uccidere-rubare-violentare. Cioè ci sarebbero uomini segnati dal loro destino biologico di delinquenti nati, che Lombroso deduceva dalla fisiognomica, cioè dai caratteri somatici, come la fronte bassa, le arcate sopraccigliari prominenti, le orecchie asimmetriche a sventola, il mento prognato, gli zigomi sporgenti, i denti in doppia fila, i piedi prensili, i labbroni, il naso deforme. Insomma la bruttezza dei lineamenti. Va da sé che a questa tipologia corrispondevano soprattutto i poveracci del Sud, briganti e miserabili, che il Lombroso osservò in gran quantità come medico militare delle spedizioni contro il brigantaggio del Sud, quando incettava cadaveri e scheletri, perfino derubandone i cimiteri e gli ossari! Per cui il razzismo insito in questa pazzesca teoria si sbizzarrì contro il Mezzogiorno d’Italia. E aumentò i pregiudizi contro il Sud, fatto di briganti e delinquenti nati! Lombroso ne fece addirittura una teoria, il cosiddetto “atavismo” per cui il delinquente era un soggetto regredito ad una condizione primitiva da selvaggio cannibale: quasi una bestia. Non per niente in quei tempi Darwin sosteneva che l’uomo discende dalla scimmia. Per cui a Lombroso sembrava consequenziale dire che il delinquente è più simile all’orango che all’uomo. Così questi criminali , che fossero innocenti o no (nessun dubbio veniva a questi positivisti della Belle Epoque sui tanti errori giudiziari della storia del diritto penale) venivano trattati come bestie. E la loro sorte dipendeva da questa contraddizione lombrosiana: se erano delinquenti per natura, non erano liberi, quindi non si potevano punire. Ma siccome la loro criminosità era naturale, cioè inguaribile, nessuna speranza di riscatto, di emenda, di recupero esisteva per loro. E dunque? L’unica soluzione era sopprimerli ! Ecco come la scienza dava un fondamento razionale alla pena di morte. Orribile! E quando questa non c’era per qualunque motivo, si dava la morte civile, il carcere a vita che, orrore degli orrori, veniva scontata nei manicomi. Di cui il Lombroso fu direttore, a Pesaro e poi a Torino. E in manicomio ci metteva perfino gli epilettici, notoriamente sani di mente anche se ogni tanto “invasati dal dio”, come dicevano gli antichi greci, riconoscendo la temporaneità e straordinarietà di quel malessere. Per questa specie di scienza, un delinquente non poteva essere che un pazzo.
Il caso Passannante: l’anarchico e il re Soprattutto se aveva concepito la pazza idea di uccidere il “re buono”, Umberto I di Savoia (1844-1900). E’ quello che accadde al meridionale Giovanni Passannante(1849-1910) di Salvia di Lucania. Era un bel giovane, povero e grande lavoratore, cuoco in una osteria. Assetato di sapere, lesse da solo Mazzini e la Bibbia, divenne anarchico e repubblicano e pensò di far giustizia ai poveri e agli oppressi, ammazzando il tiranno. Così il 17 novembre del 1878 a Napoli si avventò sulla carrozza del re e, con un temperino che aveva comprato barattandolo con la sua giacca, lo ferì a un braccio. Fu immediatamente arrestato. Cioè massacrato: madre, sorelle e fratelli rinchiusi nel manicomio di Aversa, il paese umiliato col cambio di nome (divenne allora Savoia di Lucania), lui, dopo interrogatori-tortura, fu condannato prima a morte e poi all’ergastolo. Fu rinchiuso in un buco di cella sotto il livello del mare e perciò senza luce né aria; larga un metro per due e altra 20cm meno della sua altezza, visse rannicchiato, a mangiare i suoi stessi escrementi, con una catena di 18 kg ai piedi, senza poter mai vedere nessuno per 10 lunghi anni. Poi una battaglia civile dell’onorevole socialista Agostino Bertani riuscì a farlo spostare nel manicomio criminale di Montelupo Fiorentino dove finì i suoi giorni cieco, ammalato e impazzito dalla sofferenza. La vendetta crudele del “re buono” era consumata, complice il Lombroso con la sua pseudo-scienza. Per inciso bisogna ricordare che il cosiddetto “re buono” era tanto buono che, dopo quello di Passannante, subì altri quattro attentati nella sua vita di monarca, fino all’ultimo a Monza che lo spedì al Creatore a render conto di quella sua presunta bontà. Passannante fu definito dalla stampa monarchica “lo sguattero infame”; ma quello sguattero, cioè cuoco, aveva un animo nobile come è stato svelato dalla mostra del 150° al Quirinale. Era esposta, fra i documenti del regno di Umberto I, una lettera del prigioniero al re in cui non chiedeva la grazia per sé, ma provvedimenti umani verso la povera gente del sud, oppressa e infelice, in nome della quale aveva compiuto quel gesto estremo. Naturalmente quella lettera fu secretata. E’ uscita solo dopo un secolo e per una mostra documentaria. Non certo per una rivalutazione del mancato regicida. Che pure oggi sarebbe opportuna.
Il successo di Lombroso
Lombroso ai suoi tempi ebbe un grande successo scientifico e mondano. Libri, traduzioni, congressi, onorificenze, salotti di lusso punteggiarono la sua vita. Anche se a un certo punto qualcuno cominciò a dubitare di lui, tanto che nel 1882 fu radiato dalla Società Italiana di Antropologia. Ma intanto, grazie a lui, finivano a morire pazzi e disperati nei manicomi, ladruncoli coi tatuaggi (segno inconfutabile di criminosità), donne omicide per gelosia (frivolezza e sensualità, segni inconfutabili di predisposizione al crimine premeditato), artisti potenziali (ci sono in museo opere degli internati, di legno o di tessuto o di disegno, che sembrano opere d’arte dell’avanguardia moderna).
Quando il cammino della scienza dimostrò false tutte le sue teorie, Lombroso fu dimenticato e seppellito dallo scherno e dal disprezzo. Con questo museo, dove si vedono a centinaia, in macabra mostra, facce di cera, maschere mortuarie, crani tagliati e svuotati del cervello e tanti altri orridi reperti, l’Università di Torino ha voluto disseppellirlo. Operazione inutile e spregevole. Tanto che più di cento città (fra cui anche Bari e Matera)ne hanno chiesto a sua tempo(2009)in tribunale, la chiusura per apologia del razzismo. Si attende per quest’anno la sentenza definitiva dopo l’appello chiesto dall’Università di Torino. Ora che c’è ancora, si esce da questo brutto museo con un senso di pietà per quei poveretti i cui crani tagliati e svuotati sono lì in bella mostra nelle vetrine; e un senso di nausea per una pseudo scienza che si pose come verità assoluta. E anche di disprezzo per quel suo pseudo-sacerdote che si credette un dio, padrone della vita e della morte di quegli infelici. Il peccato di Lucifero. E tutti sappiamo dove finì Lucifero.
BIANCA TRAGNI