Non nel mio nome, Vostro Onore

…PERCHÈ VOSTRO ONORE CE L’HA INSEGNATO UCCIDERE UN NAPOLETANO

È UN PICCOLO REATO

di Pino Aprile
Non nel mio nome, Vostro Onore. Ridurre di 10 anni la condanna a Daniele De Santis, assassino di Ciro Esposito, in nome del popolo italiano (lascerei in piedi l’equivoco se “ucciso in nome del popolo italiano” o sentenza emessa “in nome del popolo italiano”) non è giustizia. Non lo so cos’è; so che non è giustizia. E non sono il solo. Di più: credo che a pensare che possa essere giustizia siano davvero pochi, oltre chi ha emesso la sentenza.
Che rispetto, sia chiaro. Ma non capisco, non capiamo. Perché ci offende nel senso comune e in quello di appartenenza alla comunità cui quella sentenza si richiama. Pur consapevoli delle difficoltà di chi fa il lavoro più difficile del mondo, giudicare, questa sentenza è condannata dalla sensibiltà popolare, e dirlo può aiutare i magistrati a comprendere che la vita e la giustizia non sono nei codici, ma per strada, nelle case, fra quegli esseri umani che accettano norme comuni quale prezzo per la convivenza. I codici sono strumento altissimo ed essenziale, ma per l’uomo non per se stessi e i loro cultori.
Qualcuno si offende quando sente dire dell’Italia “Paese di merda”. I carabinieri fecero processare un automobilista di 71 anni che aveva reagito così a una multa perché la sua auto aveva un faro rotto. E il pericoloso sovversivo fu condannato per “vilipendio della nazione” a un salasso di mille euro (cosa non fa un “Paese di merda”, secondo l’opinione dell’anziano reo, per riprendersi le pensioni che è costretta a dare a chi ha versato i contributi per una vita). Naturalmente, vale solo per i poveri cristi; la stessa espressione, se usata da un capo di governo (italiano, neh! Quindi con cognizione di causa e non si parla di Alcide De Gasperi, ma di Silvio Berlusconi, un pregiudicato), non produce sentenze. Anche perché trattasi di opinione politica.
Beh, poche volte quell’opinione politica, nella libertà d’espressione (pericolosa per i nullatenenti o pocotenenti), è stata adoperata così tanto, come dopo la sentenza De Santis. Meglio evitarla in presenza di testimoni o non essendo capi o membri del governo, cui è consentito questo e altro, incluso restare al proprio posto pur se inquisiti perché sospettati di aver avvisato degli indagati di essere sotto intercettazione; o per aver copiato parti della tesi di laurea; o per aver fatto credere di essere laureati non avendo manco la maturità; o per essersi occupati di come rifilare ad altri la banca sbancata che ha fra i dirigenti il babbo tre volte sanzionato da Banca Italia; o avere un babbo che cosa non farebbe per Medjugorie e, indagini in corso, per aver un ruolo nell’assegnazione di colossali appalti pubblici; o stare altrove e distratti mentre un ambasciatore straniero usa il ministero dell’Interno per far deportare una donna e sua figlia…
Insomma, se non siete statisti di tale levatura, quell’espressione pensatela, se volete, ma non ditela (magari potreste pure avere la sensazione di entrare in un boato telepatico di qualche decina di milioni di connazionali, ma finché la cosa resta silente o al massimo vi scappa “Italia”, senza il resto, o “di merda” senza specificare cosa, siete al sicuro).
Lo consiglio soprattutto a chi si è lasciato andare dopo aver appreso della sentenza contro Ciro Esposito. Perché “contro Ciro Esposito”? È una sintesi fatta da un incompetente, non prendetela in senso letterale. Ovviamente, ho il dovere di spiegarla: se abbiamo un processo in cui si ha uno sul banco degli imputati e la sua vittima sottoterra, tutto quello che va a stabilire il valore dell’estinto è a suo pro, tutto quello che va a diminuire la responsabilità dell’omicidio è a pro dell’assassino.
Quindi, ridurre la pena da 26 a 16 anni al boia di Ciro, vuol dire aver diminuito il valore della sua vita e aumentato quello di chi lo ha ucciso, al punto da ritenere un peccato che se ne sprechino 10 anni in più in galera: meglio arricchire la società con la sua presenza per altri 10 anni (potremmo anche mettervi una lapide un giorno: “I superstiti, pur un tantino preoccupati, grati, posero”).
Ma quanto mi piacerebbe capire la logica di questa sentenza! Quindi, se uno nel pieno di una rissa, preso dalla paura o dalla sua ferocia già scatenata, impugna un’arma, spara e uccide, non ha diritto alle attenuanti (tipo: “Non ci ho visto più, ero accecato dalla rabbia e ho sparato”); invece, se a freddo, senza manco la perdita di lucidità da combattimento in corso, si apposta, mira e ammazza, ha diritto alle attenuanti (tipo: “Ci vedevo così bene e non mi tremava la mano, tant’è che ho fatto centro”). Lo capite voi, perché uno così debba avere uno sconto, e che sconto? Io no, ma non ho competenza giuridica. Così, ho chiesto ad alcuni amici avvocati, addetti ai lavori… Niente, avessi trovato uno che non mi dicesser: “È incomprensibile. E se non sei scemo, fermati lì”. Cosa avranno voluto intendere?
Sfugge pure la logica del ritenere motivo non futile andare a sparare a uno perché napoletano che tifa per il Napoli. Quindi ammazzare un tifoso di squadra avversa è cosa seria! Io non seguo il calcio e (a parte l’indistinta preferenza per quel che è terronico, anche allo stadio) non sono tifoso di nessuna squadra; mio nipote una inclinazione ce l’ha. Ora dovrò educarlo a smettere, perché non ne venga deprezzata la sua vita a norma di sentenze d’Appello di questo Paese (ho detto solo Paese, cazzo vuoi?) Brutta cosa l’ignoranza: non riuscendo a capire come la soppressione (incomprensibile, parlo per me e per qualche milione di incompetenti) di due aggravanti (del cavolo o del codice, mo’ non mi ricordo) possa far addirittura quasi dimezzare una condanna per omicidio, ho chiesto agli esperti. I giornalisti hanno tanti amici avvocati, di solito. Io ho quelli sbagliati: non l’hanno capito nemmeno loro. Non solo, ma mi hanno spiegato qualcosa che riassumo, magari pure male: le aggravanti, per l’omicidio, vengono chieste dagli accusatori per portare la pena da 30 anni all’ergastolo. Se gliele negano, non hai l’ergastolo, ma i 30 anni restano. Per Daniele De Santis già gli anni erano 26: gli vuoi togliere le aggravanti? (E lo capisci tu e Dio, anche se pare che Dio stia chiedendo ai dottori della Chiesa: scusate, ma voi l’avete capita ‘sta cosa?). Ok (ok manco per niente…), ma uno si aspetta che questo faccia scalare di un anno, due, che ne so… Non quasi la metà! Con l’aggravante, e questa vera, che togliendo quelle aggravanti il delitto appare ancora più odioso, a sangue freddo, senza ragione.
Noi che non abbiamo studiato legge, siamo erroneamente convinti che si sarebbe dovuto forse tenere conto dell’inclinazione del reo a certi comportamenti. Era lui stesso a pubblicizzare le sue imprese muscolari in Italia e all’estero. Insomma: un colpo di pistola può scappare a chiunque, dai, non stiamo troppo a fare gli agnellini. Chi di noi non ha una pistola, non se la porta appresso in caso di transumanza di tifosi del Napoli e magari… Può succedere! Questo non può cancellare una vita da persona perbene. E qui mi fermo.
Dicono che ‘sto De santis abbia “protezioni”, che sia disponibile a certi servizi, e via elencando dicerie, sospetti, dietrologie, complotti. Se ci sono prove, tiratele fuori. O tacete. Perché già non si capisce niente in questa storia, e parliamo di cose che pure sono state documentate nei processi di primo e secondo grado; se ci aggiungiamo anche le ombre di “settori dello Stato” eccetera eccetera, non ne usciamo vivi (ops… questa me la potevo risparmiare).
Allo stato dei fatti, senza riscontri innegabili, nessuno può dire che De Santis è “protetto”; mentre si può con qualche ragione dire che, almeno in Appello, è stato fortunato.
Ciro Esposito un po’ meno.