Descrizione delle Festività di Natale tratte da: “Passeggiata per Napoli e contorni – Usi e Costumi”- di Giovanni Emmanuele Bideri.Napoli 1857
LA VIGILIA DI NATALE
Vegilia de Natale comm’a st’anno
Che la robba nce scarreca a seffunno
Tu non la truove si la vaje pescanno.
E ssi chesso n’avimmmo a chisto munno,
Voglio magnà pe cquatto, e po de vino
Doje tre llampe asciuttarme nsì a lo funno.
Genoino.
Fra le candide nevi e il cielo depurato dalla tramontana sorge la Vigilia di Natale pari ad una vergine che si veste di candidi lini per andare a nozze. La maestosa Napoli mi presenta una festa campestre, una fiera di piccoli paesi; baracche da per tutto adorne di festoni e di allori, piene zeppe di commestibili d’ogni sorta. Per qualche momento passeggio distratto, e il suono delle varie zampogne mi trasporta nei campi di Sicilia; e mentre che la distanza rende piacevole la boscareccia lontana armonia, uno più vicino mi percuote si il timpano ché mi fa trasalire. – O miseri zampognari, donde venite voi? non avete voi patria, non famiglie con cui possiate dividere il giorno del Natale? ¬Noi veniamo dai monti del Sannio, dalle foreste degl’Irpíni: noi abbiamo festeggiato il nostro arrivo giungendo in questa capitale del regno suonando le nostre zampogne innanzi la Medonna delle Grazie al largo delle pigne, in ringraziamento del compiuto viaggio : noi alberghiamo in misere locanducce a Fontana de’Serpi, formiamo una famiglia di suonatori e cantori che hanno le loro leggi, i loro acconti da una generazione all’altra, e compiuta l’ultima novena partiamo per la nostra patria, recando il frutto di nostre fatiche alle povere nostre famiglie! -Ecco cosa è divenuta gran parte della nobile stirpe de’Sanniti!-
Una operosità incessante trascina la minuta gente fuor di casa, i caffè sono, aperti innanzi l’ora; v’entrano ed escono vecchie serve di studenti che godono delle oziose piume, finche il Sole non abbia riscaldata l’atmosfera, e reso il di più gajo ai venditori.
MERCATI DELLA VIGILIA DI NATALE
Chi se mpresta denaro, e chi tè cagna,
S’asciuttano le sacche e le vorsille,
E po nfaccia a lo pesce è la coccagna.
E siente strillà gruosse e ppiceeriUe,
Senza li capitune non c’è festa,
Mo te scioccano nfaccia chist’anpuille.
Genoino.
Ogni piazza in questo giorno è un mercato: vi sono delle strade intere coperte di alloro e di tende. Le botteghe più ornate di Toledo sono de Pizzicagnoli: le piazze abbondano di erbaggi , di carne, e di pesce, e del rituale Capitone coperto di foglie di lauro.
I cuochi dei grandi signori scendono i primi a prendere a peso di argento gli oggetti più gustosi e peregrini, che per mare e per terra abbiano i vivandieri raccolto per questa si celebre festa; quindi vengono i bassi impiegati, gli artigiani, e gli operai accompagnati dalle loro mogli a fare spesa, e il venditore a voce tesa grida
E’ n’auta rrobba, è n’auta rrobba chesta,
Ne aggio data la voce a sse’carrine,
Magna, ca mme n’annuommene, maesta.
VENDI-PESCE E COMPRATORE
Compr. Quanto facimmo? Vi’ca io non so llocco. Dimme lo gghiusto.
Vend. Embè, damme otto penne.
Compr. Te nne do tre, va bhuono ?
Vend. E mmagna stocco.
Compr. Vuò trentacinco fante?
Vend. Và, vattenne.
Compr. Quatto carrine?
Vend. E quanno te nne vaje? Mo ne votto lo pesce e chi lo bbenne!
In questo mercato dove tutti gridano e tutti parlano ad alta voce, chi compra e chi vende, si deve dare luogo alle importune carrozze dei sfaccendati signori che possono attentare chi va a piedi col diritto di chi va in carrozza.
Io scorro tutta Toledo sino al largo della Carità: è una gran fiera, dove stanno ammonticchiati piatti. dove bicchiere e chicchere, dove frutti e cataste di broccoli, dove carri di pigne, di capponi.-Dai palagi intanto si vedono uscire ed entrare servitori con regali, e la zampogna di tanto in tanto si fa sentire come annunziando la nuova civiltà fraterna, la civiltà di Cristo. – II giorno spande per tutti una fisonomia di bontà, d’innocenza e d’amore, come tra i figliuoli d’una stessa famiglia e ‘l povero ancora oblia le notti freddissime l’elemosina piove come una rugiada; né vi è napoletano che non ricordi la grazia data in quel santo giorno a tutti gli uomini , e non dia la sua parte di pane a chi non ne ha.
LA SERA DI NATALE
Li zampognare cantano,e tie fanno
Assommà dint’a llarma n’allegria.
Genoino.
L’ aria intanto, come il sole piega, diventa più rigida finché una gran quiete si riposa sopra la vasta città già prima tutta voce e tutta gridi. L’economica madre di famiglia torna a suoi figli carico il canestro che l’usurajo della piccola banca per l’usura settimanale le ha pieno, ed suoi figli fanno festa in vederla. Nelle sale dei grandi luccicanti più del solito si apparecchiano le mense, mentre chi seduto attende, chi vagola per le camere col cuore che non ha posa, e chi svolge senza voglia un libro nuovo. Ultimo è il piacere delle mensa.
Cade la notte, si accendono i fanali per Toledo, i venditori fanno gli ultimi sforzi, e gridano si che io stordito m’ avvio per l’erta montagna della Concordia.
IL CEPPO DELLA VIGILIA Di NATALE
…Siede ii buon padre, e mira
Intono ai focolar lieti e ridenti
Consorte e figli.
Monti.
Ecco or di notte per le strade e per le piazze de’grandi ceppi di alberi ardere, al cui fuoco si scalda la povera gente che si è prima levata dal suo convito: questi fuochi rituali in mezzo alle vie alludono ai focolari delle prime famiglie delle umane generazioni, che sparse nei campi e su i monti, venivano distinte per essi. Al focolare gli antichi facevano sedere l’ospite, e diventa inviolabile. Quando queste famiglie formarono la grande società, fu sacro e perenne il gran fuoco dalla nazione; spento il quale si credeva sciolto il nodo sociale: perciò vi posero in custodia delle vergini sempre deste, onde il titolo di E desta, Vesta, o accesa, e delle Vestali; fuoco che non poteva accendersi che ai raggi del sole, simbolo dell’anima dell’universo.
Le divinità domestiche stavano vicino al fuoco e presentavano i pensieri e le parole a renderle decorose e divine. Innanzi a questi focolari paterni abbiamo avuto noi Italiani la nostra educazione, ed udito i misteriosi racconti delle Fate. Sacri questi fuochi furono all’antichità, e noi abbiamo perpetuata questa santità nel più bel giorno dell’ anno Cristiano. Alfonso d’Aragona, secondo l’antico costume, distinse le famiglie per fuochi, e ne mise le imposte, compensandoli col donativo di un rotolo di sale! Ma che che ne sia, ben ciò dimostra che gli antichi si nelle leggi, come nei pensieri s’inspiravano sempre della viva natura, che non ha più parola per le menti filosofiche dei nostri giorni.
I FUOCHI DA SPARO DELLA NOTTE DI NATALE
Voglio sparà li truone a lo Bammino,
E quann’ è mmeza notte vasà nterra.
E po ronfà diece ore a suonno chino.
Pe ddiggerì la meuza, e ffà la guerra
Djmane a na gallotta, e a no capone
Co cquatto mozzarelle de la Cerra….
Vi che te face la devozione!
Genoino.
Suonò la prima volta la grande Messa notturna, e Napoli è divenuta un simulacro di battaglia, una tumultuosa giornata peregrina. Ogni casa è un castello che lancia fuochi dalle finestre, e la più parte dei guerrieri sono bellissime giovinette coraggiose quanto le Mainotte: ciascuna ha la sua assegnata provvisione. E quei fuochi di vanrii colori rompono la notte con fiammate striscia e perdonsi scoppiando nel profondo cielo, percuotendo i muri e serpeggiano a terra con le acclamazione della moltitudine. Correte, ragazzi, caduta è la bomba, correte a spegnerne la miccia! Ah! è scoppiata – Eccone un’altra…. Corri tu, e valente ! là il berretto a terra. Bravo, presto, il piede sopra; evviva, evviva il piccolo cencioso guerriero: l’ha spenta -Ma la battaglia è al colmo: fuoco per tutto; e per tornarmene a casa mi convine attraversare questa batteria dello stretto di Gibilterra … io rido e passo fumando il mio sigaro più intrepido di Carlo XII , ed eccomi sano e salvo tra i miei. L’ esultante cagna spicca salti da toccarmi il viso , e corre abbajando senza posa pazzamente per tutte le stanze, ed io scrivo in un tanto frastuono queste poche righe, e l’aria e la terra è rimbombante di gridi e di scoppi: si odono i più vicini, succedono i più lontani, altri si sperdono : si consuma più polvere in questa notte che alla battaglia di Waterloo. Ah sparate, o generosi napoletani, a dar lodo al Signore; sparate, ch’io riviva nei miei fervidi anni di Lunado, di Mantova e di Verona.
LA CENA
Ecco ci è nato un Parvolo.
Ci fu largito un Figlio:
Le avverse forze tremano
Al mouer del suo ciglio:
All’uom la mano Ei porge
Che si ravviva, e sorge
Oltre l’antico onor.
Manzoni.
Suonò la terza volta la grande Messa notturna. E questa l’ora in cui gli artigiani e i grandi siedono alle loro fumanti mense; io più frequesti odo le grida e l’ incessanti spari. Si, ascolto le campane che per la sessantesima volta annunziano a me la nascita del Salvatore del genere umano. – Io siedo a cena con i miei figli, ed ecco quanto può desiderare un padre. – Non odo il canto del Signore? una processione con torci accesi che gira per le strade?.. Sono gente devota che reca al presepe il bambino Gesù. – Preghiamo anche noi in quest’umile tetto- Questo è pure suo tempio! – Anderemo al nuovo giorno a ringraziarlo nella vasta chiesa di S. Francesco di Paola con la devota popolazione di Napoli. ‘
IL GIORNO Dl NATALE
O fratelli, il santo rito
Sol di gaudio oggi ragiona;
Oggi è giorno di convito:
Ogi esulta ogni persona.
Manzoni.
Napoli tutta par che dorma in profondo silenzio. Dove sono quelle baracche festive, quelle botteghe affollate , quei venditori assordanti, quel vasto popolo? – Tutto disparve : il giubilo già concentrato nello interno della casa lascia deserte le strade bagnate di minuta pioggia; e tu non vedi che quà e là, pochi gruppi di persone a cui il vento scompiglia le vesti ed i veli che aggruppansi intorno all’ombrello, come il passaggiero all’albero maestro in tempo di burrasca ; ma l’impeto del dominatore libeccio rovescia gli ombrelli e porta lungi i veli e i cappelletti che gli arditi ragazzi di famiglia vestiti a festa corrono a raggiungere; le donne abbassano prontamente le mani a ricomporre le tuniche ondeggianti, e le vergini rosse per pudore guardano intorno se lascivo importuno fu spettatore della bizzarra scena: Ma ecco il vasto piano del Palazzo Reale, ecco il sublime tempio di S. Francesco di Paola, la gente vi fluisce come i fiumi al mare, e tosto sotto il gran portico sono al riparo d’ogni intemperie. O porto della cristiana gente, casa del Signore, che pareggi col Panteon di Agrippa per bellezza, tu starai immota , mentre di noi svanirà la memoria. Scorrerà per secoli questa terra intorno al suo lucido centro, e tu starai sempre: verranno generazioni lontane che chiameranno antica l’età nostra, e nuovi Soli t’irradieranno, e tu starai: verrà tempo ancora che vecchia crollerà la tua superba mole; ma tu starai allora nella mente di quelle future genti, perchè esse leggeranno attaccata a tuoi avanzi una indelebile pagina della storia nostra che tu fosti innalzato al Divo Francesco di Paola, per la liberazione del regno dall’occupazione francese; e reso sacro il giorno del Natale del 1836, quando cessò il fiagellante Colera di Napoli.
Ricerca a cura del Prof.Renato Rinaldi