Pulcinella e la maschera napolitana

Tratto da: Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti di Francesco de Bourcard – 1866 (Pag. 39-42)
PULCINELLA E LA MASCHERA NAPOLITANA

pulcinellata
PULCINELLA! Questo argomento per uno scrittore sembra il più volgare che possa immaginarsi. Il rappresentante comico della goffaggine e della ridicola semplicità non può divenire per opera della critica e della storia un personaggio neppur di lieve importanza. Così dicono i pensatori improvvisi.
Ma io ho molte ragioni da provare che questo volgar Pulcinella è un essere pel quale la razza umana strappò qualche spina al sentiero della vita, e pel quale la verità fu detta sotto la forma del ridicolo. Qualcuno che mi sta alle coste, mentre io scrivo, e sa com’io la pensi, si proverebbe a rendermi anche più temerario — Non solo, egli mi sussurra, io rappresenterei Pulcinella sotto la forma di un mito, non solo sotto l’aspetto di una caricatura fatta a taluni uomini per emendarli, ma oserei dire di Pulcinella, ch’egli fu uno de’ benefattori della società.
Io non vado tant’oltre e mi fermo. L’amico o il consigliero continuerà l’articolo, se a lui piace.
Parecchi scrittori tanto italiani quanto stranieri non ebbero a sdegno di toccar dell’indole e dell’origine di questo personaggio, al quale è dovuta la maschera napolitana.

Di lui scrissero il Maffei, il Ferrano, il Signorelli, senza dire degli enciclopedisti e degli storiografi della commedia. Scrissero di lui, sebben brevemente Inglesi ed Alemanni, e da ultimo Alessandro Dumas ne’ suoi viaggi, ed il bibliofilo Jacob che gli consacrò intero un articolo della sua penna.
Non sarò io dunque reputato uomo dappoco o balzano di mente, se intingo la penna in questo inchiostro. Pulcinella, detto da molti commediografi Pulcinella Cetrulo ha due origini, e come Ercole al bivio lo scrittore trovasi esitante e confuso nello scegliere la sua via. Una origine è antica, l’altra è moderna, e pecca davvero di esser troppo moderna. Tutti sanno che dall’accozzaglia di un nome e di un cognome venne formato l’insieme di Pulcinella. Tutti sanno che un cotal Paolo Cinelli per vaghezza di baloccare, dicesi, andasse ballando e facendo cavriuole innanzi allo esercito francese che entrava in Napoli, e che i Francesi chiamandolo in lor favella Paul Chinelli e quindi Polichinelle dessero origine alla creazione del nome di Pulcinella.
Ma io pianto di botto la mia opposizione a questa origine, la quale potrà piacere come emanazione di spirito francese, ma non potrà venir tollerata né accettata dallo spirito italiano. Eccone le ragioni. Il nome di Paolo non è punto napolitano, così non ha cadenza napolitana il cognome Cinelli, a meno che non voglia cangiarsi questo Cinelli in Cimelio o Ciciniello. 2. Il personaggio di Pulcinella ha data più antica del citato ingresso in Napoli dell’esercito francese.3. L’indole del Pulcinella è di uomo e cittadino ligio fino alla superstizione alle assuetudini del suo paese nativo, e di uomo tenace a’propri costumi, amante de’ suoi, dileggiatore di ogni uso straniero, e schernitore caustico oltremodo e pungente. Nulla di più schernevole pel nostro Pulcinella che il lindo ed attillato seguace di mode e il Monzù (Monsieur).
Il Pulcinella napolitano, volgare e timido ch’ei fosse, non ha mai ballato innanzi agli eserciti francesi. L’è una storiella ingegnosa, ma non plausibile.
Sappiamo d’altra parte che la maschera è di antica data. Senza ricordar Venezia che se ne avvaleva nelle vie e ne’ teatri, in politica ed in pace, tra cittadini e tra esecutori del Consiglio, basta portarsi con la studiosa mente sino a’ Greci ed a’ Romani per trovarne l’uso assai sparso.

La creazione della maschera è la più naturale delle invenzioni. L’uomo tende molte fiate a nascondersi, poiché la sincerità non fu sempre in lui. Dove è simulazione o colpa, è rossore. Non furono le foglie, la maschera del nostro primo padre?
Gli uomini surrogarono un tempo alle larve il lembo delle vesti e le mani addossate sul volto, e questa fu una maschera spontanea ed improvvisa; poi veduto il bisogno, surse quasi una moda di fingere e di saper fingere; nacque lo spettacolo pel quale la finzione diventa diletto e la maschera prese a covrire i volti, non più chiari ed ingenui, della viziosa umanità.
Ebbero teatri Roma e Grecia, ma quel ch’è più, ne ebbero il Perù, la Cina, le Indie, e tutti i teatri cercarono nelle loro rappresentazioni un eroe o protagonista. I Greci incensarono personaggi mitologici, i Romani seguirono i Greci, gl’Indiani tolsero ad eroe delle loro rappresentazioni un nume o un semideo. I Cinesi prescelsero un mandarino, un ricco mercante etc. Gli Ebrei non ebbero né spettacoli né maschere, perché trovarono delitto queste allusioni innanzi al principio della loro fede.
L’eroe della commedia napolitana è il Pulcinella, e che questo eroe sia antico lo dimostrerò prima con appoggiarmi al sapiente e dotto ricercatore archeologo Filippo De Jorio, l’altro col rivedere le pitture Ercolanensi e Pompeiane.
Filippo canonico De Jorio scrisse un’opera intitolata La Mimica degli antichi paragonata al moderno gestire napolitano.
Per raggiungere il suo scopo il paziente archeologo si parti dalla osservazione delle antiche figurine, vasi, bassorilievi, lavori in plastica, purché offrissero figure in movenza ed atteggiate secondo lo spirito dell’azione, furon bastevole documento per mostrare che il gesticolare e il muoversi soperchio de’ Napolitani sono abito espresso anche ab antico, e sì facendo il De Jorio assegnò il suo gesto al dolore, all’ira, alla gioia. Il dotto ricercatore si piacque fino di trovar relazioni col gestire antico nel muover delle dita, sicché gli stessi atteggiamenti del Pulcinella, considerati sotto questa forma speculativa, divennero per esso abitudini di antichi personaggi. Al che accenna pure il Ferrano quando nel passare a rassegna le maschere italiane dice. «Non istaremo a ricercare se alcuni di questi personaggi sia il medesimo, quanto all’abito ed al carattere che già era ne’ mimi degli antichi Greci e Romani».

Certo è che antiche sono la maggior parte delle maschere italiane, e ciascuna di esse nacque dal voler porre in canzona e gittare lo scherno in qualche ridicola costumanza. Però veggiamo nelle commedie comparire i Dottori caricatura di medici o di cattedratici, i capitani Spaventa caricatura dei Rodomonti Spagnuoli, gli Arlecchini caricatura de’ ghiotti e de’ balordi, nobilitati poi dalla satira, gli Scopini emporio di furberie, ed altre maschere delle quali parla il Riccoboni nella storia del teatro italiano.
Da questi poi originali caratteri e maschere, ne vennero altri, come derivazione e suddivisione di una stessa materia. Meneghino introdotto dal Maggi, Scaramuccia dal napolitano Fiorilli, Coviello dal famigerato Salvator Rosa, e Pedrolino e Tabarrino e Fitoìicello, e il Tartaglia che appartenne a più teatri, essendo universa caricatura di un difetto naturale e non ispecialita di paese. Lo stesso Dottore introdotto dall’immortale Molière nelle sue commedie, fu invenzione di Lucio comico italiano che fioriva nella metà del cinquecento.
Ma più antico fra tutti è il nostro Pulcinella. Continuando l’analisi delle antiche scolture noi troviamo negli antichi scavi Ercolanesi e Pompeiani avanzi di colonne portanti in cima a guisa di capitello una testa a grandi orecchie a bocca aperta, e coronata talvolta di foglie, la quale dalla fronte al di sotto del naso è nera, bianca fino al mento. E questa specie di maschera hanno i presenti fabbricatori di creta adottata come vaso di fiori. Ecco dunque un volto a due tinte, una maschera infine, ma una maschera permanente.
E questa è la maschera del Pulcinella.
A giustificar la medesima è volgar tradizione che il cittadino dell’Acerra al quale si dà nome di Pulcinella, fosse un uomo che aveva in volto una macchia o voglia di donna incinta che ne mascherasse la superior parte delle sembianze.
Nel volume sullo stato della poesia in Italia è ricordato che nel museo del Marchese Alessandro Capponi era la statua di un istrione antico così mascherato, val quanto dire con un camiciotto mal assestato e assai goffo, con una sanna a ciascuno degli angoli della bocca, con gli occhi stralunati, col naso lungo prominente ed adunco, e più (come troviamo nel Pulcinella francese) colla gobba e nel petto e nel dorso e coi socchi ai piedi.
Né il carattere stesso del personaggio è dissomigliante da quello che a coloro davano gli antichi, cioè uomini stolidi, accomodati coll’abito, colle parole e col gesto a mover le risa.

Col decader delle antiche usanze, questa maschera (a forma Pulcinellesca) andò a perdersi; ma il Fiorillo la restituì al teatro, dandogli il dialetto de’ Calabresi. Un sartore di nome Andrea Calcese detto il Ciuccio ritenne le spoglie Pulcinellesche, ma gli diè il linguaggio de’ villanzoni bernoccoluti della antica città di Acerra, ove tenevasi originato. Le quali indagini ci riportano sempre all’idea madre che il Pulcinella è l’antico buffone nella sua mellonaggine, piccante nelle sue gofferie, accozzamento strano ed originale di una natura semplice e beffarda.
Scherzando su tal subietto dice Carlo Nodier «Scompaiono le nazioni dalla faccia della terra, le sette spariscono nell’abisso del passato, e Pulcinella resta. Non vi è altri che Pulcinella il quale sia vero ed artista. Pulcinella è invulnerabile, e l’invulnerabilità degli eroi dell’Ariosto è meno comprovata della sua. Non so dirvi se il suo tallone sia restato nella mano di sua madre, e se ella lo tuffò come Achille. Quel che havvi di certo si è (se questi lodevoli studi allettano qualche
gentiluomo) che Pulcinella, bastonato dai birri, aggredito dai bravi, impiccato dal boia, e portato via dagli spiriti ricomparisce infallibilmente un quarto d’ora dopo al più tardi, così vispo, così vivace e più garbato che mai. No, Pulcinella non è morto. Viva Pulcinella!»
Leggendo queste parole di un accreditato autore francese, egli è forza credere che anche in Francia abbia il Pulcinella potenti influenze.
Senza ricordare Tiberio Fiorilli che fu la gioia del Gran Luigi, basterà ricordare Michelangelo Fracanzano fratello de’ famosi e sventurati pittori napolitani Cesare e Francesco. Michelangiolo Fracanzano, viste che le arti belle dan sovente a chi le coltiva un duro compenso, stimò porgere altrui diletto per altra guisa, cioè rappresentando il Pulcinella. Piacque il buffone ai Francesi, e Luigi XIV lo invitò a far ridere la Francia. Ed egli, non certo dando pan per focaccia, portò il riso nella famiglia di un Re, quando un altro aveva portato il pianto nella sua famiglia. Morì lo stipendiato Pulcinella presso il 1685, e la famiglia dei celebrati pittori Fracanzano si spense in un pittore povero ed in un ricco istrione.
Questi assicurò le forme del Pulcinella, ed ancora oggidì si veggono le sue tele ove è dipinto Pulcinella a mezza figura col suo cappello a pan di zucchero e la spiegacciata camicia.
Ma da quel tempo in poi molti furon quelli che vestirono le spoglie del semplice cittadino dell’Acerra, per richiamare il riso, anche tra le sciagure, sul volto dei poveri Napolitani.
Là dove oggi in via S. Bartolomeo vedesi un arcuato corridoio celebre per la bisca ove vendè la camicia S. Camillo de Lellis, era un teatro che il tempo e le rivolture distrussero, e la cui celebrità è rimasa ancor viva, come di cosa recente.
Celebrità giusta, in quanto che su queste scene, dette di S.Bartololomeo, spiegarono i loro fasti que’musicisti che insegnarono l’armonia all’Italia ed oltre i monti. I quali usciti in buona parte dal piccolo conservatorio di S.Onofrio alla Vicaria, fondato intorno al 1500, ebbero la gloria di aver creato in uno stesso secolo Niccolò Jommelli, Niccolò Piccinni, Giovanni Paesiello. I drammi del Metastasio vestiti d’armonia da Porpora e Leo fecero risuonar pateticamente questa contrada, poi vi risuonò l’opera buffa, ed allora i nostri teatri crebbero di numero e vi si aggiunse quello de’ Fiorentini, dove or si recita in prosa ed allora si cantava.
Apparve in questi teatri il Pulcinella, e il riso con lui. Accrebbero la dote de’ suoi sali e delle sue arguzie molti scrittori napolitani di non vulgare erudizione, ma colui che meglio lo scolpì fu di questi scrittori il meno erudito cioè Francesco Cerlone, in sua origine lavoratore di seta. Poi fra gli altri venne un Filippo Cammarano di famiglia teatrale, ed allora il tempio di Pulcinella fu S. Carlino, il piccolo teatro ove si desta l’ilarità, e che una mano invisibile preserva ancora dalla rovina, mentre svisa e deforma l’ampia piazza del Castello. Si direbbe che le case onde è circondato per riconoscenza del riso che sua mercé udiron sempre echeggiare colà dentro, se lo tengano stretto, affinché non isfugga. Ma chi assicura queste case che lo splendore della città nostra non chiegga il loro sacrificio? Il che se non potrà tardare, io oserei desiderare che nel luogo ove sorse il nostro teatro nazionale fosse posta una lapide, la quale ricordasse che a temperare i dispiaceri della vita, veniva colà eretto il tempio della ilarità. E forse in questa lapide avrebbe dritto a menzione il cittadino di Acerra. A riassumere dunque il nostro articolo nel quale toccammo il meglio che da noi si poteva in piccolo spazio del Pulcinella, della maschera, e del teatro napolitano, diremo che anche in questi giorni in che la maschera si va dileguando dalle scene, è il Pulcinella il nostro migliore amico, e S. Carlino il teatro che fuga e tronca le nostre malinconie. Sicché meriterebbe questo teatro lo stesso nome di Posilipo che vuol dire Pausa alle tristezze.
Senza parlare di Gian Cola, di Luzio, del piccolo Casaceia che non profanarono la intemerata camicia di Pulcinella; sono gloria oggi di questo personaggio i due Pelito, de’ quali il primo, sendo innanzi negli anni cesse il posto al secondo, sicché il padre assiste alle serali glorie del figliuolo e si compiace dell’opera sua.

Oh Pulcinella! Creatura degli antichi venuto sino a noi discendenti della Magna Grecia, no, tu non ballasti mai innanzi agli eserciti stranieri, tu nascesti nel riso e nella gioia, prediletto figliuolo della commedia, e se Plauto e Terenzio, se Aristofane e Menandro non ti diedero polpe ed ossa, essi udirono la tua voce, la quale è quella della semplice ambiguità di parole posta a lottare con le ambagi e con la tortuosità di maligni sapienti.

CAV. CARLO T. DALBONO.
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