“Sciù, sciammèria corta!”

“Sciù, sciammèria corta!”

Alla fine di aprile del 1831 Nicola Pace scrive a re Ferdinando II di Borbone, professandosi “un Suddito che vi ama, un individuo che gode sussidio”, allo scopo di denunciare un fatto criminoso, spinto – a suo dire – dalla sollecitudine “per il bene della M.V., e del pubblico”.
Nella città di Napoli, racconta Pace, viene proferito di frequente “dalla gente bassa, ossia Lazzarismo” un motto dal tono dispregiativo: “Sciù, sciammeria corta”, contro chi veste la giamberga.
Subito dopo, il “suddito pacifico, e fedele” spiega il motivo di tanta preoccupazione: “Maestà, Ella veste di Giamberga; I suoi Cavalieri vestono lo stesso, ed ogni Signore veste di Giamberga; per cui siffatto calunnioso motto è un’ingiuria che si fa al ceto nobile, e Signori; perciò si prega la M.V. di dar subito gli ordini a chi si conviene per impedire un tale oltraggio, affinché non ci nasca un’animosità tra il popolo basso, ed il Ceto de’ Signori”.

Il 3 maggio successivo, il commissario Ignazio Parisi riferisce al ministro della Polizia generale i risultati delle sue indagini sull’«insulso versetto».. Esso era nato fra i detenuti di Castel Capuano al tempo “de’ noti sconvolgimenti nella Romagna”, e in origine suonava diversamente: “Non chiù sciammeria corta”. Il suo significato, chiarisce Parisi, rimanda “alla idea di una minaccia al ceto de’ galantuomini, per de’ bramati cangiamenti politici favorevoli alla classe de’ plebei, e per essi giovevoli ai carcerati”.

In conclusione, il commissario propone al ministro addirittura l’arresto “anche momentaneo di coloro, che tale motto proferiscono”.

Archivio di Stato di Napoli, Ministero della Polizia Generale, II numerazione, busta 1292, fascicolo 818 #archiviodistatodinapoli #regnodelleduesicilie #borbone #polizia #sciammeria #giamberga

Pasquale Peluso

IMG_3538