Le Catacombe di San Gennaro

Le Catacombe di San Gennaro

 

La rinascita delle Catacombe di San Gennaro risale a 54 anni fa. Nel luglio del 1969 fu inaugurato il nuovo ingresso e si avviò una fase di intensi lavori per la sistemazione dell’eccezionale monumento cristiano che specialmente durante l’ultima guerra, trasformato in ricovero antiaereo, aveva subìto notevoli danni.

Le catacombe risalgono al II secolo e probabilmente sorsero nel luogo di una tomba gentilizia che, ceduta alla comunità cristiana della città, venne trasformandosi in cimitero ufficiale e in centro religioso, dopo che vi furono deposti Sant’Agrippino, vescovo di Napoli (secolo III) sulla cui tomba venne edificata una basilica, e poi San Gennaro. La catacomba fu meta di pellegrinaggi e accolse più tardi le spoglie del vescovo duca Stefano e di Cesario Console, morto nell’878. Nel 762-764 durante la lotta iconoclasta, fu sede del vescovo Paolo II, impossibilitato a entrare in città dove prevaleva il partito bizantino. Il suo splendore decadde quando nel1’831 Sicone, principe di Benevento, rapì le reliquie di San Gennaro e le portò in quella città. Verso la metà del IX secolo il vescovo San Giovanni IV trasferì nella cattedrale i corpi dei vescovi suoi predecessori, ma lui stesso al pari del suo successore Sant’Anastasio fu poi sepolto nella Catacomba. Questa non fu per allora abbandonata, perché vi si eseguirono pitture nel X e probabilmente anche nell’XI secolo. Ma dal XIII al XVIII secolo non vide che devastazioni e saccheggi.

Chi voleva visitare la catacomba napoletana doveva, fino al 1969, affrontare un’avventura spingendosi attraverso il rione della Sanità per una rete stradale affogata da un’edilizia poverissima e indecorosa. Il turista che non si arrendeva prima di raggiungere la meta, quando riusciva a trovarla doveva subire l’ultimo shock passando per l’Ospizio dei poveri.

Molti napoletani anziani ricordano ancora questi ”pezzenti di San Gennaro” che racimolavano qualche soldo seguendo mestamente i cortei funebri e che passavano gran parte della loro giornata seduti sulle panchine sgangherate dei viali dell’ospizio. Se arrivava da Roma il turista era facilmente portato a fare un paragone con gli ingressi suggestivi delle grandi catacombe di quella città, con quelle dell’Appia Antica, ad esempio.

Quel libro dei sogni che era il piano regolatore del 1958 prevedeva anche una nuova strada che da Santa Teresa al Museo avrebbe portato alla Catacomba di San Gennaro. Ma chissà quanto tempo sarebbe passato prima di concludere qualcosa. La realtà ha dimostrato che il problema è oggi allo stesso punto di allora. C’era una soluzione più semplice, e a questa pensò uno studioso napoletano, Aldo Caserta, direttore negli archivi di Stato e docente di discipline storiche nella Pontificia facoltà teologica dell’Italia Meridionale. Nominato, alla fine del 1967, ispettore per le catacombe napoletane dalla Pontificia commissione di archeologia sacra, monsignor Caserta pensò subito alla valorizzazione della più importante, quella di San Gennaro. Suo predecessore era stato padre Antonio Bellucci, che aveva ricoperto l’incarico di ispettore dopo il 1929 (quando con il Concordato le catacombe venivano affidate alla Santa Sede) e che era stato un benemerito per gli scavi compiuti e i vari studi pubblicati.

Il primo problema da affrontare era quello dell’ingresso. Come fu risolto? Nella catacomba c’era un lucernario chiuso da un muro di tompagno: bastava demolire questo muro e si sarebbe potuta installare una scala che avrebbe consentito di accedere nella catacomba dal piano superiore anziché da quello inferiore. Si sarebbe entrati, cioè, da Capodimonte invece che dalla Sanità.

Fatti i progetti per la sistemazione, bisognava trovare i finanziamenti ed ottenere le autorizzazioni per i lavori. Per le opere interne occorreva l’approvazione della Pontificia commissione di archeologia sacra e per quelle esterne ci voleva il nulla osta della Soprintendenza ai monumenti. Specie all’interno i lavori erano di notevole portata: durante la guerra la catacomba era diventata un rifugio antiaereo e vi erano stati installati servizi ospedalieri di emergenza. La Pontificia commissione si assunse l’onere di questa sistemazione mentre l’Azienda di cura, soggiorno e turismo, presieduta dal dott. Alberto Del Piero, finanziò le spese per il nuovo ingresso dopo che l’arcivescovo cardinale Ursi aveva concesso il passaggio attraverso i viali del tempio del Buon Consiglio a Capodimonte. Si ricorse ad una scaletta di ferro che, penetrando attraverso il lucernario, non alterava la visione delle gallerie catacombali e nello stesso tempo avrebbe potuto essere facilmente rimossa se in futuro si fosse voluta dare un’altra sistemazione.

Sembrerebbe paradossale, eppure la semplice realizzazione di questo ingresso diede una vita nuova alla catacomba. C’era la possibilità di un ampio parcheggio per auto e per pullman; per la zona transitavano varie linee di trasporto; era vicinissimo il Museo di Capodimonte; si offriva al visitatore una visione estetica e panoramica assai suggestiva. Realizzata inoltre la tangenziale, con un’uscita a pochi metri, questo immediato incontro con la catacomba intitolata al santo patrono, è oggi quasi un biglietto da visita per il turista che entra a Napoli.

Dopo la prima sistemazione interna la Pontificia commissione d’archeologia sacra iniziò, nel 1971, una regolare campagna di scavi e di restauro di alcuni affreschi (anche con distacco) e di mosaici. In tre anni, fino al 1973, si ebbero sorprendenti risultati con nuove scoperte che hanno consentito una rilettura del monumento nelle varie fasi del suo sviluppo topografico. Un’ampia documentazione di questi restauri è disponibile nel volume dell’animatore e coordinatore delle ricerche, il prof. Umberto Fasola, all’epoca segretario della Pontificia commissione di archeologia sacra e docente nel Pontificio istituto di archeologia cristiana. Peccato che questo grosso e illustratissimo volume (“Le Catacombe di San Gennaro a Capodimonte”, Editalia, 1975) sia esaurito.

Ispettore per le catacombe napoletane era in quegli anni monsignor prof. Raffaele Calvino, docente di archeologia cristiana nella Facoltà teologica di Napoli, affiancato dal reverendo prof. Nicola Ciavolini, vice-ispettore. Con questi due studiosi continuarono, sia pure in misura ridotta, i lavori di scavo, nel 1977-78, e si cominciò a studiare il problema di una migliore conservazione delle altre catacombe napoletane: San Gaudioso (sotto la chiesa di San Vincenzo alla Sanità), San Severo (presso l’omonima chiesa alla Sanità); Sant’Efebo (presso la chiesa di Sant’Eframo Vecchio).

Chi visita oggi la Catacomba di San Gennaro si trova dinanzi ad uno spettacolo non comune. A differenza delle catacombe romane con i loro dedali di gallerie buie , qui si aprono ampi locali in cui lo sguardo spazia individuando straordinari effetti prospettici. Un impianto di illuminazione, eseguito con rigorosi criteri tecnici, consente, con la sua luce diffusa e con i piccoli fari schermati, sia la visione d’insieme del monumento sia un’osservazione particolare degli affreschi e dei mosaici. Il visitatore può subito riconoscere, grazie a chiare didascalie, gli elementi presso cui fermarsi.

Ecco un accenno ai più notevoli risultati ottenuti dopo le recenti campagne di scavi e il restauro delle pitture: una scoperta importante è stata quella della “cripta dei vescovi”; nell’arcosolio centrale sarebbe stata individuata in un ritratto l’immagine del vescovo Giovanni I che volle la traslazione nella catacomba dei resti di San Gennaro; è stato restaurato un affresco del secolo VI con l’immagine del primo vescovo di Napoli, Asprenas; sono stati messi in luce alcuni dipinti eseguiti dopo che, nell’879, le catacombe furono affidate ai benedettini; nel cubicolo denominato di San Gennaro e compagni, vicino alla tomba del martire, sono stati liberati dipinti che erano nascosti da pitture sovrapposte ed uno di questi dipinti rappresenta il patrono di Napoli tra i monti Somma e il Vesuvio. È solo un rapido accenno al ricco patrimonio storico-artistico che si aggiunge a quello già prezioso della catacomba, che dopo anni di semiabbandono ritorna ad essere un elemento essenziale della cultura della città.

I monumenti si salvano se in essi continua la presenza attiva della comunità. Un monumento chiuso – è questa la convinzione dei responsabili dell’ispettorato per le catacombe napoletane – anche se è custodito, è destinato a lento ma inesorabile degrado. Partendo da questa considerazione sono state promosse varie iniziative per richiamare sempre più l’attenzione dei pubblico, soprattutto napoletano, sulla catacomba: si stimolano i docenti di storia dell’arte e di religione perché organizzino visite per gli studenti; si invitano gli insegnanti delle scuole elementari a far conoscere agli alunni questo importante monumento; si organizzano conferenze con proiezioni; si svolgono celebrazioni liturgiche nelle ricorrenze del patrono, con visite guidate. Ed anche con queste iniziative si concorre ad eliminare le incrostazioni leggendarie e genericamente folkloriche che si sono sovrapposte nei secoli all’immagine genuina del patrono di Napoli.

Achille della Ragione

Foto di Dante Caporali

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 Posted by altaterradilavoro

 

 

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