L’arte dei guantai della Sanità: quando Napoli era “capitale dei guanti”
Per secoli Napoli ha rappresentato un’eccellenza nel mondo della moda e nella produzione di capi unici al mondo. Purtroppo, con l’avvento del mercato globale e della produzione industriale questo primato è andato via via affievolendosi, resistendo solo grazie ad alcuni esercizi storici famosi in tutto il mondo. Attualmente è difficile credere che Napoli possa essere definita la “capitale dei guanti”, eppure è davvero così.
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Il suonatore di pianino: sapete chi era e cosa faceva?
Lo si sentiva girare per le strade di Napoli trainato da un cavallo, o spinto dallo stesso suonatore. Era uno dei tanti elementi che caratterizzava il folklore di Napoli, e la gente lo amava, tanto da affollarsi nei suoi pressi, acquistare le “copielle” e intonare insieme i canti. Parliamo del pianino, e del suo suonatore, che aveva il compito e il piacere di portare la musica in giro per la città.
Il pianino fu inventato nel 1700 da un modenese, Giovanni Barberi. Il cilindro del pianino, o organetto, funzionava più o meno come il cilindro di un carillon: quando ruotava su se stesso le sue punte rialzate causavano la vibrazione di piccole leve e il movimento delle corde ad esse collegate producendo varie melodie. Il pianino fu molto utilizzato in Italia, in Francia, in Belgio e in Olanda, ma il suo maggior successo lo ebbe a Napoli.
‘O latrenaro, un antico mestiere napoletano: chi era e cosa faceva?
Oggigiorno siamo così assuefatti dai comfort da darli quasi per scontati, come se ci fossero dovuti per diritto. Non riflettiamo sul fatto che, un tempo, per avere il privilegio di godere di ogni singola comodità, c’era qualcuno che doveva lavorare duramente.
Stiamo facendo riferimento ad un antico ed umile mestiereormai andato in disuso, ‘o latrenaro, noto anche come spuzzacessi o spuzzalatrine.
Il lavoro del latrenaro consisteva nel ripulire, come suggerisce il nome stesso, le latrine. In particolare, bisognava svuotare i pozzi neri relativi ai gabinetti dei bagni pubblici o di quelli condominiali.
Una volta svuotato il pozzo, tutto il materiale fecale raccoltoveniva in primis ammucchiato in enormi tinozze capienti, poi quest’ultime venivano poste su dei carretti. In seguito il tutto veniva venduto agli agricoltori che lo utilizzavano come concime per i loro terreni.
Una professione necessaria da un punto di vista igenico-sanitario, ma nauseabonda se si pensa ai tini puteolenti colmi di escrementi che venivano trasportati in giro per la città. Difatti il loro maleodorante passaggio era spesso accompagnato così “Sta passanne ‘o carre d’ ‘e merdajuole, appilateve ‘o naso”.
Con il passare dei decenni e con la costruzione di una rete fognaria moderna ed efficiente, tale professione è ormai scomparsa e senza alcun dubbio è una delle poche che sicuramente non ricordiamo con nostalgia.
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‘A nevajola: sapete cosa faceva a Napoli?
Era un mestiere certamente insolito, ma anche molto originale. Si tratta della “nevajola”, sapete cosa faceva? La nevajola era la venditrice di neve ghiacciata, come in parte si può intuire dal nome. Il suo mestiere era collegato per lo più alla vendita dei prodotti dell’acquaiolo, nel caratteristico chioschetto detto “‘a banca ‘e ll’acqua”, soprattutto durante l’estate quando era necessario tenerli freschi o ghiacciati.
La materia prima era la neve, che veniva raccolta durante l’inverno quando cadeva copiosamente sul monte Faito o sulle pendici del Vesuvio, per poi essere ammassata in grotte sotterranee (‘e Nevere) dove ghiacciata veniva venduta in estate.
Il ghiaccio era conservato nelle ghiacciaie e immesso in grandi botticelle foderate di sughero con un vano nella parte inferiore, dove erano sistemati blocchi di ghiaccio, che rendevano l’acqua o la bibita fresca o ghiacciata, perché raffreddata dal ghiaccio.
Così, la neve ghiacciata permetteva all’acquafrescaio di rispondere così alla domanda “Acquajuò! L’acqua è fresca?”: “Manche ‘a neva”.
tratto da : https://www.donnalbina4.it/antichi-mestieri-napoletani/